Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 46827 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 46827 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME nato a TRAPANI il 31/03/1947
avverso la sentenza del 12/02/2024 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Sostituto Procuratore COGNOME il quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza.
uditi i difensori:
L’Avv. NOME COGNOME si richiama ai propri scritti e conclude, associandosi alle conclusioni del Sostituto procuratore generale, chiedendo il rigetto o, in subordine, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; deposita, anche in udienza, conclusioni e nota spese per la Parte civile.
L’Avv. NOME COGNOME insiste nei motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 12 febbraio 2024, la Corte d’appello di Caltanissetta – salvo revocare, su richiesta dell’imputato, il beneficio della sospensione condizionale della pena – ha confermat la condanna pronunciata dal giudice di primo grado, in sede di giudizio abbreviato, nei confront di NOME COGNOME per il reato di diffamazione ai danni di NOME COGNOME commesso, secondo la rubrica, mediante la pubblicazione, in data 16 luglio 2020, di un articolo sul s d’informazione on line “RAGIONE_SOCIALE“, intitolato “S’infittiscono le nebbie ericine”. Secondo la rubric l’imputato 1) qualificava con l’aggettivo “nebulosa” l’ordinanza applicativa della misura cautel del divieto di dimora emessa dalla persona offesa NOME COGNOME in qualità di g.i.p. d Tribunale di Trapani, nei confronti del Sindaco di Erice, NOME COGNOME e del di lei frat consigliere comunale, osservando altresì come l’ordinanza fosse rimasta “nel cassetto per mesi, ufficialmente a causa del sopraggiungere del Covid-19”, lasciando così intendere che vi fosse stata una dilazione dovuta a ragioni diverse da quelle rese note; 2) rappresentava il predett provvedimento cautelare come risultato di una “contrattazione” tra pubblico ministero e g.i.p. posto che il primo aveva richiesto la misura cautelare degli arresti domiciliari, definendo ino tale “trattativa” nei termini di “una seconda nebbia”; 3) evidenziava l’iscrizione della sorella persona offesa (Avv. NOME COGNOME nell’elenco dei legali fiduciari del Comune d’Eric alludendo, in tal modo, a una vicinanza della persona offesa all’amministrazione comunale di Erice, ciò che gettava un’ombra sull’imparzialità del magistrato NOME COGNOME
Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, Avv. NOME COGNOME affidando le proprie censure ai tre motivi di segui enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si duole di violazione di legge, in relazione all’art.’ 595, pri terzo comma, cod. pen., sostenendo l’insussistenza degli elementi costitutivi dell’ascritto rea
Dopo aver rievocato sentenze di questa Corte che hanno rimarcato la rilevanza, ai fini della valutazione della sussistenza del delitto in parola, dell’intero testo in cui siano contenute u più espressioni asseritamente diffamatorie, la difesa riporta l’articolo nella versione integra ciò, al fine di dimostrare come le singole espressioni contestate, se correttament contestualizzate nella complessiva trama argomentativa dello scritto, siano prive di contenuto diffamatorio.
Sostiene la difesa che l’aggettivo “nebuloso”, utilizzato dall’imputato per qualificare il provvedimento impositivo di misura cautelare, rimanderebbe a un contenuto scarsamente intellegibile e all’obiettiva carenza di informazione in ordine al concreto disvelarsi de all’origine dell’ordinanza emessa dalla persona offesa e alla proporzionalità del provvedimento stesso, meno afflittivo di quello richiesto dal p.m.
Aspetto, questo della proporzionalità del provvedimento deciso dal g.i.p. rispetto ai gra indizi e alle obiettive esigenze cautelari, che soltanto un giurista può cognita causa valutare; lo stesso non vale, però, per un giornalista, anche di consolidata esperienza professionale (che s
rivolge, peraltro, a una platea di lettori mediamente sprovvisti di competenz specialistiche/giuridiche), dal quale non sarebbe ragionevole pretendere il medesimo grado di asettica valutazione che può esprimere uno specialista del settore.
Sicché, in definitiva, l’espressione “nebuloso” non sarebbe rivolta all’operato del giudic bensì alla valutazione, dallo stesso compiuta, in ordine alla giustificazione della meno afflit misura custodiale infine irrogata. “Nebulose” sarebbero le ragioni dell’obiettivo ritardo provvedere all’adozione della misura cautelare, posto che non risultavano conosciute né conoscibili, da parte del cronista, le ragioni poi addotte dalla persona offesa (concernenti si rilevante carico di lavoro sia le condizioni personali e familiari della stessa) a giustificazio ritardo con cui è stata disposta l’ordinanza. Se a ciò si aggiunge il dato del grave allarme soci suscitato da indagini su reati contro la pubblica amministrazione che avevano coinvolto alcuni esponenti dell’amministrazione comunale di Erice, gettando ombre sulla gestione della cosa pubblica da parte degli stessi, si dovrà convenire sul fatto che, nell’articolo in quest l’imputato intendesse orientare i lettori verso un giudizio di disvalore etico circa l’operato classe dirigente locale, non certo verso quello della persona offesa. Le espressioni incriminate se correttamente contestualizzate alla luce dell’intero testo scritto, sono ben lungi dal mett in discussione l’imparzialità, la terzietà e l’autonomia della persona offesa, come ritenuto, inve dalla Corte distrettuale.
Quanto ai termini “contrattazione” e “trattativa” (tra p.m. e g.i.p.), la difesa osserva c scelta terminologica può definirsi, a tutto voler concedere, inappropriata. Se l’intento del cron fosse stato quello di gettare discredito sulla persona offesa, la scelta lessicale sarebbe stata diversa e avrebbe mirato a evocare un rapporto di squilibrio tra i due magistrati e l’immagine d un g.i.p. (la persona offesa) appiattito sulle decisioni del p.m. o addirittura mediatore di int diversi da quelli attinenti alla pura applicazione della legge. Ciò vale a escludere la ricorrenz dolo generico, posto che le espressioni citate non sono socialmente interpretabili come offensive.
Del resto, le espressioni asseritamente diffamatorie sono state utilizzate dal cronista riferimento ai complessivi accadimenti narrati nell’articolo, al di là dello specifico epi dell’adozione della misura cautelare.
Mette conto osservare, inoltre, che l’imputato ha narrato fatti rispondenti al vero, atteso 1) la misura cautelare in questione è stata effettivamente adottata molto tempo (circa otto mesi dopo la richiesta formulata dal pubblico ministero; 2) l’Avv. NOME COGNOME sorella d persona offesa, figurava realmente nell’elenco dei legali fiduciari del Comune d’Erice. A t proposito, la difesa osserva che l’asserito tenore offensivo non deriva certo dal testo dell’arti bensì dalla ricostruzione proposta dai giudici di merito, che hanno recepito in sentenza l considerazioni formulate dalla persona offesa in sede di querela, relative al fatto che l’A COGNOME difendesse un soggetto (architetto NOME COGNOME) aspramente criticato dall’imputato nell’articolo a cagione del suo ruolo di progettista di opere del Comune di Erice. Invero, tale d – la nomina, cioè, dell’Avv. COGNOME quale legale di fiducia dell’Arch. COGNOME in altro procedimen penale – era sconosciuto all’autore e mai viene menzionato nell’articolo.
2.2. Con il secondo e terzo motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione al mancato riconoscimento della causa di giustificazione dell’esercizio del diritto critica di cui all’art. 51 cod. pen. La Corte territoriale avrebbe errato nell’applicare i elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di diritto di cronaca e di diritto di politica e, segnatamente, i principi attinenti al dovuto rispetto, da parte del cronista, del n di verità storica dei fatti narrati. E il fatto storico, nel caso di specie, è stato corre raccontato dall’imputato, il quale, senza interporre manipolazioni o offrire una fa rappresentazione della realtà, ha soltanto prospettato una sequenza di fatti veri (vero, particolare, è il dato del ritardo di otto mesi circa nell’adozione della misura cautel oggettivamente verificabili, rispetto ai quali ha espresso un giudizio, sì, fortemente critico avulso tanto da volontà diffamatoria quanto da toni ed espressioni che abbiano travalicato i limite della continenza.
Ove poi si consideri che la persona offesa è un magistrato (peraltro assegnato, all’epoca dei fatti, a un ufficio di estrema delicatezza, in quanto deputato a fornire, con celer immediatezza, una risposta preventiva rispetto a condotte suscettibili di ingenerare grave allarme sociale), non potranno trascurarsi i principi elaborati dalla giurisprudenza di que Corte, in armonia con la quella sovranazionale, in tema di bilanciamento tra i valori di tut della funzione giurisdizionale, da un lato, e la libertà d’espressione, dall’altro. In tale d esercizio di bilanciamento, si è chiarito che occorre garantire il valore del dissenso, nella mis più ampia possibile, anche allorché esso si esprima in forma di critica ai provvedimenti giudizia e ai comportamenti dei magistrati, attesa la funzione di controllo democratico delle istituzi che siffatta critica riveste.
Sostiene la difesa che la Corte territoriale, soffermando la propria attenzione unicamente su singoli sintagmi adoperati dall’imputato, abbia evitato di valutare la finalità precipua che il di critica giudiziaria tende ad assicurare: garantire, anche alimentando dubbi e dissensi, formazione di un’opinione pubblica consapevole, tanto più nel caso in cui la critica sia rivolt provvedimenti destinati ad avere ampia eco pubblica e mediatica. È in tale luce che la Corte d’appello avrebbe dovuto interpretare espressioni quali “nebbia”, “nebuloso”: come parole, cioè, denotative di un dubbio e di un legittimo dissenso verso la valutazione dei fatti operata dal persona offesa, la quale, a fronte di un quadro indiziario solido -tale da giustificare, nell del pubblico ministero, la misura degli arresti domiciliari- ha infine disposto una misura me afflittiva. La motivazione dell’impugnata sentenza sarebbe priva di qualsivoglia argomentata replica al nutrito corredo di eccezioni difensive tese a tematizzare, alla luce delle peculiarit caso di specie . , la libertà d’espressione e il diritto di critica dei cronista.
All’udienza si è svolta trattazione orale del ricorso. Il Sostituto Procuratore gener NOME COGNOME ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso.
È stata trasmessa memoria nell’interesse della parte civile, con la quale si contesta il contenu dei motivi di ricorso e si chiede pronunciarsi il rigetto o l’inammissibilità del ricorso, con con dell’imputato alle spese.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato, limitatamente alle censure concernenti la ritenuta responsabili dell’imputato per le condotte di cui ai punti 1 e 3 dell’imputazione; esso è, invece, infondato quel che riguarda le censure riferite alla responsabilità per la condotta di cui al punto 2 rubrica. Si esporranno dapprima (sub 2) le ragioni per le quali il Collegio ha ritenuto fondato ricorso e, in seguito (sub 3), i motivi dell’infondatezza dello stesso.
I motivi secondo e terzo di ricorso – congiuntamente esaminabili per quanto di seguito si dirà – colgono nel segno nel lamentare l’errata applicazione al caso di specie dei princ elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di diritto di cronaca giudiziaria e di d critica e, segnatamente, dei principi attinenti 1) al dovuto rispetto, da parte del cronist nucleo di verità storica dei fatti narrati; 2) alla continenza delle espressioni utiliz all’interesse pubblico alla notizia riportata (Sez. 5, n. 34432 del 05/06/2007, COGNOME, 237711 – 01: «in tema di diffamazione a mezzo stampa, ricorre l’esimente del diritto di criti giudiziaria allorché sussista il requisito della verità del fatto riferito e criticato, l’interes alla notizia e la continenza espressiva»; in seguito, ex plur., Sez. 5, n. 10631 del 12/02/2009, COGNOME, Rv. 243484; Sez. 5, n. 45249 del 25/10/2021, COGNOME, Rv. 282379).
Si osserva, innanzitutto, che è intrinsecamente contraddittoria la motivazione resa dall Corte d’appello nel punto in cui, da un lato, afferma che i fatti enunciati dal cronista sono (v. p. 5 dell’impugnata sentenza) e, dall’altro, in immediata successione, valorizza il precede di questa Corte, secondo cui «in tema di diffamazione, non è configurabile la scriminante del diritto di critica giudiziaria quando si tacci un magistrato di parzialità per ragioni politic che vi sia prova della verità storica del fatto, per la intrinseca offensività della affermazion involge gli imprescindibili caratteri di indipendenza ed autonomia nell’esercizio della funzi giudiziaria, risolvendosi in una critica alla persona, piuttosto che alle capacità professiona magistrato» (Sez. 5, COGNOME, Rv. 282379 – 02, cit.).
E’ evidente come tale precedente non si attagli al caso in scrutinio: il fatto di cui al 1) della rubrica (“il provvedimento della magistratura, anche questo piuttosto nebuloso se, come viene detto da più parti, è rimasto nel cassetto per mesi, ufficialmente a causa sopraggiungere del Covid-19”), vanta, infatti, un nucleo di verità storica, atteso che la mis cautelare in questione era stata effettivamente adottata dopo circa otto mesi rispetto a richiesta formulata dal pubblico ministero. E, per quel che concerne il fatto di cui al punt della rubrica (l’iscrizione della sorella della persona offesa negli elenchi dei legali fiduc Comune d’Erice), esso trova, a sua volta, corrispondenza nella realtà. A tal proposito, non vi dubbio che l’esimente di cui all’art. 51 cod. pen. sia stata validamente invocata, dat
sussistenza di uno dei presupposti necessari della stessa, vale a dire il nucleo di verità del storico attribuito al diffamato, posto a fondamento della elaborazione critica (ex multis, soprattutto in tema di diffamazione a mezzo stampa, ma con valutazioni che possono, in linea generale, esportarsi alla critica giudiziaria in generale, cfr. Sez. 5, n. 40930 del 27/9 COGNOME, Rv. 257794; Sez. 5, n. 8721 del 17/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272432; Sez. 5, n. 34129 del 10/5/2019, Melia, Rv. 277002).
Deve ritenersi sussistente, inoltre, l’interesse pubblico alla notizia riportata: sottolineato dal ricorrente, all’epoca dei fatti contestati, era indubbio il grave allarme suscitato, nella comunità di Erice, da indagini su reati contro la pubblica amministrazione avevano coinvolto alcuni esponenti dell’amministrazione comunale, gettando ombre sulla gestione della cosa pubblica da parte degli stessi (sull’interesse pubblico alla conoscenza de notizia e alla sua attitudine a contribuire alla formazione della pubblica opinione, si veda, a Sez. 5, n. 51235 del 09/10/2019, COGNOME, Rv. 278299; e, soprattutto, Sez. 5, n. 38096 de 07/10/2010, COGNOME, Rv. 248902).
Venendo al terzo dei requisiti indicati, quello della continenza e, dunque, della forma c cui i fatti sono stati riportati e commentati, devono senz’altro disattendersi le valutazi giudici di appello, che hanno ritenuto superato il limite della continenza sulla base di u iter logico invero discutibile, perché asseverativo. Nell’affermare, infatti, che le espre incriminate “travalicano il limite della continenza, soprattutto in un’ipotesi, quale qu esame, in cui la critica sferzante e caustica coinvolga i canoni fondamentali della funzi giurisdizionale (…) e coinvolga un giudizio di valore e di stima sulla persona del magis piuttosto che sulle sue capacità professionali” (p. 6 dell’impugnata sentenza), la Co distrettuale sembra prescindere da talune puntualizzazioni evidenziate, dalla Corte stessa, motivazione. Ci si riferisce, in particolare, alle molteplici ragioni (non tutte conosc conoscibili) sottese al ritardo nell’adozione del provvedimento cautelare a firma della perso offesa, su cui i giudici d’appello si soffermano. Ed è sempre la Corte distrettuale a ricordar pp. 2-3 della motivazione, nel punto in cui si dà sintesi dei contenuti della querela sporta persona offesa) non soltanto che non tutte quelle ragioni erano conoscibili, ma anche che giornalista non era tenuto né a conoscerle né ad esplorarle tutte.
Ora, le espressioni in esame (“nebuloso”, “rimasto nel cassetto per mesi, ufficialmente causa del sopraggiungere del Covid -19”) sicuramente intendono instillare un dubbio nella mente del lettore; e l’intento di sollecitare un dubbio critico nel lettore traspare anche nei fat al punto 3 dell’imputazione (l’iscrizione della sorella della persona offesa nell’elenco dei fiduciari del Comune d’Erice).
Ma non può anche ritenersi che dette espressioni travalichino i limiti della continenz mancando, nelle espressioni incriminate, il carattere di mera aggressione verbale del soggett criticato o di gratuita umiliazione. A tal proposito, gioverà ricordare che il limite della co postula «una forma espositiva corretta della critica rivolta – e cioè strettamente funzional finalità di disapprovazione, che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell’alt
reputazione» (Rv. 267866 – 01, cit.; Sez. 5, n. 17243 del 19/02/2020, COGNOME, Rv. 279133 01). Soprattutto, deve ribadirsi l’orientamento di questa Corte in tema di diritto di crit provvedimenti giudiziari e dei comportamenti dei magistrati, che deve essere riconosciuto nel modo più ampio possibile, costituendo, quel diritto, ·«l’unico reale ed efficace strumento controllo democratico dell’esercizio di una rilevante attività istituzionale, che viene esercita nome del popolo italiano da soggetti che, a garanzia della fondamentale libertà della decisione godono di ampia autonomia ed indipendenza; ne deriva che il limite della continenza può ritenersi superato soltanto in presenza di espressioni che, in quanto inutilmente umilian trasmodino nella gratuita aggressione verbale del soggetto criticato» (Sez. 5, n. 19960 de 30/01/2019, COGNOME, Rv. 276891 – 02).
Tale orientamento giurisprudenziale attesta la peculiare attenzione per un bilanciamento della critica giudiziaria con i valori di tutela dell’onore dei magistrati: bilanciamento che si anche come attitudine costante a coltivare il valore del dissenso in democrazia (tra le mol pronunce, si segnalano: Sez. 5, ord. n. 5638 del 16/1/2015, COGNOME, Rv. 263467; Sez. 5, n. 2890 del 4/12/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 212693; Sez. 5, n. 28661 del 9/6/2004, COGNOME, Rv. 229312; Sez. 5, n. 20091 del 24/01/2024, COGNOME e a., mm.).
Siffatto orientamento giurisprudenziale trova peraltro radicamento nei principi elabora dalla Corte di Strasburgo: quest’ultima (cfr., ad es., Morice c. Francia del 23 aprile 2015) ha chiarito come il diritto di critica nei confronti di esponenti della magistratura corrispond interesse pubblico e goda di limiti più ampi di quello esercitabile nei confronti dei nor cittadini, purché la critica non si traduca in “attacchi gravemente lesivi e infondati”, delin in tal modo, le coordinate per una corretta declinazione dell’esercizio legittimo del diritto di nei riguardi dell’operato della magistratura (per una ricostruzione in senso analogo, cfr. Sez. n. 19889 del 17/2/2021, COGNOME, Rv. 281264).
Non possono invece ritenersi fondati i motivi di ricorso con riguardo alle censure rife alla responsabilità per la condotta di cui al punto 2 della rubrica. Nessuno dei tre motivi di r coglie nel segno; in particolare, non si ritiene sussistente il requisito – necessario, per le già espresse, ai fini dell’invocazione dell’esimente di cui all’art. 51 cod. pen. – del risp parte del cronista, del nucleo di verità storica del fatto narrato.
Invero, nel rappresentare il provvedimento cautelare reso dalla persona offesa nei termini di risultato di una “contrattazione” tra pubblico ministero e g.i.p. (posto che il primo richiesto la misura cautelare degli arresti donniciliari e che la persona offesa aveva decis adottare una meno afflittiva misura cautelare), e definendo inoltre tale “trattativa” nei te di “una seconda nebbia”, l’imputato ha alluso – in assoluta mancanza di prove in ordine all verità del fatto esposto e posto a base della critica rivolta (cfr. Sez. 5, n. 7662 del 31/01 COGNOME, Rv. 236524 – 01, su cui infra) a un comportamento della persona offesa riprovevole, in quanto evocativo di un’immagine di un magistrato stretto, per qualche oscuro motivo non altrimenti argomentato, tra pressioni opposte, ossia tra interessi privati che avrebbero condot a ritardare l’intervento cautelare e le richieste dell’organo inquirente. In tal senso
condivisibili le osservazioni della Corte distrettuale, che ha giudicato il termine “contrattaz dal significato inequivoco e non suscettibile di diversa interpretazione, come allusivo un’immagine di giudice asservito alle pressioni dell’organo inquirente.
Deve, pertanto, ribadirsi il principio giurisprudenziale, secondo cui «in tema di diffamazio a mezzo stampa, l’esercizio del diritto di critica richiede la verità del fatto attribuito e a presupposto delle espressioni criticate, in quanto – fermo restando che la realtà può esser percepita in modo differente e che due narrazioni dello stesso fatto possono perciò stesso rivelar divergenze anche marcate – non può essere consentito attribuire ad un soggetto specifici comportamenti mai tenuti o espressioni mai pronunciate, per poi esporlo a critica come se quei fatti o quelle espressioni fossero effettivamente a lui riferibili; pertanto, limitatamente al del fatto, non sussiste alcuna apprezzabile differenza tra l’esimente del diritto di critica e del diritto di cronaca, costituendo per entrambe presupposto di operatività» (in applicazione questo principio questa Corte ha reputato immune da censure la decisione con cui il giudice di appello ha ritenuto integrato il delitto di cui all’art. 595 cod. pen. ed escluso conseguentem l’esimente del diritto di critica nei confronti dell’autore di un libro contenente acc deviazionismo giudiziario nei confronti di alcuni magistrati appartenenti all’Ufficio del Pubb Ministero in assoluta mancanza di prove: Sez. 5, COGNOME, Rv. 236524 – 01, cit.).
Ritiene il Collegio che quanto appena affermato resti valido senza che, in contrario, rile l’orientamento di questa Corte, ove si sono precisati i limiti – diversi – di cui gode il critica rispetto a quello di cronaca (Sez. 5, n. 2247 del 02/07/2004, dep. 2005, p.g. in p COGNOME, Rv. 231269 – 01: «il diritto di critica si differenzia essenzialmente da quello di cr in quanto, a differenza di quest’ultimo non si concretizza nella narrazione di fatti, nell’espressione di un giudizio e, più in generale, di un’opinione che, come tale, non p pretendersi rigorosamente obiettiva, posto che la critica non può che essere fondata su un’interpretazione necessariamente soggettiva dei fatti»), con la conseguenza che, allorché i discorso giornalistico abbia «una funzione prevalentemente valutativa, non si porrebbe un problema di veridicità delle proposizioni assertive, in quanto i limiti scriminanti del di critica, garantito dall’art. 21 Cost., sono solo quelli costituiti dalla rilevanz dell’argomento e dalla correttezza di espressione, con la ulteriore conseguenza che detti lim sono superati ove l’agente trascenda in attacchi personali, diretti a colpire su un piano individ la sfera morale del soggetto criticato, penalmente protetta» (in applicazione di tale princi questa Corte ha ritenuto sussistente la scriminante dell’esercizio del diritto di critica con ri ad un articolo in cui il giornalista aveva criticato le modalità di svolgimento di alcune in dirette da un P.M., usando l’espressione “bulimia istruttoria”).
Nel caso di specie, il dubbio valutativo insinuato rispetto al provvedimento cautelare esplica introducendo un dato esplicito centrale – quello dell’asserita ‘contrattazione’ tra P G.I.P. – privo di un benché minimo substrato di riscontro. Nella fattispecie in esame la cri rimane, quindi, irrimediabilmente inficiata perché strumentalmente legata ad un dato di fatto
di indubbio rilievo nella fisionomia del giudizio di valore che si è inteso, intorno ad esso, cos – del tutto privo di consistenza storica.
Per le ragioni fin qui illustrate, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinv limitatamente alle condotte di cui ai punti 1 e 3 dell’imputazione, perché il fatto non costi reato.
Sicché, tenuto conto che questa Corte, qualora non siano necessari nuovi accertamenti di fatto, può procedere direttamente alla rideterminazione sia della pena che del danno liquidato i favore della parte civile, ai sensi della nuova formulazione dell’art. 620, lett. I), cod. pro come sostituito dall’art. 1, comma 67, legge n. 103 del 2017, sulla base degli elementi di fat che emergono dal giudizio di merito, già accertati, e delle statuizioni adottate dal giudic merito (cfr. Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017, dep. 24/01/2018, COGNOME, Rv. 271831; Sez. 6, n. 12391 del 18/01/2018, Rv. 272458 – 01; Sez. 5, n. 3539 del 17/12/2018, dep. 24/01/2019, Rv. 275414 – 01), si è proceduto, ricorrendone i presupposti nel caso di specie, alle conseguent (ri)determinazioni in punto di pena e di danno. ,o
, 141 – 0 Per l’effetto, la pena della multa, originariamente inflitta, di euro 688,00 (p.b., tenu giudizio di equivalenza delle circostanze, euro 1.032,00, ridotta di un terzo ad euro 688,00) stata rideterminata, alla stregua dei parametri indicati dal giudice di merito – ‘tenore delle p impiegate e potenziale diffusività delle stesse’ – in euro 466,67 (p.b., sempre alla luce del giu di equivalenza delle circostanze, euro 700, ridotta per il rito, ad euro 466,67).
Quanto all’ammontare del risarcimento, esso è stato determinato dal giudice di merito, in via equitativa, per tutte le ipotesi originariamente ascritte, in complessivi euro 20.000. Sic essendo venute meno le condotte di cui ai punti 1 e 2, valutate in connessione tra loro dal giudice di merito, il danno residuo deve essere rideterminato in euro 10.000,00.
Il ricorso deve invece essere rigettato nel resto, con conseguente condanna dell’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa in favore della parte civile, liquida complessivi euro 3000,00 (cfr. Sez. 5, n. 22780 del 25/03/2021, Rv. 281436 – 03; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 207946 – 01, entrambe in tema di condanna dell’imputato alla rifusione delle spese di parte civile in caso di parziale accoglimento dell’impugnazione), o – ovviamente – accessori di legge.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle condotte di cui ai punti 1 e dell’imputazione, perché il fatto non costituisce reato e per l’effetto riduce la pena inflitta 466, 67 di multa, così ridotta per il rito, e ridetermina il risarcimento del danno in euro 10.00 Rigetta nel resto il ricorso e condanna l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanz difesa in favore della parte civile che liquida in complessivi euro 3.000,00.
Così deciso in Roma il 09/10/2024
Il consigliere estensore
GLYPH
Il presidente