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Diritto di accesso agli atti: onere della difesa

Un indagato per associazione di tipo mafioso e altri gravi reati ha impugnato la misura di custodia cautelare, lamentando una violazione del suo diritto di difesa. Sosteneva che l’ufficio del pubblico ministero non lo avesse avvisato della disponibilità delle intercettazioni richieste. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che il diritto di accesso agli atti impone al difensore un onere di diligenza: una volta ottenuta l’autorizzazione, deve attivarsi autonomamente per ottenere il materiale probatorio, senza attendere una notifica. La Corte ha inoltre confermato la legittimità della coesistenza di due distinti capi d’imputazione per associazione mafiosa e per narcotraffico.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diritto di accesso agli atti: la Cassazione chiarisce l’onere di diligenza della difesa

Con la sentenza n. 13645 del 2024, la Corte di Cassazione è intervenuta su un’importante questione procedurale riguardante il diritto di accesso agli atti da parte del difensore in fase di indagini preliminari. La Corte ha stabilito che, una volta autorizzata la richiesta di accesso alle intercettazioni, spetta al legale attivarsi con diligenza per acquisire il materiale, non potendo attendere passivamente una comunicazione da parte degli uffici giudiziari. Questa pronuncia offre spunti fondamentali sull’equilibrio tra diritti della difesa e oneri procedurali.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di Catanzaro nei confronti di un soggetto indagato per una serie di gravi reati, tra cui associazione per delinquere di tipo mafioso, intestazione fittizia, estorsione, detenzione di armi e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.

Contro tale misura, l’indagato proponeva ricorso al Tribunale del Riesame, il quale annullava parzialmente l’ordinanza per alcuni capi di imputazione ma la confermava nel suo nucleo principale. L’indagato decideva quindi di ricorrere per Cassazione, affidando la sua difesa a cinque motivi principali.

I Motivi del Ricorso e il Diritto di Accesso agli Atti

Il ricorrente lamentava diversi vizi, tra cui il più rilevante a livello procedurale riguardava la presunta violazione del diritto di difesa. Vediamo i punti salienti dell’impugnazione:

1. Violazione delle norme processuali: La difesa sosteneva la nullità dell’ordinanza cautelare perché il pubblico ministero, pur avendo autorizzato l’ascolto delle conversazioni intercettate, non aveva mai comunicato alla difesa l’effettiva disponibilità dei supporti. Secondo il ricorrente, questa omissione aveva impedito un tempestivo ed efficace esercizio del diritto di difesa.
2. Vizio di motivazione sulla gravità indiziaria: L’indagato contestava la consistenza degli indizi a suo carico, sia per il reato di associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.) sia per i singoli reati-fine, come estorsione e detenzione di armi. A suo avviso, il Tribunale avrebbe tratto conclusioni illogiche dalle prove, in particolare da conversazioni avvenute un anno dopo i fatti contestati.
3. Violazione del principio del ne bis in idem: Si contestava la duplicazione delle accuse associative, sostenendo che l’associazione per narcotraffico fosse già ricompresa in quella di stampo mafioso, trattandosi di un’unica struttura criminale.
4. Insufficienza di prove per l’associazione finalizzata al narcotraffico: Il ricorrente riteneva che mancassero elementi per dimostrare una sua consapevole e stabile partecipazione a tale sodalizio.
5. Mancanza di attualità delle esigenze cautelari: Infine, si criticava la decisione del Tribunale per aver applicato la presunzione di pericolosità senza una concreta valutazione dell’attualità del rischio di reiterazione del reato, dato il tempo trascorso dai fatti.

La Decisione della Corte: un Onere di Diligenza per il Difensore

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, giudicando tutti i motivi infondati o inammissibili. Le argomentazioni della Suprema Corte sono cruciali per comprendere gli obblighi procedurali delle parti.

Onere di Diligenza e Diritto di Accesso agli Atti

Sul primo e più significativo motivo, la Corte ha ribadito un principio consolidato: una volta che il pubblico ministero autorizza la difesa ad acquisire copia delle registrazioni, sorge in capo al difensore l’onere di attivarsi per ottenerle. Non esiste alcun obbligo per la segreteria del PM di avvisare il difensore che la documentazione è pronta per il ritiro. L’autorizzazione è un atto dovuto e la sua emissione è pressoché immediata. Pertanto, la diligenza professionale impone al legale di verificare autonomamente lo stato della sua richiesta e di procedere al ritiro del materiale. La violazione del diritto di difesa si configura solo in caso di omesso o ritardato rilascio da parte dell’ufficio, non per una mancata comunicazione.

La Coesistenza di Associazione Mafiosa e Narcotraffico

La Corte ha respinto anche la censura relativa al ne bis in idem. Ha chiarito che due fattispecie associative, come quella mafiosa e quella dedita al narcotraffico, possono concorrere. Ciò avviene quando la consorteria criminale sviluppa un assetto organizzativo specifico e riconoscibile, funzionale esclusivamente al traffico di stupefacenti, con una propria gerarchia e logistica. In tal caso, non si tratta di un idem factum, ma di due distinti reati, anche se i membri possono parzialmente coincidere.

La Valutazione delle Prove e i Limiti del Giudizio di Cassazione

Per quanto riguarda i vizi di motivazione, la Cassazione ha ricordato che il suo ruolo non è quello di riesaminare il merito delle prove, ma di controllare la logicità e la coerenza del ragionamento del giudice del riesame. Nel caso di specie, il Tribunale aveva adeguatamente spiegato perché le conversazioni, seppur successive, fossero rilevanti per dimostrare la persistenza di un’attività estorsiva. Le censure del ricorrente si risolvevano, secondo la Corte, in un tentativo inammissibile di ottenere una nuova valutazione dei fatti.

le motivazioni
La sentenza si fonda su principi cardine della procedura penale. In primo luogo, il bilanciamento tra il diritto di difesa e gli oneri processuali. Il diritto di accesso agli atti è sacrosanto, ma il suo esercizio richiede una parte attiva e diligente. La difesa non può rimanere inerte in attesa di comunicazioni non previste dalla legge. In secondo luogo, la Corte ha precisato i contorni del principio del ne bis in idem, affermando che l’identità del fatto va valutata in senso storico-naturalistico e non sulla base della sola qualificazione giuridica. La presenza di una struttura organizzativa autonoma dedicata al narcotraffico giustifica una contestazione separata rispetto a quella per associazione mafiosa. Infine, viene ribadito il limite del sindacato di legittimità, che non può invadere l’area della valutazione del merito, riservata ai giudici delle fasi precedenti.

le conclusioni
La decisione della Cassazione ha importanti implicazioni pratiche. Per i difensori, emerge la necessità di una gestione proattiva e diligente delle istanze di accesso agli atti, senza fare affidamento su prassi di cortesia come le comunicazioni informali da parte delle segreterie. Per l’accusa, viene confermata la possibilità di contestare distintamente il reato associativo mafioso e quello finalizzato al narcotraffico, a condizione di dimostrare l’esistenza di una specifica e autonoma struttura organizzativa. La sentenza, in definitiva, rafforza un’interpretazione del processo penale in cui i diritti sono sempre connessi a precisi oneri di responsabilità per le parti.

Dopo che il PM autorizza l’ascolto delle intercettazioni, la segreteria ha l’obbligo di avvisare il difensore che gli atti sono pronti?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che, una volta ottenuta l’autorizzazione, è onere del difensore attivarsi per entrare in possesso della documentazione. Non sussiste alcun obbligo per l’ufficio del PM di recapitare il materiale o di avvisare il difensore della sua disponibilità.

Una persona può essere accusata contemporaneamente di associazione mafiosa e di associazione finalizzata al traffico di droga?
Sì. Secondo la Corte, i due reati possono coesistere e non violano il principio del ne bis in idem quando l’organizzazione criminale struttura un assetto organizzativo specifico, riconoscibile e funzionalmente autonomo per il narcotraffico, distinto dalla più ampia struttura mafiosa.

Il solo trascorrere del tempo dai fatti contestati è sufficiente a far venir meno le esigenze di custodia cautelare in carcere?
No. La sentenza sottolinea che, specialmente in presenza di reati associativi che implicano una condotta perdurante, il ricorso contro le esigenze cautelari non può essere generico. L’indagato deve confrontarsi specificamente con i capi di imputazione e dimostrare perché, nonostante la natura permanente del reato, il pericolo di reiterazione non sarebbe più attuale, cosa che nel caso di specie non è avvenuta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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