Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2352 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2352 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
dalla parte civile NOME nato a MODICA il 07/04/1963 nel procedimento a carico di:
MILANA COGNOME nato a MODICA il 30/07/1977
avverso la sentenza del 10/01/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso
Udito il difensore di parte civile, avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo nel ricorso e chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata e la trasmissione degli atti al giudice civile competente.
Udito il difensore dell’imputato, avv.COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso o il rigetto.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Catania ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Ragusa, in data 20/06/2022, che ha assolto COGNOME NOME dal reato di cui agli articoli 81, cpv., 595, commi 2 e 3, cod.pen., in relazione all’accusa di avere offeso la reputazione di COGNOME NOME, in particolare pubblicando sul proprio profilo Facebook, in data 22 gennaio 2020, un “comunicato” nel quale si affermava che lo COGNOME lo aveva denunciato come autore di un’aggressione fisica ai suoi danni soltanto “per fine di ritorsione personale”, collegando tale affermazione al contenuto di precedenti denunce presentate dall’imputato nei confronti della medesima parte offesa, all’epoca assessore del Comune di Ispica; inoltre, per avere inoltrato, in data 24 gennaio 2020, al Sindaco del medesimo Comune una nota con la quale chiedeva di rimuovere la persona offesa dalla carica ricoperta in quanto lo aveva calunniato ingiustamente.
Il Tribunale di Ragusa aveva assolto l’imputato dal reato contestato perché il fatto non costituisce reato, ritenendo sussistente la scriminante del diritto critica, ai sensi dell’art. 51 cod.pen. considerando, inoltre, che il medesimo avesse agito nell’esercizio del suo diritto di libertà di espressione e di difesa nell’ambito di un’accesa contestazione dell’operato della persona offesa, allora assessore alla polizia municipale del Comune di Ispica. La Corte d’appello ha confermato tale specifica ultima prospettiva evidenziando come l’imputato, essendo stato accusato dallo COGNOME di un’azione lesiva di natura violenta riferita agli organi di stampa, avesse esercitato in chiave difensiva il suo dirit alla libera manifestazione di pensiero, tutelato dall’art. 21 della Costituzione, pe reagire alle accuse dello COGNOME
La parte civile, per il tramite del suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione.
2.1. Denuncia, con primo motivo, vizio di violazione di legge per l’erronea applicazione degli articoli 51 e 595 cod. pen.
L’avere l’imputato affermato che la querela presentata nei suoi confronti sia stata frutto di “una ritorsione personale” collegata a “precedenti e plurime denunce (presentate) in passato contro lo stesso assessore, inoltrate dal dicembre 2019 fino al 14 gennaio 2020”, costituirebbe condotta di indubbio valore diffamatorio. Deduce, con richiamo di argomenti giurisprudenziali, che il diritto di critica presuppone un necessario bilanciamento degli interessi in conflitto, sotto il profilo dell’interesse sociale, della continenza del linguaggi della verità del fatto narrato e sostiene che soprattutto il comunicato del 20 gennaio 2020, pubblicato sul profilo Facebook, non abbia rispettato i parametri della continenza del linguaggio e della verità dal fatto narrato. Riportandosi alla
distinzione fra critica ad esclusivo contenuto valutativo e critica che prende a riferimento un fatto storico, deduce che la condotta dell’imputato dovrebbe appunto essere ricondotta a tale ultima ipotesi: l’imputato, avendo fatto riferimento ad un fatto preciso, avrebbe dovuto attenersi ad un criterio di verità mentre non corrispondeva al vero che la persona offesa fosse stata in precedenza denunciata dall’imputato.
2.2. Con secondo motivo censura vizio di motivazione della sentenza, per contraddittorietà e manifesta illogicità della stessa. La Corte di appello, senza alcun elemento di prova, ha inquadrato il confronto tra il ricorrente ed il Milana in un ambito politico, ritenendo erroneamente che la notizia dell’aggressione fosse stata riferita dallo stesso COGNOME agli organi di stampa. Tuttavia, la persona offesa (per come dalla medesima dichiarato) non aveva dato alcuna pubblicità alla querela sporta in danno del Milana, anche se la notizia dell’aggressione, per altre vie, era giunta a conoscenza di un organo di informazione; di conseguenza non era legittima la risposta dell’imputato che non poteva essere inserita in un contesto politico nè in un confronto dialettico tra le parti: l’imputato non avrebbe dovuto rivolgersi direttamente alla persona offesa perché quest’ultima non l’aveva mai pubblicamente attaccato né accusato: piuttosto avrebbe dovuto rivolgersi agli organi di stampa e, in genere, all’opinione pubblica chiarendo la propria posizione ma, in ogni caso, con modalità di serena esposizione e con la prospettiva del futuro chiarimento giudiziario.
3.11 Sostituto Procuratore generale ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore di parte civile ha concluso insistendo nel ricorso e chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata e la trasmissione degli atti al giudice civile competente.
Il difensore dell’imputato ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso o il rigetto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
NOME Occorre premettere che in materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare l’offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta
contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell’imputato. (Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014,Rv. 26128401; Sez. 5, n. 2473 de/ 10/10/2019, dep. 2020, Rv. 278145 – 01; Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, dep. 2020, NOME, Rv. 278145; Sez. 5, n. 48698 del 19/9/2014, COGNOME, Rv. 261284; Sez. 5, n. 41869 del 14/2/2013, NOME, Rv. 256706; Sez. 5, n. 832 del 21/6/2005, dep. 2006, COGNOME, Rv. 233749).
2.11 primo motivo è infondato. La sentenza impugnata va scrutinata sulla base della ricostruzione dei fatti operata nel corso dei giudizi di merito. Occorre allora premettere che: all’epoca dei fatti l’imputato era consigliere comunale ad Ispica mentre la parte civile era Vice Sindaco; l’azienda di famiglia dell’imputato era stata danneggiata dall’emissione di un’ordinanza del Comune che aveva interdetto, rispetto alla stessa, l’uscita e l’accesso dei veicoli destinati trasporto di prodotti ortofrutticoli aventi un determinato carico; l’azienda aveva richiesto ripetutamente, ma invano, la modifica dell’ordinanza, tra il dicembre 2019 ed il febbraio 2020; in data 21 gennaio 2020, era stato pubblicato un articolo di giornale in cui si dava atto della denuncia a carico del COGNOME per “un’aggressione fisica” allo Stornello da cui sarebbe derivata “una frattura ad un dito della mano sx”; il giorno successivo l’imputato aveva pubblicato su Facebook un comunicato con il quale evidenziava il carattere ritorsivo della predetta querela, collegandola alle precedenti denunce presentate, a sua volta, nei confronti della parte civile; successivamente ancora, il 24 gennaio 2020, l’imputato aveva indirizzato al Sindaco del Comune una nota con la quale aveva chiesto la rimozione della parte civile dalla carica di assessore, lamentando di essere stato calunniato.
2.1. Nella fattispecie in esame, la sentenza impugnata nel ricondurre la condotta dell’imputato nella sfera applicativa dell’esercizio del diritto di libe espressione del pensiero ha dato continuità ad un consolidato insegnamento di questa Corte secondo il quale non costituiscono diffamazione le condotte che rappresentano esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, sempre che le stesse non si risolvano in uno strumento di avvilimento della dignità delle persone o in un mezzo per perseguire altre finalità illecite. In particolare, «i diritto di critica si esplica nella formulazione di un giudizio di valore ci determinate circostanze, rientrando dunque tra le modalità di manifestazione del libero pensiero, tutelato direttamente dall’art. 21 Cost. non solo con riferimento ai giornalisti o a chi fa informazione professionalmente, essendo riservato all’individuo uti civis (Sez. 5, n. 31392 del 01/07/2008, Rv. 241182)» (Sez. 5, n. 32829 del 20/03/2019, Rv. 276588 – 01). Tale diritto può essere evocato quale scriminate, ai sensi dell’art. 51 cod. pen., rispetto al reato di diffamazione
purché venga esercitato nel rispetto dei limiti della veridicità dei fatti, del pertinenza degli argomenti e della continenza espressiva. Secondo le linee ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza e dalla dottrina, non è consentito attribuire ad altri fatti non veri, venendo a mancare, in tale evenienza, la finalizzazione critica dell’espressione, né trasmodare nell’invettiva gratuita, salvo che l’offesa sia necessaria e funzionale alla costruzione del giudizio critico (Sez. 5 n. 37397 del 24/06/2016, Rv. 267866). Inoltre, il requisito della continenza nella duplice connotazione di continenza sostanziale (attinente alla natura e latitudine dei fatti riferiti e delle opinioni espresse, in relazione all’inter pubblico alla comunicazione) e di continenza formale (concernente il modo con cui il racconto sul fatto è reso, o il giudizio critico esternato, e presupponente una forma espositiva proporzionata e non ingiustificatamente sovrabbondante al fine del concetto da esprimere)- postula una forma espositiva corretta della critica senza trasmodare nella gratuita e immotivata aggressione dell’altrui reputazione, pur non essendo lo stesso incompatibile con l’uso di termini che, pure oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico, per non esservi adeguati equivalenti (Sez. 5, n. 11905 del 05/11/1997, G, Rv. 209647). Al tempo stesso, per delimitare il perimetro applicativo del diritto di critica, è necessario contestualizzare le espressioni intrinsecamente ingiuriose, ossia valutarle in relazione al contesto spazio temporale e dialettico nel quale sono state profferite, così da verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur forti e sferzanti, non risultino meramente gratuiti, m siano invece pertinenti al tema in discussione, proporzionati al fatto narrato e funzionali al concetto da esprimere (Sez. 5 n. 32027 del 23/03/2018, Rv. 273573). La diversità dei contesti, così come la differente responsabilità e natura della funzione dei soggetti ai quali la critica è rivolta, possono giustificar attacchi anche violenti se proporzionati ai valori in gioco che si ritengono compromessi così che, in definitiva, sono gli interessi in gioco a segnare la “misura” delle espressioni consentite (Sez. 1, n. 36045 del 13/06/2014, P.M in proc. COGNOME, Rv. 261122; Sez. 5, n. 21145 del 18/04/2019 Rv. 275554). Compito del giudice è, dunque, quello di verificare se il negativo giudizio di valore espresso possa essere, in qualche modo, giustificabile nell’ambito di un contesto critico e funzionale all’argomentazione, con il solo limite negativo dell’invettiva personale (Sez. 5 n. 31669 del 14/04/2015, Rv. 264442; Sez. 5 n. 15060 del 23/02/2011, Rv. 250174; Sez. 5 n. 37397 del 24/06/2016, Rv. 267866). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nella fattispecie in esame, correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto scriminata la condotta dell’imputato dal diritto di libertà manifestazione del pensiero e di critica considerata la consequenzialità
cronologica degli avvenimenti e la veridicità del dato rappresentato in ordine alla sussistenza di una precederkquerelle fra le parti determinata dall’adozione – da parte del ricorrente, nella qualità di assessore – di provvedimenti concernenti la viabilità, non graditi dall’imputato in quanto contrari agli interessi della su azienda ( per come accertato dalla sentenza di primo grado). Ciò non equivale a dire che la denuncia contro il Milana sia stata effettivamente determinata da propositi di reazione della parte civile, odierna ricorrente, bensì soltanto che l’opinione espressa, da parte dell’imputato, riguardo a tale carattere deve ritenersi scriminata in quanto riconducibile all’esercizio del diritto di libertà manifestazione del pensiero e di critica, dovendosi, altresì, rilevare che, attraverso essa, il medesimo ha sostanzialmente anticipato, in chiave difensiva, la sua versione così da replicare ad un’accusa ritenuta ingiusta.
3.11 secondo motivo è manifestamente infondato. Il ricorso sembra invocare il vizio del travisamento della prova, mediante l’allegazione di brani di dichiarazioni della persona offesa, senza, tuttavia dimostrare la decisività dei dati probatori asseritamente travisati, dovendosi rilevare che il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne né la ricostruzione dei fatti né l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Con l’ulteriore precisazione che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente (“manifesta illogicità”), cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocull, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074). Inoltre, va precisato che il vizio della “manifesta illogicità” della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica “rispetto a se stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nella fattispecie in esame, la doglianza sulla presunta contraddittorietà, o manifesta illogicità della motivazione è manifestamente infondata dato che ancorchè la sentenza impugnata indichi come certo che la parte civile personalmente avesse ottenuto la pubblicazione dell’articolo giornalistico
contenente la notizia della denuncia presentata nei confronti dell’imputato, avendo collegato, a tale presupposto, la decisione di quest’ultimo di pubblicare , su Facebook la sua opinione “in maniera pubblica cosi come aveva fatto lo Stornello, mentre la sentenza di primo grado riteneva tale dato non provatodalla lettura complessiva della sentenza impugnata è dato, tuttavia, evincere come tale sottolineatura abbia riguardato un elemento marginale rispetto alla ricostruzione dei fatti, e del tutto inidoneo a disvelare un vizio del percorso logico motivazionale seguito rispetto alla effettuata valutazione autonoma della condotta in sé considerata, e alla ritenuta sua riconducibilità nell’alveo dell’esimente di cui all’art. 51 cod. pen.
4.In conclusione il ricorso deve, pertanto, essere respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16/10/2024