Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13645 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13645 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PAOLA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/06/2023 del TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto di rigettare il ricorso;
udite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO e dell’AVV_NOTAIO, per l’imputato, che hanno chiesto di accogliere il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa il 6 aprile 2023 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, RAGIONE_SOCIALE NOME è stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere per i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, intestazione fittizia, estorsione, detenzione e porto di armi e di esplosivi, ricettazione, tentato incendio doloso, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti (capi 1, 6, 15,
1
17, 19, 20, 26, 31, 39, 40, 47, 48, 51, 52, 5:3, 54, 62, 67, 70, 72, 85, 168, 169, 171, 172, 173, 174, 175, 176, 177, 178, 179, 180, 181, 182, 183, 289, 290, 291, 292, 293, 294, 295, 296, 297, 298).
Secondo COGNOME l’impostazione accusatoria, COGNOME l’indagato COGNOME sarebbe COGNOME partecipe dell’associazione per delinquere di tipo mafioso denominata RAGIONE_SOCIALE, attivo nel territorio compreso tra i comuni di Paola, San Lucido, Longobardi e Belmonte Calabro, e dedito a una pluralità di attività delittuose. Sarebbe, inoltre, partecipe di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e avrebbe commesso una pluralità di reati-fine.
Con ordinanza emessa il 6 giugno 2023, il Tribunale di Catanzaro – Sezione Riesame – ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare, limitatamente ai reati di cui ai capi 19, 48, 52 e 54.
Avverso l’ordinanza del Tribunale, l’indagato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce il vizio di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 178, 268, 269, 273 e 293 cod. proc. pen.
Rappresenta che: la difesa, nel corso dell’udienza, aveva eccepito la nullità dell’ordinanza genetica per non avere il pubblico ministero riscontrato l’istanza di ascolto delle conversazioni intercettate utilizzate per l’emissione della misura; il Tribunale ha ritenuto infondata l’eccezione, affermando che, dalla documentazione allegata al fascicolo, risultava che il pubblico ministero – in tempi rapidi – aveva dato il nullaosta all’istanza del difensore, autorizzandolo all’ascolto dell conversazioni, e che sarebbe stato poi onere del difensore di provvedere all’acquisizione del materiale.
Tanto premesso, il ricorrente censura la decisione del Tribunale, che non avrebbe colto «il punto saliente della vicenda», costituito dal fatto che la segreteria del pubblico ministero aveva omesso di contattare il difensore, per informarlo della materiale disponibilità dei supporti e della possibilità di fissare un appuntamento per consentirgli di acquisire il materiale. Il ricorrente sostiene che «il difensore doveva essere messo a conoscenza, mediante notifica, anche informale, dell’autorizzazione rilasciata dal pubblico ministero», non essendo sufficiente che quest’ultimo avesse emesso il provvedimento autorizzatorio, depositandolo poi presso la cancelleria e inserendolo nel “T.I.A.P.”. La difesa, a causa dell’omessa comunicazione del provvedimento autorizzatorio, non sarebbe stata messa nelle condizioni di ascoltare tempestivamente le conversazioni.
Il ricorrente osserva che, sebbene nessuna norma processuale imponga al pubblico ministero di comunicare al difensore il provvedimento con il quale autorizza l’ascolto e l’acquisizione del materiale, l’obbligo di comunicazione
sarebbe desumibile dagli artt. 24 Cost. e 6, par. 3, CEDU. Il ricorrente evidenzia ancora che: ai sensi dell’art. 268, comma 6, cod. proc. pen., il difensore ha diritto a ottenere avviso della possibilità di esaminare gli atti e di ascoltare l registrazioni; a seguito della sentenza n. 336 del 2008 della Corte costituzionale, il difensore può ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni delle intercettazioni utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate. Dovrebbe desumersi da tanto che il difensore avrebbe diritto a ricevere anche l’avviso che il pubblico ministero ha autorizzato l’ascolto delle conversazioni utilizzate ai fini dell’emissione della misura cautelare.
La conclusione da trarre sarebbe, dunque, quella della violazione del diritto del difensore al tempestivo accesso alle registrazioni, che determinerebbe una nullità di tipo intermedio, tale da incidere sull’utilizzabilità delle conversazio intercettate.
Considerato che, dalle conversazioni intercettate, sarebbero desumibili gli unici spunti indiziari di rilievo, dalla loro inutilizzabilità deriverebbe il venir m dell’intero quadro indiziario posto a fondamento della misura cautelare applicata.
2.2. Con un secondo motivo, deduce il vizio di motivazione, in relazione agli artt. 125, 192 e 273 cod. proc. pen. e 416-bis cod. pen.
Sostiene che, secondo il Tribunale del riesame, la gravità indiziaria, in relazione al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., sarebbe rappresentata dalla partecipazione dell’indagato ai reati-fine e dalle propalazioni dei collaboratori di giustizia.
Tanto premesso, il ricorrente sostiene che l’unico collaboratore che avrebbe direttamente chiamato in causa l’indagato, in relazione al reato di cui all’art. 416bis cod. pen., sarebbe COGNOME NOMENOME NOME si sarebbe limitato a fare un generico riferimento al battesimo di “ndrangheta”, al quale l’indagato sarebbe stato sottoposto. Vi sarebbero poi le dichiarazioni de relato di COGNOME NOMENOME che aveva riferito di avere appreso da COGNOME NOME che «oltre a NOME NOME NOME COGNOME era criminalmente attivo il cugino NOME».
Il ricorrente passa, poi, in rassegna i reati-fine, sostenendo che gli indizi di colpevolezza sussisterebbero solo in relazione a reati che non sarebbero idonei a dimostrare la partecipazione al sodalizio criminoso.
Con riferimento a quello contestato al capo 6, relativo alla fittizia intestazione di un’automobile, evidenzia che il reato sarebbe stato commesso dall’indagato al fine di evitare una misura di prevenzione patrimoniale a suo carico. L’indagato, pertanto, avrebbe agito per tutelare un interesse suo e non del RAGIONE_SOCIALE.
Con riferimento al reato di cui al capo 20, relativo alla tentata estorsione ai danni di COGNOME NOME e COGNOME NOME, il ricorrente sostiene che, sebbene sussistano gravi indizi a carico dell’incilagato in relazione all’incendio
dell’autovettura di proprietà della moglie di NOME, avvenuto 11 12 dicembre 2018, non vi sarebbero elementi per sostenere che tale fatto fosse stato commesso a fini di estorsione o che comunque fosse strumentale al perseguimento degli interessi del RAGIONE_SOCIALE.
Con particolare riferimento ai reati di cui ai capi 39, 47, 51 e 53, relativi delitti in materia di armi, il ricorrente sostiene che il Tribunale si sarebbe limit ad affermare che, dalle conversazioni intercettate, emergerebbe il possesso da parte dell’indagato di diverse tipologie di armi, senza, però, spiegare i motivi per i quali la detenzione di tali armi sarebbe correlata alla partecipazione all’associazione mafiosa.
In relazione ai restanti reati non sussisterebbero elementi sufficienti a sostenere, neppure a livello indiziario, l’ipotesi accusatoria.
In particolare, con riferimento ai reati di cui ai capi 15 e 17, aventi ad oggetto l’estorsione in danno del titolare dell’esercizio commerciale “RAGIONE_SOCIALE” e la detenzione e il porto in luogo pubblico di una bomba-carta, sostiene che il Tribunale del riesame avrebbe desunto la gravità indiziaria in relazione a tali reati dalle conversazioni del 22 ottobre 2019, progressivi numeri 35 e 36. Al riguardo, evidenzia che, a prescindere dall’oggettiva rilevanza di tali c:onversazioni, esse sono intercorse nell’ottobre 2019, quando invece i reati sarebbero stati commessi nell’ottobre 2018. Il Tribunale, pertanto, sarebbe caduto in un evidente errore logico nel dare rilevanza a tali conversazioni.
Generici o inconferenti sarebbero gli elementi addotti dal Tribunale a sostegno della sussistenza degli altri reati-fine.
2.3. Con un terzo motivo, deduce il vizio di motivazione, in relazione all’art. 649 cod. proc. pen.
Il ricorrente contesta l’ordinanza impugnata, nella parte in cui ritiene configurabili entrambe le associazioni per delinquere.
Al riguardo, il ricorrente sostiene che: sarebbe evidente che, «già dalla sua costruzione, il capo associativo afferente al reato di cui all’art.416-bis cod. pen. ricomprendesse anche quello di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990»; i capi di imputazione sarebbero «perfettamente sovrapponibili in ordine alla contestazione temporale, territoriale e soprattutto in relazione ai partecipi»; vi sarebbe un unico «vincolo sociale», che ricomprenderebbe anche il compimento delle attività legate al traffico di stupefacenti.
Sotto quest’ultimo profilo, il ricorrente evidenzia come i collaboratori di giustizia abbiano evidenziato «che sia l’associazione mafiosa che quella finalizzata al traffico di droga sarebbero state costituite con il benestare di alcuni personaggi cosentini» e, in particolare, di tale COGNOME NOME, che era il soggetto che
riforniva le associazioni e impartiva le direttive per l’individuazione della lin RAGIONE_SOCIALE da seguire.
Il Tribunale, nonostante l’evidente identità del fatto, non avrebbe rilevato il ne bis in idem, sostenendo che gli associati, in esecuzione del progetto criminoso del presunto RAGIONE_SOCIALE COGNOMERAGIONE_SOCIALE, non !Si sarebbero limitati a spacciare stupefacenti, ma avrebbero commesso anche reati in materia di armi e azioni di fuoco. Tale motivazione, però, si porrebbe in contrasto con l’interpretazione che la Corte costituzionale e la Corte EDU avrebbero dato del principio del ne bis in idem.
2.4. Con un quarto motivo, deduce il vizio di motivazione, in relazione all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Contesta l’ordinanza impugnata nella parte relativa alla partecipazione all’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, sostenendo che il Tribunale avrebbe evidenziato più il rapporto personale e familiare tra l’indagato e COGNOME NOME che l’effettivo contributo fornito dal primo al sodalizi RAGIONE_SOCIALE. Secondo il ricorrente, mancherebbero gli elementi necessari per sostenere integrata la partecipazione all’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e in particolare: la consapevolezza da parte dell’indagato che la sua condotta si inserisse in una «sequenza operativa» finalizzata al perseguimento di un comune obiettivo criminoso; la sua «consapevole e non contingente adesione al vincolo consortile e all’accordo delinquenziale plurisoggettivo di natura permanente, destinato all’esecuzione di un programma criminoso temporalmente indefinito».
2.5. Con un quinto motivo, deduce il vizio di motivazione, in relazione all’art. 275 cod. proc. pen.
Il ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe ritenuto sussistenti le esigenze cautelari sulla base della mera contestazione del reato associativo, senza porsi minimamente il problema della concretezza e dell’attualità delle esigenze.
Evidenzia che tale decisione si pone in netto contrasto con i più recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., ha carattere relativo e può essere superata in presenza di elementi dai quali risulti l’insussistenza di esigenze cautelari, desunta dal tempo trascorso dai fatti addebitati, che porti a escludere l’attualità del pericolo di reiterazione, anche se non risulti una dissociazione dal sodalizio criminoso.
Il ricorrente non ignora diverso orientamento, secondo il quale la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con il recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, mentre il cd. “tempo silente” (ossia i
decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati) non può, da solo, costituire prova dell’irreversibile allontanamento dell’indagato dal sodalizio.
Tale orientamento, però, dovrebbe essere superato, sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme, come risultanti all’esito della riforma del 2015. In caso contrario, sarebbe necessario un intervento delle Sezioni Unite per comporre il contrasto giurisprudenziale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato.
1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Deve essere, infatti, ribadito che, «in terna di misure cautelari personali, è onere del difensore, che sia stato tempestivamente autorizzato ad acquisire copia delle registrazioni delle intercettazioni utilizzate per l’emissione di una misura cautelare personale, di attivarsi per entrarne in possesso, non sussistendo un obbligo dell’ufficio delegato di recapitare la documentazione al richiedente, né della segreteria di dare avviso al difensore della disponibilità al rilascio» (Sez. 5, n. 33874 del 05/07/2021, NOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
È ben noto, poi, che la Corte costituzionale, con sentenza 10 ottobre 2008, n. 336, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 268 cod. proc. pen. «nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate». L’intervento della Consulta ha, quindi, introdotto un vero e proprio diritto del difensore di conoscere compiutamente il contenuto delle intercettazioni, anche in fase cautelare, e di ottenere la trasposizione delle stesse su nastro magnetico, al fine di espletare al meglio la difesa. La violazione di tale diritto determina una nullità di ordine generale e a regime intermedio e – per farla valere – la difesa è gravata dal duplice onere di provare sia la tempestiva richiesta rivolta al pubblico ministero, esplicitamente finalizzata all’utilizzo dei supporti in vista del giudizio di riesame, sia l’omesso il ritardato rilascio della documentazione richiesta (Sez. 2, n. 51935 del 28/9/2018, Rv. 275065).
La sanzione di nullità colpisce, quindi, l’omesso o il ritardato rilascio della documentazione richiesta. Nella specie, invece, non vi è stata nessuna omissione e nessun ritardo, dal momento che, come riconosciuto dallo stesso ricorrente, il
pubblico ministero ha tempestivamente autorizzato la difesa ad acquisire la documentazione richiesta. A seguito di ciò, era onere del difensore attivarsi per entrare in possesso di quanto richiesto, atteso non è ipotizzabile alcun obbligo dell’ufficio delegato di recapitare al richiedente la documentazione e nemmeno l’obbligo della segreteria di avvisare il difensore della disponibilità al rilascio del documentazione suddetta, atteso che si versa in un caso di disponibilità obbligatoria, condizionata unicamente al provvedimento autorizzativo del pubblico ministero, pure esso obbligatorio. La previsione di tale provvedimento è funzionale, infatti, alla verifica della legittimazione del richiedente e dell’inerenza della richiesta alla vicenda giudiziaria in itinere, senza che il pubblico ministero possa sindacare le ragioni della richiesta e decidere, eventualmente, di non accoglierla. Di conseguenza, trattandosi di provvedimento che è funzionale al corretto dipanarsi della vicenda cautelare e di cui è certa l’emissione pressoché immediata, nessuna norma obbliga la segreteria del pubblico ministero a dare al ricorrente l’avviso da questi preteso.
L’obbligo di diligenza grava sul difensore e gli impone di attivarsi per l’acquisizione degli elementi favorevoli al proprio assistito e,, quindi, anche di svolgere le attività prodromiche e funzionali allo scopo.
1.2. Il secondo motivo è inammissibile.
Con esso, invero, il ricorrente ha articolato alcune censure che, pur essendo state da lui riferite alla categoria del vizio di motivazione, non evidenziano alcuna effettiva violazione di legge né travisamenti di prova o vizi di manifesta logicità emergenti dal testo della sentenza, ma sono, invece, dirette a ottenere un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dal Tribunale (cfr. Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano).
Al riguardo, va ricordato che, «in tema di ricorso per cassazione, il controllo di legittimità, anche nel giudizio cautelare personale, non comprende il potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né quello di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, trattandosi di apprezzamenti rientranti nelle valutazioni del Gip e del tribunale del riesame, essendo, invece, circoscritto all’esame dell’atto impugnato al fine di verificare la sussistenza dell’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento» (Sez. 2, n. 9212 del 02/02/2017, Sansone, Rv. 269438).
Va evidenziato che, in ogni caso, il Tribunale, in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato, ha mol:ivato in maniera
adeguata, coerente e senza incorrere in alcun vizio logico (cfr. pagine 14 e ss. dell’ordinanza).
Va, in particolare, evidenziato che il Tribunale non è incorso in alcun vizio logico, nel trarre indizi di colpevolezza in ordine ai reati di cui ai capi 15 e 1 (aventi a oggetto l’estorsione in danno del titolare dell’esercizio commerciale “RAGIONE_SOCIALE” e la detenzione e il porto in luogo pubblico di una bomba-carta), commessi nell’ottobre 2018, da conversazioni intercettate nell’ottobre 2019.
Il Tribunale, infatti, ha chiarito perché da quelle conversazioni, intervenute un anno dopo i fatti, si potessero desumere elementi a carico dell’indagato (cfr. pagine 15 e ss. dell’ordinanza impugnata). Il Tribunale, in particolare, ha dato rilievo al fatto che, dalle conversazioni, emergeva che gli interlocutori avevano nuovamente “preso di mira” l’esercizio commerciale, a fronte del perdurante “inadempimento” del titolare, un anno dopo il primo attentato.
Tutte le altre censure mosse con il secondo motivo non sono relative a effettivi ed evidenti vizi logici o a travisamenti di prova, risolvendosi in un “rilettura” degli elementi posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito.
1.3. Il terzo motivo è infondato.
Il Tribunale, invero, ha delineato in modo preciso gli elementi costitutivi dell’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, evidenziando come il sodalizio al suo interno avesse strutturato un riconoscibile assetto organizzativo specificamente funzionale al narcotraffico. La compagine dedita al traffico di stupefacenti era dotata di una stabile base logistica per la lavorazione e l’occultamento del narcotico ed era strutturata in modo gerarchico: il capo era COGNOME NOME e COGNOME NOME e COGNOME NOME rivestivano il ruolo di organizzatori (cfr. pagine 10 e ss. dell’ordinanza impugnata).
L’ordinanza, sul punto, si pone in linea con giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale si deve escludere l’identità del fatto e si deve ritenere configurabile la concomitante fattispecie associativa di cui all’art. 74 d.P.R. 309 del 1990, allorché la RAGIONE_SOCIALE strutturi un riconoscibile assetto organizzativo specificamente funzionale al narcotraffico. Correlativamente non rileva il fatto che la compagine sia o meno coincidente, essendo invece rilevante l’esistenza di quel riconoscibile assetto, che per lo più implica un’attribuzione di ruoli, che ben possono essere diversi nelle due associazioni (cfr. Cass. Sez. 6, n. 43890 del 21/6/2017, COGNOME; Sez. 6, n. 31908 del 14/05/2019, COGNOME).
Interpretazione che si pone nell’ambito del più generale orientamento, secondo il quale, «ai fini della preclusione connessa al principio del “ne bis in idem”, l’identità del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storiconaturalistica nella configurazione del reato, da considerare in tutti i suoi elementi
costitutivi sulla base della triade condotta-nesso causale-evento, non essendo sufficiente la generica identità della sola condotta» (Sez. 3, n. 21994 del 01/02/2018, COGNOME, Rv. 273220; Sez. 5, n. 50496 del 19/06/2018, COGNOME, Rv. 274448). Principi questi che appaiono sostanzialmente in linea con l’orientamento espresso dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (nella sentenza 10 febbraio 2009, COGNOME c. Russia e poi nella successiva sentenza 4 marzo 2014, COGNOME c. Italia), per cui il principio del ne bis in idem impone una valutazione ancorata ai fatti e non alla qualificazione giuridic:a degli stessi, dal momento che quest’ultima è da ritenersi troppo restrittiva in vista della tutela dei diritti della persona. In tal senso, la nozione di condotta si traduce nell’insieme delle circostanze fattuali concrete, collocate nel tempo e nello spazio, la cui esistenza deve essere dimostrata ai fini della condanna.
L’approccio ermeneutico della giurisprudenza di legittimil:à risulta coerente con la giurisprudenza costituzionale (Corte cost., sentenza n. 200 del 2016), per la quale il “fatto”, di per sé, sia pure inteso secondo il più favorevole criteri delndem factum” anziché nella più restrittiva nozione di “idem legale”, va definito secondo l’accezione che gli conferisce l’ordinamento, e non quella di un eventuale approccio epistemologico. In questa prospettiva, l’idem storico è l’accadimento materiale frutto di un’addizione di elementi, la cui selezione è condotta secondo criteri normativi. Da ciò non può inferirsi che esso vada ristretto alla sola azione od omissione senza comprendere anche l’oggetto fisico su cui cade il gesto, o l’evento naturalistico che ne è conseguito, o ancora la modificazione della realtà indotta dal comportamento dell’agente.
1.4. Il quarto motivo è inammissibile.
Con esso, invero, il ricorrente ha articolato alcune generiche censure che, pur essendo state da lui riferite alla categoria del vizio di motivazione, non evidenziano alcuna effettiva violazione di legge né travisamenti di prova o vizi di manifesta logicità emergenti dal testo della sentenza, ma sono, invece, dirette a ottenere un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dal Tribunale (cfr. Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano).
Va evidenziato che, in ogni caso, il Tribunale, in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato, ha mol:ivato in maniera adeguata, coerente e senza incorrere in alcun vizio logico (cfr. pagine 24 e ss. dell’ordinanza). Il Tribunale, in particolare, ha evidenziato come, dalle conversazioni telefoniche, emergesse che l’indagato partecipasse in modo pienamente consapevole all’associazione, finalizzata al narc:otraffico, facente capo a COGNOME NOME. In particolare, dalle conversazioni intercettate (specificamente riportate e analizzate) emergeva che l’indagato partecipava alle
scelte circa le modalità di confezionamento e allo smercio dello stupefacente e frequentava il laboratorio, partecipando attivamente alla lavorazione e al confezionamento della sostanza stupefacente.
1.5. Il quinto motivo è inammissibile.
Il Tribunale ha adeguatamente motivato in ordine alle esigenze cautelari, facendo riferimento non solo alle presunzioni operanti in materia, ma evidenziando anche le specifiche modalità della condotta, la gravità dei fatti e la personalità dell’indagato.
Tanto premesso, va rilevato che il motivo di ricorso si presenta intrinsecamente generico, atteso che il ricorrente si limita a dolersi della presunta mancata attualità delle esigenze, rispetto ai fatti contestati, senza, tuttavia, specificare perché tale requisito mancherebbe a fronte di fatti contestati anche con condotta perdurante. Il ricorrente non si confronta con i capi di imputazione – e, in particolare, con le date di consumazione di alcuni reati – e non dimostra specificamente che, in relazione a tali reati, le condotte concrete fossero risalenti nel tempo.
Non sussistono i presupposti per la rimessione alle Sezioni Unite della questione prospettata dal ricorrente, poiché essa non assume rilevanza nel caso in esame, attesa l’inammissibilità del motivo per la sua intrinseca genericità.
Al rigetto del ricorso, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso, il 15 dicembre 2023.