Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17197 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17197 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI CATANZARO nel procedimento a carico di: NOME nato a TRICARICO il 12/06/1981 NOME COGNOME nato a CATANZARO il 29/12/1967 nel procedimento a carico di questi ultimi inoltre:
NOME COGNOME
avverso la sentenza del 15/03/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo udito il difensore
IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Catanzaro confermava la sentenza con cui il tribunale di Cosenza, in data 8.11.2021, aveva assolto NOME COGNOME e NOME dai reati di cui agli artt. 595, c.p., 13, I. n. 47 del 1948, in rubrica loro ascritti, commessi, secondo l’ipotesi accusatoria, in danno di NOME COGNOME persona offesa costituita parte civile, con la formula perché il fatto non sussiste.
In particolare i giudici di merito ritenevano che negli articoli indicati nei capi d’imputazione, pubblicati in tempi diversi sul giornale “Il Quotidiano del Sud”, di cui il COGNOME era direttore responsabile, non ricorressero gli estremi della diffamazione, in quanto in tali scritti il loro autore, l’COGNOME, aveva trattato fatti rispondenti al vero, la cui conoscenza rispondeva a una precisa esigenza di pubblico interesse a che la notizia fosse conosciuta, trattandosi dell’irrogazione da parte del C.S.M. di una sanzione disciplinare a carico della persona offesa, magistrato, con funzioni di presidente del tribunale del riesame di Potenza, e del contenuto di un audio in cui quest’ultima, non sapendo di essere registrata, aveva manifestato il suo interesse a far sì che un procedimento penale per colpa medica avesse un risalto particolare, specificando al riguardo di avere una posizione di prestigio all’interno del tribunale del riesame di Potenza, nel quale, a suo dire, confluivano tutte le indagini della Basilicata.
Il procedimento disciplinare era derivato effettivamente da un colloquio del 2014, intervenuto tra COGNOME, giornalista, la COGNOME e il marito di quest’ultima, registrato segretamente dalla COGNOME, nel corso del quale la parte civile aveva manifestato il suo interesse ad amplificare il racconto giornalistico sulla vicenda di un’ipotizzata colpa professionale in campo medico, in relazione alla quale pendeva un processo penale, per ragioni di interesse personale, vale a dire come strumento di pressione per far cessare il contenzioso tra il marito e l’Azienda Ospedaliera coinvolta nel caso da cui era sorto il processo penale.
Secondo i giudici di merito sussiste nel caso in esame il requisito della verità della notizia, essendo stata effettivamente irrogata una sanzione
disciplinare nei confronti della COGNOME per le affermazioni a lei riconducibili nel corso della conversazione registrata, nonché dell’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti, tenuto conto che dalla vicenda in parola emergeva un tentativo di interferenza in un’indagine penale da parte di un magistrato e la sanzione disciplinare era stata irrogata per tale ragione, né era stato superato il limite della continenza.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione il procuratore generale della Repubblica presso la corte di appello di Catanzaro, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione agli artt. 595 e 51, c.p.
Ad avviso del ricorrente risulta oltrepassato nel caso in esame il limite della continenza, in quanto l’accostamento della vicenda disciplinare della COGNOME al processo per colpa medica relativo al decesso della paziente COGNOME NOME ha determinato un effetto denigratorio, facendo apparire che tale processo non fosse il risultato delle prove assunte dall’autorità giudiziaria, ma, piuttosto, dell’indebita interferenza di un magistrato sanzionato dal C.S.M., essendo la connessione operata dall’COGNOME negli articoli a sua firma finalizzata a danneggiare la persona offesa, come si evince dalla circostanza che, alla luce della richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura della Repubblica presso il tribunale di Catanzaro nell’ambito del procedimento a carico dell’COGNOME per i delitti di calunnia e di ricettazione, quest’ultimo aveva concorso a pubblicare oltre cinquanta articoli su “Il Quotidiano del Sud” dal 17.3.20121 al febbraio 2023, incolpando la parte civile e il coniuge di essere autori e promotori, unitamente alla COGNOME, di un “complotto” pianificato e messo in opera in occasione del decesso di COGNOME NOME ai danni di tre medici dell’ospedale San Carlo di Potenza .
Con requisitoria scritta il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, dott. NOME COGNOME chiede che il ricorso venga rigettato.
Con conclusioni scritte del 20.12.2024, l’avv. NOME COGNOME difensore di fiducia e procuratore speciale della parte civile, chiede che il
ricorso venga accolto, riproponendo i rilievi articolati dal pubblico ministero ricorrente.
Con conclusioni scritte del 20.12.2024, l’avv. NOME COGNOME difensore di fiducia degli imputati, chiede che il ricorso sia rigettato.
Il ricorso va rigettato, essendo sorretto da motivi infondati.
Da tempo la giurisprudenza di legittimità, nel delineare i confini entro i quali definire la rilevanza penale di condotte astrattamente riconducibili al paradigma normativo di cui all’art. 595, c.p., commesse attraverso il mezzo della stampa, ha affermato il principio secondo cui il diritto di critica si differenzia essenzialmente da quello di cronaca, in quanto, a differenza di quest’ultimo non si concretizza nella narrazione di fatti, bensì nell’espressione di un giudizio e, più in generale, di un’opinione che, come tale, non può pretendersi rigorosamente obiettiva, posto che la critica non può che essere fondata su un’interpretazione necessariamente soggettiva dei fatti. Ne deriva che quando il discorso giornalistico ha una funzione prevalentemente valutativa, non si pone un problema di veridicità delle proposizioni assertive ed i limiti scrinninanti del diritto di critica, garantito dall’art. 21 Cost., sono solo quelli costituiti dalla rilevanza sociale dell’argomento e dalla correttezza di espressione, con la conseguenza che detti limiti sono superati ove l’agente trascenda in attacchi personali, diretti a colpire su un piano individuale la sfera morale del soggetto criticato, penalmente protetta (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 2247 del 02/07/2004, Rv. 231269).
Orbene, premesso che nel caso in esame il ricorrente ha circoscritto le sue doglianze esclusivamente al tema della continenza, ammettendo, dunque, implicitamente la sussistenza del requisito della verità delle notizie riportate e dell’interesse pubblico alla conoscenza delle notizie stesse, occorre soffermarsi solo su tale profilo, allo scopo di verificare la tenuta della motivazione della sentenza oggetto di ricorso, in cui, come si è detto, il giudice di appello ha escluso che tale limite sia stato superato.
Come affermato in un risalente arresto di questa Sezione, in tema di diffamazione a mezzo stampa, il limite della continenza, entro il quale
deve svolgersi un corretto esercizio del diritto di cronaca e di critica, viene superato quando le informazioni, pur vere, si risolvano – per il lessico impiegato, per l’uso strumentale delle medesime, per la sostanza e la forma dei giudizi che le accompagnano- in un attacco personale e gratuito al soggetto cui si riferiscono: quando cioè, al di là della offensività della notizia e della negativa sua valutazione (che sono scriminate se veritiere e di interesse sociale) si realizzi una lesione del bene tutelato, attraverso il modo stesso in cui la cronaca e la critica vengono attuate (cfr. Sez. 5, n. 6925 del 21/12/2000, Rv. 218282).
Ne deriva che quando il discorso giornalistico ha una funzione prevalentemente valutativa, non si pone un problema di veridicità delle proposizioni assertive ed i limiti scriminanti del diritto di critica, garantito dall’art. 21 Cost., sono solo quelli costituiti dalla rilevanza sociale dell’argomento e dalla correttezza di espressione, con la conseguenza che detti limiti sono superati ove l’agente trascenda in attacchi personali, diretti a colpire su un piano individuale la sfera morale del soggetto criticato, penalmente protetta (cfr. Sez. 5, n. 2247 del 02/07/2004, Rv. 231269; Sez. 5, n. 11662 del 06/02/2007, Rv. 236362).
In questa prospettiva si è ulteriormente chiarito, in più recenti arresti, che, in tema di delitti contro l’onore, il requisito della continenza non può essere evocato come strumento oggettivo di selezione degli argomenti sui quali fondare la comunicazione dell’opinione al fine di costituire legittimo esercizio del diritto di critica, selezione che, invece, spetta esclusivamente al titolare di tale diritto, giacché altrimenti il suo contenuto ne risulterebbe svuotato, in spregio del diritto costituzionale di cui all’art. 21 Cost.. Il rispetto del canone della continenza esige, invece, che le modalità espressive dispiegate siano proporzionate e funzionali alla comunicazione dell’informazione, e non si traducano, pertanto, in espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato. Pertanto, il requisito della continenza, quale elemento costitutivo della causa di giustificazione del diritto di critica, attiene alla
forma comunicativa ovvero alle modalità espressive utilizzate e non al contenuto comunicato (cfr. Sez. 5, n. 18170 del 09/03/2015, Rv. 263460).
Il requisito della continenza, come pure è stato evidenziato, postula una forma espositiva corretta della critica rivolta – e cioè strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione – e non può ritenersi superato per il solo fatto dell’utilizzo di termini che, pur avendo accezioni indubitabilmente offensive, hanno però anche significati di mero giudizio critico negativo di cui deve tenersi conto anche alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato (cfr. Sez. 5, n. 37397 del 24/06/2016, Rv. 267866).
Nella valutazione del requisito della continenza, pertanto, si deve tenere conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur se aspri, forti e sferzanti, non siano meramente gratuiti, ma siano, invece, pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato ed al concetto da esprimere (cfr. Sez. 5, n. 32027 del 23/03/2018, Rv. 273573).
In tale valutazione, peraltro, non può disconoscersi il tratto saliente dell’attività giornalistica in un sistema democratico, fondato sulla libertà di manifestazione del pensiero, sancita dall’art. 21, Cost., non potendosi svilire, limitandolo alla esposizione dei fatti e alla loro puntuale, esatta riproduzione, il diritto di critica del giornalista, al quale non può negarsi il diritto di ricercare e di riferire al lettore legami, rapporti e relazioni, dirette o indirette, immediate o mediate, quando questi elementi risultino oggettivamente sussistenti (cfr. Sez. 5, n. 17259 del 06/03/2020, Rv. 279114).
Nemmeno può disconoscersi, nel caso in esame la particolare figura professionale e la precipua funzione giudiziaria rivestite dalla parte civile.
Come rilevato, infatti, dalla giurisprudenza di legittimità in un condivisibile arresto il diritto di critica dei provvedimenti giudiziari e dei comportamenti dei magistrati deve essere riconosciuto nel modo più
ampio possibile, costituendo l’unico reale ed efficace strumento di controllo democratico dell’esercizio di una rilevante attività istituzionale, che viene esercitata nel nome del popolo italiano da soggetti che, a garanzia della fondamentale libertà della decisione, godono di ampia autonomia ed indipendenza; ne deriva che il limite della continenza può ritenersi superato soltanto in presenza di espressioni che, in quanto inutilmente umilianti, trasmodino nella gratuita aggressione verbale del soggetto criticato (cfr. Sez. 5, n. 19960 del 30/01/2019, Rv. 276891).
Orbene la corte territoriale ha fatto buon governo di tali principi, escludendo il superamento del limite della continenza, sul presupposto che “il giornalista ha dato conto correttamente delle ragioni della decisione del C.S.M., che ha ritenuto il comportamento della persona offesa, come rappresentato nell’audio, sanzionabile come non corretto comportamento deontologico (intento di strumentalizzare la funzione per fini privati)”.
“Gli articoli”, continua la corte di appello in motivazione, “hanno indicato correttamente, che per le pressioni compiute dalla persona offesa, al fine di enfatizzare la condotta di colpa medica su cui v’era indagine, la stessa fosse stata sanzionata”.
In altri termini, dovendosi avere riguardo alla forma comunicativa ovvero alle modalità espressive utilizzate e non al contenuto comunicato, non si può negare che le modalità espressive dispiegate negli articoli “incriminati” siano state proporzionate e funzionali alla comunicazione dell’informazione, non traducendosi in espressioni gravemente infamanti e inutilmente umilianti, tali da trasmodare in una gratuita aggressione del soggetto criticato, apparendo, piuttosto, in considerazione del complessivo contesto in cui si è realizzata la condotta, della natura dell’attività giornalistica e della particolare qualità della parte civile, assolutamente pertinenti al tema in discussione e proporzionate al fatto narrato ed al concetto critico espresso.
Nel resto i rilievi articolati dal ricorrente sulla confusione manifestata dall’COGNOME a proposito dei dati utilizzati per scrivere gli articoli di stampa; sulla mancanza di verifiche circa il contenuto del fife-audio
registrato dalla COGNOME; sulla mancanza di serenità da parte dell’COGNOME, essendo egli uno dei convenuti nella causa civile pendente presso il
tribunale di Potenza dal 2015, promossa dal coniuge della pervna offesa a seguito della pubblicazione di una serie di articoli relativi alrautore
della registrazione di conversazioni riguardanti il decesso di COGNOME NOMECOGNOME appaiono, al pari dell’adombrata tesi delle false accuse costruite in
danno della COGNOME e del marito, non pertinenti alla questione di diritto affrontata e di natura meramente fattuale, dunque non
scrutinabili in questa sede di legittimità
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma il 9.1.2025.