Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 37236 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 37236 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a ASCOLI PICENO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza della Corte d’appello di ANCONA del 18/02/2025
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione, NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni del difensore della parte civile;
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata del 18 febbraio 2025, la Corte d’appello di Ancona ha, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Ascoli Piceno in data 22 giugno 2023, con la quale NOME COGNOME è stato condannato alla pena di giustizia per il reato di cui all’art. 595, comma terzo, cod. pen. in danno di NOME COGNOME, rideterminato la pena pecuniaria e revocato il beneficio della sospensione condizionale.
Avverso la sentenza indicata della Corte d’appello di Ascoli Piceno ha proposto ricorso l’imputato, con atto a firma del difensore, AVV_NOTAIO, affidando le proprie censure a cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, denuncia vizio della motivazione in riferimento all’affermazione di responsabilità, con specifico riferimento all’elemento soggettivo del reato, per avere la Corte di merito ritenuto sussistente una callida premeditazione coscienziosa di matrice dolosa, protesa a voler screditare il COGNOME, in assenza di false dichiarazioni sul conto della persona offesa ed impropriamente valorizzando alcuni post, pubblicati sui social network, al medesimo imputato mai contestati. Il contenuto delle contestate dichiarazioni è stato, invece, ispirato dall’esercizio del legittimo diritto di critica in relazione all’attività di adattatore cinematografico svolt dalla persona offesa, come peraltro reso palese dalla presenza, sulla medesima pagina di pubblicazione, di un disclaimer diretto a segnalare la natura del commento e la personale riferibilità all’autore, con invito ad intervenire sulla stessa pagina al fine di instaurare un dialogo costruttivo. Ne discende – ad avviso del ricorrente l’esclusione dell’elemento soggettivo del dolo, in considerazione della finalità perseguita; dell’associazione culturale riferibile alla pagina “RAGIONE_SOCIALE“; della piena disponibilità mostrata dall’imputato a discutere eventuali correzioni e rettifiche del testo; elementi tutti incompatibili con il dolo generico, per il quale è richiesta “la premeditazione coscienziosa del soggetto agente di voler denigrare ed offendere il destinatario degli scritti”.
2.2. Con il secondo motivo, si eccepisce violazione di legge in relazione agli artt. 42 e 595, comma terzo, cod. pen., 192 cod. proc. pen. e 6, § 1 CEDU.
Si evidenzia il punto della sentenza impugnata che, stigmatizzando l’impiego di particolare disprezzo, trascura gli elementi già segnalati, decisivi sul versante del legittimo esercizio del diritto di critica e dell’esclusione del dolo.
2.3. Il terzo motivo deduce vizio della motivazione in relazione alle censure proposte con l’appello per avere la Corte di merito ignorato l’indicazione dell’esistenza, su un sito web accessibile in rete, di un personale confronto tra le parti, all’esito del quale l’imputato aveva provveduto a modificare il post secondo le indicazioni della persona offesa, integralmente trascritte nel ricorso, con conseguente preterizione di un tema decisivo ai fini dell’esclusione del dolo, anche tenuto conto del linguaggio adoperato.
2.4. Il quarto motivo propone analoga doglianza con riferimento alle testimonianze a discarico, che hanno escluso qualsivoglia valenza diffamatoria nel contestato post.
2.5. Con il quinto motivo, si contesta il diniego della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, fondato sulla ritenuta “pregnanza diffamatoria” della ripetizione di passaggi argomentativi suggestivi, incontinenti e falsi, su di un sito accessibile ad un numero indeterminato di persone, trascurando gli elementi invece valorizzati dalla difesa al riguardo.
Con requisitoria scritta del 30 settembre 2025, il sostituto Procuratore generale presso questa Corte, NOME COGNOME, ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente al quinto motivo.
Le censure proposte nel primo e nel secondo motivo che, per la stretta inerenza dei temi, possono essere congiuntamente trattate, sono manifestamente infondate.
1.1. E’ incontestato come, sul sito web www.dimensionefumettodt, l’imputato avesse pubblicato un post del seguente tenore «…poi è arrivato NOME COGNOME…non si sa nulla sulla sua formazione professionale… non si sa bene come è entrahnel mondo dell’editoria, non si sa con che tipo di competenze, niente…e lì, da totale esordiente, gli è stato affidato l’adattamento nientemeno che di Neon Genesis Evangelion, così, sulla fiducia. ..il lavoro che COGNOME ha svolto per Lucky Red con carta bianca, quando invece è assolutamente richiesto un bagaglio di competenze tecniche specifiche… NOME COGNOME nonostante non abbia alcun titolo professionale per farlo.., sembrerebbe incredibile, se non ci fossero le prove.., truffa lo spettatore…linguaggio da piazzista…racconta un mix di verità e bugie intrecciate…la
più grande truffa messa in piedi da COGNOME…ennesima tecnica da piazzista… opinabile grammatica…».
In relazione alla natura delle espressioni utilizzate, ritenute denigratorie di NOME COGNOME, adattatore-dialoghista di testi cinetelevisivi esteri in lingua italiana, l’imputato è stato condannato per il delitto di diffamazione, oggetto delle censure proposte con il ricorso di legittimità.
1.2. Tanto premesso, le doglianze proposte dal ricorrente, dirette a contrastare il dolo del delitto di diffamazione, ricostruito in termini di “premeditazione coscienziosa del soggetto agente di voler denigrare ed offendere il destinatario degli scritti”, sono destituite di fondamento giuridico, ove si consideri che ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo è sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, e che comunque implica l’uso consapevole, da parte dell’agente, di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, ossia adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere (Sez. 5, n. 8419 del 16/10/2013, dep. 2014, Verratti, Rv. 258943 – 01), senza alcuna necessità di premeditazione.
In altri termini, il dolo di diffamazione postula la consapevolezza dell’offensività delle parole e delle espressioni impiegate nel contesto di riferimento, e non già una volontà protesa alla denigrazione.
Sotto il versante dell’elemento soggettivo, dunque, le censure del ricorrente si rivelano aspecifiche e manifestamente infondate.
1.3. Le stesse sono, comunque, inconducenti anche laddove interpretate come rivolte all’esclusione della causa di giustificazione dell’esercizio del diritto di critic impropriamente evocato nel ricorso.
Sotto tale profilo, appare opportuno richiamare in premessa un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, che non ha formato oggetto di rivisitazione critica nel corso degli anni, secondo cui, in tema di diffamazione, la reputazione non si identifica con la considerazione che ciascuno ha di sé o con il semplice amor proprio’ ma con il senso della dignità personale in conformità all’opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico (cfr. Sez. 5, n. 3247 del 28/02/1995, Rv. 201054).
In tale prospettiva, il bene giuridico tutelato dall’art. 595, cod. pen. è la reputazione, intesa come il riflesso, in termini di considerazione sociale, dell’onorabilità. Essa, dunque, attiene all’opinione di cui l’individuo gode in seno alla società per carattere, ingegno, professionalità e altre qualità personali; alla valutazione che gli altri fanno della personalità morale e sociale di un individuo; alla stima di cui la persona gode presso gli altri membri della comunità.
La protezione della reputazione rappresenta, inoltre, uno dei limiti all’esercizio della libertà di espressione e delle altre libertà ad essa correlate, espressamente ammessi dall’art. 10, co 2, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. E la Corte di Strasburgo, proprio in relazione a siffatta disposizione normativa, si era tradizionalmente soffermata sulla tutela della reputazione (prevalentemente in tela di libertà di stampa: cfr., ex plurimis, Cedu Radio NOME e altri contro Francia, 30.3.2004), per poi ricondurre, invece, l’ambito di tutela entro la previsione dell’art. 8, C.E.D.U., disciplinante il diritto al rispetto del vita privata e familiare (COGNOME contro Austria, 15.11.2007).
In tale quadro, esula del tutto dalla ratio legis dell’art. 595, cod. pen. la tutela della dimensione soggettiva dell’onore vale a dire dell’opinione che l’offeso ha del proprio valore, in quanto lo scopo dell’incriminazione è, invece, quello di assicurare protezione alla dimensione oggettiva della reputazione, in relazione, all’opinione del gruppo sociale d’appartenenza, secondo il particolare contesto storico.
E, nel caso in esame, le espressioni impiegate s’appalesano, all’evidenza, lesive della dignità professionale del COGNOME nel contesto di riferimento.
Tanto premesso in ordine all’obiettiva rilevanza dei termini impiegati, va sottolineato come la giurisprudenza di legittimità abbia da tempo chiarito che, in tema di diritto di critica, ciò che determina l’abuso del diritto è la gratuità delle espressioni non pertinenti ai temi apparentemente in discussione; è l’uso dell’ “argumentum ad hominem”, inteso a screditare il destinatario pubblico mediante l’evocazione di una sua pretesa indegnità o inadeguatezza personale, piuttosto che a criticarne i programmi e le azioni (Sez. 5, n. 7990 del 19/05/1998, Rv. 211482). Si è, ulteriormente, chiarito che non sussiste l’esimente del diritto di critica qualora essa, ancorché a sfondo scherzoso e ironico, sia fondata su dati storicamente falsi; tale esimente può, infatti, ritenersi sussistente quando l’autore presenti in un contesto di leale inverosimiglianza, di sincera non veridicità finalizzata alla critica e alla dissacrazione delle persone di alto rilievo, una situazione e un personaggio trasparentemente inesistenti, senza proporsi alcuna funzione informativa e non quando si diano informazioni che, ancorché presentate in veste ironica e scherzosa, si rivelino false e, pertanto, tali da non escludere la rilevanza penale (cfr. Sez. 5, n. 4695 del 15/12/2016, Rv. 269095). Sotto questo profilo si è, altresì, evidenziato, come in tema di diffamazione, nella valutazione del requisito della continenza, necessario ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, si deve tenere conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur se aspri, forti e sferzanti, non siano meramente gratuiti, ma
siano, invece, pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato ed al concetto da esprimere (Sez. 5, n. 32027 del 23/03/2018, Rv. 273573).
Principi, da ultimo, ribaditi sottolineando come, in tema di diffamazione, ricorre l’esimente dell’esercizio del diritto di critica quando le espressioni utilizzate esplicitino le ragioni di un giudizio negativo collegato agli specifici fatti riferiti e, p se veicolate nella forma scherzosa e ironica propria della satira, non si risolvano in un’aggressione gratuita alla sfera morale altrui o nel dileggio o disprezzo personale (Sez. 5, n. 320 del 14/10/2021, Rv. 282871).
1.4. Tanto osservato, ritiene il Collegio che la condotta dell’imputato non possa ritenersi scriminata, in applicazione dei principi richiamati.
L’insistito riferimento a condotte ritenute forme di “truffa dello spettatore”, “linguaggio da piazzista”, “racconti di un mix tra verità e menzogna”, attribuite al COGNOME, rivelano un abuso del diritto di critica, sotto il profilo della continenza, in quanto palesemente eccessive rispetto ad una pur legittima critica riguardo le qualità professionali, ritenute adeguate agli incarichi ricevuti.
Con siffatto ordine di argomentazioni il ricorrente omette ogni confronto, limitandosi a valorizzare il contenuto del disclaimer che, pur dimostrando l’interesse a provocare un dibattito sul tema, non elide l’incontinenza del linguaggio impiegato e, con essa, il superamento del limite della scriminante.
Il terzo ed il quarto motivo sono inammissibili per carenza di interesse.
2.1. Il ricorrente deduce il vizio di motivazione, sub specie di preterizione di allegazioni difensive, indicando, tuttavia, circostanze non decisive sulle quali la Corte di merito avrebbe omesso di pronunciarsi.
Quanto al video contenente il confronto tra le parti, trattasi di un post-factum, irrilevante ad elidere l’antigiuridicità, mentre l’asserita preterizione dei testi a discarico attiene, nella stessa prospettazione del ricorrente, alle personali opinioni di costoro riguardo l’offensività o meno del post che, come già rilevato, è invece profilo che involge una questione di diritto.
Trova, allora, applicazione il principio per cui, in tema d’impugnazioni, è inammissibile, per carenza d’interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile “ah origine” per manifesta infondatezza, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, Bercigli, Rv. 277281 – 01).
E’, invece, fondato il quinto motivo di ricorso.
3.1. Nel negare l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, la Corte territoriale altro non ha fatto che riportarsi ai termini stessi della contestazione, valorizzando le medesime ragioni che hanno portato alla conferma della sentenza di condanna: la ripetizione di passaggi suggestivi, inconsistenti e falsi, unitamente alla destinazione del sito ad esperti del settore.
In tal modo argomentando, tuttavia, la Corte d’appello ha, da un lato, impropriamente scomposto una condotta invece unitaria, riferendosi impropriamente ad una reiterazione; dall’altro, ha omesso di considerare gli elementi indicati dalla difesa, e relativi alla rettifica del testo, in adesione alle istanze della parte offesa; alla piena disponibilità mostrata dall’imputato ad aprire un dibattito sul tema proposto; alla destinazione della critica ad un pubblico di settore, in grado di leggere l’invettiva in correlazione con le specifiche competenze nell’adattamento dei testi originali alla versione in lingua italiana.
Trattasi di elementi, rimasti ignorati, che concorrono senz’altro a quell’apprezzamento, complessivo e personalizzato, a cui la giurisprudenza di questa Corte ha sempre sollecitato il giudice del merito (Sez. U, n. 18891 del 27/01/2022, COGNOME, Rv. 283064 – 01; Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, COGNOME, Rv. 266591 01).
3.2. La statuizione impugnata, inoltre, con si confronta con le modifiche apportate all’istituto dall’art. 1, comma 1, lett. c) n. 1), d.lgs. 30 ottobre 2022, n. 150, che ha introdotto più ampi parametri legali di applicabilità della causa estintiva del reato, e che si applica anche ai fatti commessi prima della entrata in vigore del citato decreto (Sez. 4, n. 17190 del 16/03/2023, Di COGNOME, Rv. 284606 – 01). Sotto tale profilo, anche la rettifica, prontamente disposta in adesione alle richieste della parte offesa, non s’appalesa ininfluente ai fini della valutazione della tenuità del fatto.
Alla stregua di quanto sin qui osservato, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di merito perché, in piena libertà di giudizio, ma facendo corretta applicazione dei principi enunciati al paragrafo che precede, proceda a nuovo esame sul punto dell’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen.
Nel resto, il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla mancata applicazione dell’istituto di cui all’art. 131-bis c.p. e rinvia per nuovo esame sul punto alla d’appello di Perugia. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2025
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Il Consigliere estensore
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