Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 8052 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 8052 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a AVELLINO il 22/06/1961
avverso la sentenza del 14/05/2014 della Corte d’appello di Napoli Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale COGNOME che ha chiesto dichiararsi. inammissibile il ricorso;
lette le conclusioni depositate dall’avvocato NOME COGNOME nell’interesse della parte civile NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso e depositando la nota spese;
lette le conclusioni depositate dall’avvocato NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME che ha illustrato i motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento, chiedendo in subordine dichiararsi l’estinzione del reato per prescrizione.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Napoli, con la sentenza emessa 11 14 maggio 2024, riformava solo quanto alla pena, irrogando quella pecuniaria in luogo di quella detentiva, la decisione del Tribunale di Avellino che aveva accertato la responsabilità penale di NOME COGNOME in relazione al delitto di diffamazione.
L’imputato veniva ritenuto responsabile del delitto previsto dall’art. 595, commi 2 e 3, cod. pen. «perché, comunicando con più persone con mezzi di pubblicità, con offese consistenti nell’attribuzione di un fatto determinato, nella specie mediante l’affissione di manifesti nelle strade principali del Comune di San Martino V.C. dal titolo “All’ultimo vassallo di San Martino VC.”, ledeva la reputazione ed il decoro di NOME COGNOME in qualità di Comandante della Polizia Municipale del paese per gli evidenti attacchi diffamatori nei confronti del querelante di natura sia personale che professionale – in relazione al suo incarico Comandante della Polizia Municipale. In particolare, affermava: “agisce con metodi personalizzati ed illegali approfittando della sua veste e sapendo che nessuno ha controllo su di lei. ..come quello di aver collegato un Up sul suo smartphone personale tutte le telecamere e persino il Falco a lei in dotazione per vedere tutte le auto senza assicurazione: e come dire che lei controlla tutto anche nelle ore non lavorative…questo è illegale lo sa???.. .poche settimane fa facendomi pagare un verbale di circa 550,00 euro…Lei è viscido come un serpente…”; “Vigile COGNOME ci può spiegare perché per l’assistenza domiciliare agli anziani la cooperativa di Avellino ha nominato ad esercitare queste mansioni anche a sua sorella ed a sua cugina le quali non hanno gli attestati?…”; “ARCH. Sindaco, lo sa che San Martino V.C. è tra i comuni irpini dove vengono fatte più multe le quali vengono elevate dal Vigile COGNOME il quale insieme ai suoi colleghi percepisce degli incentivi o premi in percentuale alle multe fatte anche se non pagate, ormai per le nostre strade non passa più nessuno sapendo della presenza del Vigile COGNOME…” . In San Martino Valle Caudina il 4.12.2016». 2. Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il primo motivo deduce violazione di legge in quanto la Corte di appello non avrebbe riconosciuto il diritto di critica e la relativa esimente.
Lamenta il ricorrente, dopo aver ricapitolato gli orientamenti giurisprudenziali in materia, che sussistono gli estremi per il riconoscimento del diritto di critica politica, sia per la sussistenza di un interesse pubblico in merito alla attività svolta dal pubblico ufficiale, non risultando le espressioni gratuitamente offensive, seppur
critiche relativamente alle qualità morali o intellettuali del destinatario, senza mai però scadere nell’insulto.
Il secondo motivo lamenta il mancato riconoscimento dell’esimente dell’art. 596 cod. pen. risultando emersa dalla istruttoria dibattimentale la verità dei fatti oggetto dell’imputazione.
Il ricorso, depositato dopo il 30 giugno 2024, è stato trattato senza l’intervento delle parti, ai sensi del rinnovato art. 611 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022 e successive integrazioni
Le parti hanno concluso come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il primo e il secondo motivo strettamente connessi vanno trattati unitariamente.
A ben vedere entrambi i motivi sono del tutto aspecifici, in quanto non si confrontano con la sentenza impugnata, che dava atto delle ragioni per le quali non era sussistente l’esimente dell’art. 51 cod. pen. in relazione al diritto di critica politica, facendo buon governo dei principi in materia.
In particolare, la Corte territoriale evidenzia come difetti la prova della verità dei fatti oggetto del manifesto che recava le espressioni indicate nell’imputazione, che veniva ritenuto per tale ragione diffamatorio.
A tal riguardo la sentenza cita la deposizione del maresciallo COGNOME.
Si è costantemente ribadito da parte di questa Corte che, in tema di diffamazione, ai fini della applicazione dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica, non può prescindersi dal requisito della verità del fatto storico ove tale fatto sia posto a fondamento della elaborazione critica (Sez. 5, n. 8721 del 17/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272432; Sez. 5, n. 7715 del 04/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 264064; Sez. 1, n. 40930 del 27/09/2013 COGNOME, Rv. 257794). Certamente, in tema di diffamazione a mezzo stampa, il rispetto della verità del fatto assume, in riferimento all’esercizio del diritto di critica politica, un rilievo limitato e necessariamente affievolito rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, ed ancor più quella politica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica (Sez. 5, n. 25518 del 26/09/2016,
dep. 2017, COGNOME, Rv. 270284; Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, dep. 2011, COGNOME, Rv. 249239; Sez. 5, n. 49570 del 23/09/2014 COGNOME, Rv. 261340); in tal caso, il limite immanente all’esercizio del diritto di critica è, pertant essenzialmente quello del rispetto della dignità altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale, anche mediante l’utilizzo di “argumenta ad hominem” (Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, dep. 2011, COGNOME, Rv. 249239).
Tuttavia, la verità del fatto deve riguardare il nucleo ed il profilo essenziale dei fatti, che non devono essere strumentalmente travisati e manipolati (Sez. 1, n. 8801 del 13/11/2018, dep. 2019, Cordova, Rv. 276167; Sez. 1, Sentenza n. 4496 del 14/01/2008 Pansa, Rv. 239158, a proposito dello strumentale travisamento di dati nel loro nucleo essenziale).
Anche in sede convenzionale, si è affermato che pur nella distinzione fra fatti e valutazioni, tuttavia, questi ultimi, nella forma dei giudizi di valore, devono fondarsi su una sufficiente base fattuale (Corte EDU, caso Jerusalem c. Austria, 27.2.2001, § 43; Corte EDU, caso RAGIONE_SOCIALE c. Svizzera, 9.1.2018, §§ 51-80; Corte EDU, caso Perna c. Italia, 6.5.2003; Corte EDU, caso Riolo c. Italia, 17.7.2008; di recente, altresì, Corte EDU, caso RAGIONE_SOCIALE e Soares Gonnes da Cruz c. Portogallo, 24.9.2019, che ha ribadito che la libertà di espressione gode di un elevato livello di protezione quando la manifestazione di opinione riguarda questioni di interesse pubblico, e
Quindi, comunque, ai fini del riconoscimento dell’esimente del diritto di critica, e specificamente di critica politica, non può prescindersi dal requisito della verità del fatto storico posto a fondamento della elaborazione critica; sicché, l’esimente non è applicabile qualora l’agente manipoli le notizie o le rappresenti in modo incompleto, in maniera tale che, per quanto il risultato complessivo contenga un nucleo di verità, ne risulti stravolto il fatto, inteso come accadimento di vita puntualmente determinato, riferito a soggetti specificamente individuati (così Sez. 5, n. 7798 del 27/11/2018, dep. 2019, NOME, Rv. 276026, che, in applicazione del principio, ha annullato con rinvio la decisione d’appello che aveva riconosciuto l’esimente all’autore di alcuni volantini nei quali, per screditare l’operato di una giunta comunale, si affermava che il sindaco era stato “sottoposto a giudizio”, senza specificare che si trattava di giudizi civili e amministrativi, ai quali il sindac era chiamato nella qualità di rappresentante dell’ente locale). In sostanza è necessario che l’articolista, nel selezionare fatti accaduti nel tempo reputati rilevanti per illustrare la personalità dei soggetti criticati, non manipoli le notizie non le rappresenti in forma incompleta, in maniera tale che, per quanto il risultato complessivo contenga un nucleo di verità, l’operazione stravolga il fatto nella sua rappresentazione (Sez. 5, n. 57005 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274625). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
ha inoltre sottolineato che al fine di identificare il livello di protezione della libe di espressione occorre considerare la differenza tra descrizione di fatti storici e espressione di giudizi di valore, dal momento che quest’ultimi non sono suscettibili di prova).
Ebbene, nel caso in esame, a fronte della corretta valutazione della Corte di appello sul difetto di verità – che individua quale primo necessario presupposto della scriminante invocata quello della verità dei fatti, nel loro nucleo essenziale, escludendo che sia emersa tale prova di verità – le doglienze difensive non ‘attaccano’ in modo specifico tale affermazione.
Non lo fa il primo motivo, che resta generico in ordine a tale argomentazione, mentre il secondo si limita a enunciare esiti opposti, richiamando le deposizioni dibattimentali, ma senza denunciare in modo corretto il vizio di motivazione per travisamento.
Infatti, il ricorso per cassazione con cui si lamenta la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per l’omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonchè della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato. (Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010 – dep. 22/12/2010, COGNOME, Rv. 249035)
In particolare, quanto al punto c), qualora la prova omessa o travisata abbia natura dichiarativa, il ricorrente ha l’onere di riportarne integralmente il contenuto, non limitandosi ad estrapolarne , alcuni brani ovvero a sintetizzarne il contenuto, giacchè così facendo viene impedito al giudice di legittimità di apprezzare compiutamente il significato probatorio delle dichiarazioni e, quindi, di valutare l’effettiva portata del vizio dedotto (ex multis Sez. 4 n. 37982 del 26 giugno 2008, COGNOME, rv 241023; Sez. 3, n. 19957/17 del 21 settembre 2016, COGNOME, Rv. 269801).
Nel caso in esame non è stato specificamente denunciato il travisamento, il che impedisce alla Corte di legittimità ogni valutazione in ordine al materiale probatorio e alla sua valutazione, tanto più che si verte in tema di cd. doppia
conforme, avendo anche il Tribunale valutato la non verità dei fatti narrati con la condotta in contestazione.
Ne consegue la manifesta infondatezza e la genericità dei motivi.
5. Va pertanto dichiarato inammissibile il ricorso e alla stessa consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Dall’inammissibilità discende anche la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che questa Corte liquida in complessivi euro 3.600,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME COGNOME che liquida in complessivi euro 3.600,00 oltre accessori di legge.
Così deciso il 16/1/2025