Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14555 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14555 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: dalla parte civile COGNOME nato a TORINO il 12/07/1945 nel procedimento a carico di:
COGNOME nato a MILANO il 11/12/1953
avverso la sentenza del 10/06/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso riportandosi alla requisitoria scritta già depositata.
udito il difensore
L’avvocato COGNOME NOME si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento; deposita nota spese e conclusioni alle quali si riporta.
L’avvocato NOME insiste per la conferma della sentenza di assoluzione impugnata.
L’avvocato NOME si associa alle richieste del cb-difensore.
Ritenuto in fatto
È oggetto di ricorso la sentenza del 10 giugno 2024, con cui la Corte d’appello di Brescia, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha assolto, per insussistenza del fatto, NOME COGNOME dal delitto di diffamazione nei confronti di NOME COGNOME. Le affermazioni oggetto d’imputazione venivano rese dall’imputato 11 16 gennaio 2018, in occasione della conferenza stampa presso l’Associazione Lombarda dei giornalisti per la presentazione del libro “Vicolo Tobagi” e afferivano alla conduzione, da parte dei Carabinieri della sezione anticrimine di Milano, delle attività preventive volte a evitare l’omicidio di NOME COGNOME, nonché delle indagini successive dirette a identificarne gli autori. Presso la citata sezione anticrimine di Milano, prestava servizio l’odierna parte civile COGNOME negli anni 1979-1980.
Secondo la rubrica, l’imputato affermava quanto segue: “nella vicenda Tobagi ci sono state certamente delle leggerezze e delle inadempienze, in quanto, prima dell’omicidio, i carabinieri avevano avuto segnali precisi del fatto che Tobagi fosse diventato un obiettivo.., il sottoufficiale dei Carabinieri NOME COGNOME aveva ricevuto e trasmesso ai superiori confidenze da un informatore, NOME COGNOME (appartenente alle Formazioni combattenti comuniste), che indicavano essere Tobagi, già nel dicembre del 1979, nel mirino di un nuovo gruppo che stava nascendo…. Forse, se queste informative fossero state valutate con più attenzione, si sarebbe potuto evitare l’omicidio di NOME COGNOME“.
Con un secondo gruppo di affermazioni, si lasciava intendere che i Carabinieri avessero fatto sparire le annotazioni del sottoufficiale COGNOME per nascondere il loro errore. I Carabinieri resisi conto del loro errore (l’avere cioè trascurato le annotazioni del COGNOME) avrebbero inscenato “una finta indagine” …”storielle”, “una storia inventata a posteriori”…
In primo grado, il Tribunale di Brescia, con sentenza del 17 luglio 2023, aveva pronunciato condanna limitatamente al secondo gruppo di affermazioni, relative al doloso occultamento delle relazioni asseritamente sottoposte da NOME COGNOME ai propri superiori gerarchici e alla creazione di una “finta pista” investigativa volta a giustificare a posteriori l’individuazione degli autori dell’omicidio del giornalista.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la parte civile, NOME COGNOME per il tramite del proprio difensore, Avv. NOME COGNOME affidando le proprie censure a due motivi, di seguito enunciato nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 Con il primo motivo, si duole di vizio di motivazione per avere la Corte d’appello ritenuto la condotta dell’imputato scriminata dal diritto di critica. Le critiche della difesa riguardano i seguenti passaggi della motivazione: in primo
luogo, è illogico sostenere che la platea della conferenza stampa fosse composta da interlocutori esperti, posto che l’evento era aperto a tutti, tanto da essere trasmesso, poi, anche su piattaforma youtube; pertanto, osserva la difesa, i fatti narrati dall’imputato avrebbero meritato di essere narrati con maggior dettaglio, anche tecnico, data la complessità delle vicende riferite e data la qualifica di magistrato dell’imputato. La circostanza, valorizzata dalla Corte, che nessuno degli astanti chiese delucidazioni al narratore-imputato prova soltanto che il pubblico credette alle affermazioni diffamatorie del Salvini e non, come ritenuto dalla Corte, che l’uditorio riuscì a soppesare le sue imprecise affermazioni. In secondo luogo, l’imputato non si limitava a riassumere “in modo sbrigativo e colorito” quanto riferito da precedenti relatori, esprimendo bensì una sua personale tesi secondo cui i superiori del COGNOME -tra i quali figurava l’odierna parte civile – avevano fatto sparire le relazioni del sottoufficiale COGNOME, contenenti i nomi degli assassini di Tobagi, per poi inscenare una finta indagine. La difesa rimarca la contraddizione in cui s’imbatte la Corte territoriale, descrivendo, per un verso,tteeeri4le indagini che portarono alla identificazione di NOME COGNOME (uno degli autori dell’omicidio di Tobagi) come effettive e reali, dall’altro, considerando non diffamatorie le espressioni con cui quelle stesse indagini sono state definite finte o inventate. In terzo luogo, la Corte territoriale, pur dopo avere ribadito che le relazioni del sottoufficiale COGNOME, certamente esistite, non fornivano però i nomi dei soggetti coinvolti nell’omicidio COGNOME, ha concluso per l’assoluzione ritenendo che mai l’imputato avesse formulato il nome dell’odierno ricorrente, COGNOME come possibile autore della sottrazione delle relazioni né avesse circostanziato in termini temporali tale condotta. In realtà, osserva la difesa, l’imputato aveva ben contestualizzato la sparizione delle relazioni, affermando che ciò avvenne in seguito a un alterco che il sottoufficiale COGNOME ebbe con i suoi superiori dell’epoca (COGNOME e tal COGNOME) dopo la morte di Tobagi, in seguito al quale il COGNOME fu “buttato fuori” e le relazioni fatte sparire. Di conseguenza, la motivazione è illogica anche nel punto in cui si sostiene che l’imputato avrebbe rivolto le accuse dell’indebita sparizione delle relazioni non già all’odierno ricorrente, bensì a persone che, in epoca successiva all’omicidio di Tobagi -1980-, ebbero in custodia le relazioni ed ebbero interesse a farle sparire allorché, nel 1983, l’opinione pubblica fu portata a conoscenza della relazione del Covolo del 1979. Tali asserzioni confliggono con quanto espresso in conferenza stampa dall’imputato, . che mai fece cenno al fatto che nel 1982 COGNOME non era più in servizio presso la Sezione anticrimine. (V)
2.2 Col secondo motivo, si lamenta violazione di legge, in relazione agli artt. 51 e 595 cod. pen. Secondo la difesa, i vizi motivazionali dell’impugnata sentenza, prima enunciati, si riflettono senza soluzione di continuità nella violazione di legge.
I principi giurisprudenziali invocati dalla Corte territoriale per dimostrare la sussistenza, nel caso di specie, della scriminante del diritto di critica confliggono con le evidenze probatorie: infatti 1) la verità del fatto storico posto alla base dell’elaborazione critica non esiste, avendo l’imputato definito indagini -in realtà effettivamente svolte – nei termini di false indagini, storielle costruite ad hoc per poter identificare, a posteriori, l’autore dell’omicidio; inoltre, 2) l’asserita impossibilità di individuare l’odierna parte civile quale persona diffamata non tiene in adeguato conto la giurisprudenza di questa Corte secondo cui non osta all’integrazione del reato di diffamazione l’assenza di indicazione nominativa del soggetto asseritamente diffamato, ove lo stesso sia egualmente individuabile, sia pure da un numero limitato di persone, attraverso la prospettazione oggettiva dell’offesa. Come già accennato, gli specifici riferimenti temporali e personali all’odierno ricorrente, durante la conferenza stampa, consentivano senz’altro agli astanti di individuare la persona del COGNOME.
All’udienza si è svolta trattazione orale del ricorso. Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso. La difesa dell’imputato ha depositato memoria conclusionale, chiedendo l’inammissibilità o il rigetto del ricorso, allegando altresì materiale documentale già prodotto in grado d’appello.
Considerato in diritto
I due motivi di ricorso, congiuntamente esaminabili data la stretta connessione logica che li avvince, sono infondati, per le ragioni di seguito esposte.
1.1 Dalla motivazione dell’impugnato provvedimento emerge la corretta applicazione, al caso di specie, dei principi giurisprudenziali invocati dalla Corte territoriale in tema di diritto di critica, ciò che depriva di fondamento gran parte del ricorso.
Quanto al criterio della verità del fatto storico (che è anche l’unico profilo lamentato dal ricorrente con riguardo alla ritenuta scriminante, non vertendo il motivo né sulla continenza né sull’interesse pubblico alla notizia), la Corte territoriale ha evidenziato, senza incorrere nella dedotta illogicità, come il ricorrente, per un verso, abbia fatto riferimento a fatti storicamente appurati (vale a dire le relazioni approntate, all’epoca, dal COGNOME e le indagini che avevano consentito di individuare e arrestare NOME COGNOME in quanto concorrente in un precedente reato di terrorismo) e, dall’altro, nel legittimo esercizio del diritto di critica, abbia espresso una propria opinione, riferendosi alla “finta indagine…la storiella inventata a posteriori” dai Carabinieri, per coprire le mancanze in cui gli
investigatori erano incorsi sottovalutando le relazioni del Covolo circa i segnali di un possibile attentato ai danni di Tobagi. Più precisamente, la Corte distrettuale ha chiarito come la tesi espressa dall’imputato fosse volta a denunciare un uso strumentale dell’indagine, effettivamente svolta, su NOME COGNOME (in particolare, l’indagine sulla grafia di quest’ultimo), in relazione a una vicenda di minor rilevanza (rispetto alla vicenda dell’omicidio di Tobagi), che portò all’arresto del COGNOME; secondo l’opinione espressa dall’imputato, dunque, i carabinieri della Sezione anticrimine avevano valorizzato ex post una vicenda penale di minor rilevanza (una rapina ai danni di forze dell’ordine, posta in essere dal COGNOME e da altri) al fine di spiegare come si fosse giunti ad arrestare COGNOME per l’omicidio di NOME COGNOME.
Ora, diversamente da quanto lamentato dal ricorrente, tale distinguo non è affatto frutto di un’illogica scissione delle propalazioni del ricorrente. La “scissione” eccepita altro non è che una corretta operazione ermeneutica, necessaria per verificare se la seconda parte dell’espressione incriminata (la finta indagine…la storiella inventata a posteriori” dai Carabinieri), t fosse o meno coperta dalla scriminante del diritto di critica. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di diffamazione, infatti, «ai fini della applicazione dell’esimente dell’esercizio del di.ritto di critica, non può prescindersi dal requisito della verità del fatto storico ove tale fatto sia posto a fondamento della elaborazione critica» (cfr., ex plur., Sez. 5, n. 8721 del 17/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272432- 01).
A tale principio di diritto, Corte d’appello ha dato corretta applicazione, evidenziando come la prima parte dell’espressione fosse relativa a fatti storicamente accertati e, segnatamente, 1) l’effettiva esistenza di più relazioni redatte dal Covolo sulla base delle informazioni ricevute da NOME COGNOME il cd. “postino di Varese”: su tale dato -ha ricordato la Corte d’appello- concordava pacificamente anche il giudice di primo grado, come risulta, in particolare, dalla pag. 6 della decisione del Tribunale di Brescia del 17 luglio 2023; 2) la sparizione delle relazioni, contenenti nominativi di soggetti coinvolti nell’omicidio COGNOME.
Quanto alla seconda parte delle affermazioni (la “finta indagine”…, la “storiella” inventata a posteriori” dai Carabinieri), essa è stata considerata, con motivazione esente dalle dedotte censure, scriminata dal diritto di critica, sul presupposto che l’imputato espresse, in quella sede, seppure in forma sbrigativa e sintetica, un’opinione critica circa fatti storici accertati, davanti a un pubblico mediamente qualificato.
Si osserva, a tal proposito, come il livello di confronto delle tesi difensive con la motivazione sia inadeguato a disarticolare la tenuta dell’ordito motivazionale: il ricorrente non ha infatti considerato la puntuale ricostruzione, operata dai giudici dell’appello, del più generale contesto all’interno del quale le incriminate
espressioni furono rese (cfr., ad es., Sez. 5, n. 37124 del 15/07/2008, P. g. in proc. COGNOME, Rv. 242019 – 01, «in tema di diffamazione a mezzo stampa, indipendentemente dalla forma grammaticale o sintattica delle frasi o delle locuzioni adoperate, assume rilevanza la loro capacità di ledere o mettere in pericolo l’altrui reputazione, realizzandosi il reato anche quando il contesto della pubblicazione determini il mutamento del significato apparente di una o più frasi, altrimenti non diffamatorie, attribuendo ad esse un contenuto allusivo percepibile dal lettore medio»).
Sul punto, la Corte d’appello ha precisato che, in occasione della conferenza stampa, l’intervento dell’imputato era stato preceduto da quello di altri relatori (il giornalista COGNOME, in particolare), i quali avevano già riferito, tra l’altro, 1) della circostanza che, a distanza di sole 70 ore dopo l’omicidio del Tobagi, NOME COGNOME -persona pressoché sconosciuta agli inquirenti- iniziò a essere pedinato dalle forze dell’ordine 2) dell’inspiegabile sorpresa degli inquirenti allorché il COGNOME spontaneamente confessò l’omicidio di COGNOME.
Tale opportuna contestualizzazione dell’evento, e del succedersi dei vari relatori, rende infondate le censure di difetto motivazionale, che percorrono parte del primo motivo, relative al tipo di platea (in tesi difensiva, non del tutto qualificata, anche in vista della trasmissione dell’evento su piattaforma youtube) al quale l’imputato si rivolgeva. A tal riguardo, deve precisarsi che è da escludere il carattere offensivo delle propalazioni allorché il pubblico abbia avuto la possibilità di ascoltare, senza un particolare sforzo di attenzione, l’intervento nella sua interezza e valutare il contesto in cui esso si inserisce (v., ad es., Sez. 5, n. 13017 del 23/02/2024, COGNOME, Rv. 286121 – 01, enfasi aggiunta).
1.2 È, infine, infondata l’eccezione relativa all’asserita individuabilità della persona offesa. Secondo il condiviso orientamento di questa Corte in tema di diffamazione a mezzo stampa, l’individuazione del destinatario dell’offesa deve essere deducibile, in termini di affidabile certezza, dalla stessa prospettazione dell’offesa, sicché è necessario fare ricorso a un criterio oggettivo, non essendo consentito il ricorso ad intuizioni o soggettive congetture di persone che ritengano di potere essere destinatari dell’offesa (v. già Sez. 5, n. 11747 del 05/12/2008, dep. 2009, Ferrara, Rv. 243329 – 01, corsivi nostri).
Ebbene, che tale affidabile certezza circa il destinatario dell’offesa ricorra nel caso in esame è proprio quanto la Corte d’appello ha ragionevolmente ed esplicitamente escluso: e, ciò, non soltanto perché il nome del COGNOME quale responsabile delle sottrazioni delle relazioni del COGNOME non è mai stato pronunciato dall’imputato, ma anche per il riferimento, operato da quest’ultimo, alla circostanza in cui in cui il Ministro COGNOME rendeva pubblicamente nota l’informativa, a firma di COGNOME, in cui si anticipava il pericolo corso da COGNOME.
Quel momento storico, come chiarito dalla Corte distrettuale, era successivo all’epoca (settembre 1982) di fuoriuscita del COGNOME dalla Sezione anticrimine, ciò
che ha portato la Corte d’appello a escludere, da un punto di vista logico, che l’imputato abbia alluso al fatto che il COGNOME avesse ancora in custodia, dopo il
1982, i materiali della Sezione, e che, di conseguenza, egli fosse l’autore della dolosa sparizione delle relazioni.
2. Per le ragioni fin qui evidenziate, il Collegio rigetta il ricorso. Alla pronuncia di rigetto consegue,
ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 06/02/2025
Il consigliere estensore
Il presidente