Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 8040 Anno 2025
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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8040 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nata a Foggia il 02/04/1985 avverso la sentenza del 04/12/2023 della Corte di appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice civile; lette le richieste del difensore delle parti civili NOME RAGIONE_SOCIALE, Avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso e ha fatto pervenire conclusioni scritte e nota spese; lette le richieste del difensore della ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha concluso per raccoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Bari, accogliendo gli appelli delle parti civili, NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE e del Pubblico ministero, ha riformato la sentenza del 16 dicembre 2022 del
Tribunale di Foggia che aveva prosciolto NOME COGNOME dall’imputazione di diffamazione aggravata perché il fatto non costituisce reato, ritenendo sussistente, quanto meno a livello putativo, la scriminante del diritto di critica.
Alla predetta è stato contestato di avere, comunicando con più persone, offeso la reputazione di NOME COGNOME, pubblicando sul proprio profilo facebook e sul quotidiano «L’attacco» frasi con le quali sosteneva che NOME COGNOME, amministratore della RAGIONE_SOCIALE, dopo essersi aggiudicato l’appalto del servizio scuolabus presso il Comune di Troia, aveva omesso di assumere il personale già in servizio presso l’impresa che in precedenza aveva svolto il servizio, sebbene a ciò fosse obbligato dalle clausole contenute nel bando di gara e nella sua offerta tecnica, preferendo invece assumere persone che erano parenti o simpatizzanti di consiglieri comunali del PD o loro soci politici.
La Corte di appello ha, invece, affermato la penale responsabilità dell’imputata e l’ha condannata alla pena ritenuta di giustizia, nonché al risarcimento del danno, da liquidarsi separatamente, in favore delle parti civili.
Il Tribunale aveva ritenuto che sussistesse il diritto di critica ed in particolar la verità del fatto in quanto le assunzioni oggetto di critica erano realmente avvenute; non rilevava la circostanza che il Tribunale civile di Foggia, adito dai lavoratori che avevano perduto la loro occupazione, avesse rigettato le domande di questi ultimi, rilevando che l’art. 16 del CCNL RAGIONE_SOCIALE non prevedesse alcun obbligo per la nuova aggiudicataria di riassumere i dipendenti della società che aveva in precedenza svolto il servizio e che neppure detto obbligo fosse previsto nel capitolato d’appalto.
La Corte di appello ha, invece, osservato che il fatto oggetto di critica consisteva nell’avere la RAGIONE_SOCIALE proceduto alle nuove assunzioni senza rispettare la «clausola di salvaguardia» o di «protezione» del personale della società appaltatrice uscente e scegliendo i nuovi assunti sulla base della loro appartenenza al PD o sulla base dei loro rapporti di parentela con i consiglieri comunali di quel partito. In sostanza NOME COGNOME aveva affermato che l’assunzione dei lavoratori vicini al PD era il prezzo che la RAGIONE_SOCIALE aveva dovuto pagare in attuazione dell’accordo corruttivo che le aveva permesso di ottenere l’aggiudicazione dell’appalto. L’attacco alla società RAGIONE_SOCIALE non era giustificato dal procedimento penale avviato nei confronti del Sindaco di Troia per i reati di cui agli artt. 110, 56, 319-quater cod. pen., 110 e 610 cod. pen. e 110, 323 e 61, n. 2, cod. pen., poiché la richiesta di rinvio a giudizio era del 6 ottobre 2017 e quindi successiva alla condotta dell’imputata, che era contestata come commessa dal 10 settembre al 9 novembre 2016.
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Avverso detta sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) , cod. proc. pen., dell’omessa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, resa necessaria dal ribaltamento in appello della decisione assolutoria adottata dal Tribunale.
In particolare, la Corte di appello avrebbe dovuto procedere alla rinnovazione dell’esame dell’imputata.
2.2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, per avere la Corte di appello omesso di considerare le prove addotte dall’imputata ed in particolare la richiesta di rinvio a giudizio.
La Corte territoriale ha affermato che la richiesta di rinvio a giudizio non rilevava poiché successiva alle condotte contestate all’imputata, mentre, sostiene la ricorrente, ciò che rileva non è la data della richiesta di rinvio a giudizio, l’esistenza di un procedimento penale per i motivi cui l’imputata aveva fatto riferimento nelle proprie affermazioni ritenute diffamatorie.
La mancata valutazione della prova avrebbe «caducato» la possibilità di affermare l’operatività della scriminante.
2.3. Con il terzo motivo la ricorrente eccepisce la intervenuta prescrizione del reato, commesso sino al 9 novembre 2016, in quanto il termine massimo di prescrizione, pari ad anni sette e mesi sei, sarebbe maturato il 16 maggio 2023.
CONSIDERATO IN DIRITTO
il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Questa Corte di cassazione ha già più volte affermato, in tema di rinnovazione della prova dichiarativa, che la necessità di assumere l’esame dell’imputato, in caso di riforma della sentenza assolutoria, rientra in quella, più generale, di rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva, sicché la stessa sussiste ove, nel corso del giudizio di primo grado, l’imputato abbia reso dichiarazioni «in causa propria» e la valutazione probatoria da parte dei giudici dei due gradi di merito si basi sul significato di tali dichiarazioni o sul diver apprezzamento della loro attendibilità (Sez. 3, n. 16131 del 20/12/2022, dep. 2023, B., Rv. 284493; Sez. 5, n. 47794 del 11/11/2022, COGNOME, Rv. 283981; Sez. 6, n. 27163 del 05/05/2022, COGNOME, Rv. 283631).
Nel caso di specie, invece, la valutazione probatoria da parte dei giudici dei due gradi di merito è stata incentrata su risultanze istruttorie diverse rispetto alle dichiarazioni dell’imputata, di cui non si fa menzione in alcuna delle due
sentenze di merito, cosicché, in applicazione del principio sopra esposto, appare evidente che non era necessaria alcuna rinnovazione dibattimentale.
2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
La ricorrente lamenta, all’apparenza, il travisamento omissivo per non avere la Corte di merito preso in considerazione la prova, indicata nel ricorso come decisiva, rappresentata dalla richiesta di rinvio a giudizio.
In realtà la stessa ricorrente ammette nel suo atto di impugnazione che la Corte di appello ha preso in considerazione la richiesta di rinvio a giudizio, ma l’ha ritenuta irrilevante in quanto successiva di circa un anno alla condotta delittuosa.
La ricorrente, in realtà, si duole non dell’omessa considerazione di tale prova documentale, ma della sua valutazione ad opera della Corte territoriale, sostenendo che la stessa, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello, rileverebbe perché dimostrerebbe l’esistenza di un procedimento penale per i «motivi» cui l’imputata aveva fatto riferimento nelle proprie affermazioni ritenute diffamatorie.
Deve, allora, osservarsi che nel giudizio di cassazione sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento del decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati d giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482).
Peraltro, il motivo è generico laddove afferma che ciò che rileva è l’apertura del procedimento penale a carico del Sindaco, poiché il ricorso non contiene l’indicazione delle ragioni di tale rilevanza. Tale indicazione appare necessaria laddove si tenga presente che in quel diverso giudizio penale si contesta al Sindaco del Comune di Troia di avere esercitato pressioni sull’amministratore della società che in precedenza aveva svolto il servizio di scuolabus per il Comune di Troia affinché licenziasse i propri lavoratori subordinati e poi ne assumesse altri indicati dallo stesso Sindaco, mentre le affermazioni diffamatorie contestate alla ricorrente sono offensive della reputazione di NOME COGNOME e della RAGIONE_SOCIALE ed attengono a fatti – ossia l’assunzione di dipendenti da parte di questa società – che sono diversi da quelli oggetto di accertamento in quel giudizio.
3. Il terzo motivo di ricorso è anch’esso manifestamente infondato.
Il termine massimo di prescrizione, correttamente indicato dalla ricorrente in anni sette e mesi sei e decorrente dal 9 novembre 2016 è scaduto, anche senza considerare eventuali cause di sospensione, il 9 maggio 2024, ossia successivamente alla data della pronuncia della sentenza di secondo grado, cosicché non può sostenersi che la Corte territoriale abbia erroneamente omesso di rilevare, ai sensi dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., l’avvenuta estinzione del reato per effetto della prescrizione.
La maturazione della prescrizione successivamente alla pronuncia della sentenza di appello è invece irrilevante, stante l’inammissibilità degli altri motivi.
L’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266, relativa a prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso).
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000,00.
Ai sensi dell’art. 541 cod. proc. pen. la ricorrente, rimasta soccombente, deve anche essere condannata alla rifusione in favore delle parti civili delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna inoltre l’imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE che liquida in complessivi euro 3.650,00 oltre accessori di legge.
Così deciso il 16/01/2025.