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Diritto di abitazione: la prova in caso di confisca

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23465/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di tre sorelle che rivendicavano il diritto di abitazione su una porzione di un immobile confiscato al padre. La Corte ha stabilito che, per far valere tale diritto, non è sufficiente una mera situazione di fatto come la convivenza, ma è necessario dimostrare l’esistenza di un titolo giuridico valido e opponibile, come un contratto o un provvedimento giudiziario, che giustifichi il godimento del bene.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diritto di Abitazione e Confisca: Quando la Convivenza non Basta

Il tema del diritto di abitazione su immobili sottoposti a confisca è una questione delicata, che spesso coinvolge i familiari, terzi estranei al procedimento di prevenzione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 23465/2024) ha fatto luce su un punto cruciale: la semplice convivenza non è sufficiente per rivendicare il diritto di continuare a vivere in un bene confiscato. È necessario dimostrare l’esistenza di un titolo giuridico valido e opponibile. Analizziamo insieme questo importante caso.

I Fatti del Caso: Una Richiesta di Restituzione

Tre sorelle adulte proponevano un incidente di esecuzione per ottenere la restituzione di una porzione dell’immobile in cui vivevano, confiscato al loro padre nell’ambito di una misura di prevenzione. Le tre donne, non essendo state parti del procedimento originario, agivano come terze interessate per far valere il loro presunto diritto a continuare ad abitare l’immobile.

Il Tribunale di Reggio Calabria, in sede di rinvio dopo un primo annullamento da parte della Cassazione per difetto di motivazione, rigettava nuovamente la loro richiesta. Secondo il Tribunale, le ricorrenti non avevano fornito la prova di alcun titolo giuridico che potesse fondare la loro pretesa.

La Decisione della Cassazione e il Diritto di Abitazione Contestato

Le sorelle ricorrevano nuovamente in Cassazione, lamentando principalmente due violazioni di legge. In primo luogo, sostenevano che il Tribunale avesse superato i limiti del mandato ricevuto dalla Cassazione, la quale, a loro dire, aveva già riconosciuto la sussistenza del loro diritto. In secondo luogo, ritenevano che il Tribunale avesse errato nel richiedere la prova di un “diritto reale di godimento”, quando il loro diritto di abitazione derivava da un semplice “comodato” verbale, che si manifestava in un potere di fatto sull’immobile.

La Suprema Corte ha dichiarato entrambi i motivi inammissibili, confermando la decisione del Tribunale.

Il Ruolo del Giudice del Rinvio

La Cassazione ha chiarito un aspetto fondamentale del processo. Il suo precedente annullamento non aveva affatto accertato la legittimità della pretesa delle ricorrenti. Si era limitato a constatare un vizio procedurale, ovvero la totale assenza di motivazione nella prima decisione del Tribunale. L’annullamento con rinvio aveva quindi correttamente rimesso al Tribunale il compito, prima omesso, di valutare nel merito la fondatezza del diritto vantato dalle sorelle. Il Tribunale, pertanto, non ha oltrepassato i suoi poteri, ma ha semplicemente svolto il compito che gli era stato assegnato.

Le Motivazioni della Corte

Il fulcro della decisione risiede nella mancanza di prove concrete a sostegno del preteso diritto di abitazione. La Corte ha ritenuto “ineccepibile” la valutazione del Tribunale, il quale aveva accertato che le tre donne, tutte maggiorenni, non erano in possesso di alcun titolo idoneo a giustificare la loro permanenza nell’immobile confiscato.

Non esisteva:
* Un provvedimento di assegnazione da parte di un giudice.
* Un contratto scritto (come locazione o comodato registrato).
* Un diritto derivante da successione ereditaria.

La semplice affermazione di un comodato verbale, non supportata da altre prove, è stata ritenuta insufficiente per fondare un diritto opponibile alla misura di prevenzione della confisca. La Corte ha sottolineato che per far valere un diritto su un bene confiscato, il terzo deve dimostrare un titolo giuridico certo e anteriore, non una mera situazione di fatto.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: di fronte a una misura ablativa come la confisca, i diritti dei terzi possono essere tutelati solo se basati su un fondamento giuridico solido e dimostrabile. La convivenza familiare, di per sé, non costituisce un diritto di abitazione opponibile allo Stato. Per le figlie adulte che vivono nella casa paterna, in assenza di un contratto specifico o di un provvedimento giudiziario, la loro permanenza è una mera ospitalità che non genera un diritto tutelabile in caso di confisca del bene. La decisione serve da monito sull’importanza di formalizzare i rapporti giuridici, anche all’interno della famiglia, per non vedere vanificate le proprie pretese in futuro.

È sufficiente convivere in un immobile per vantare un diritto di abitazione in caso di confisca?
No. Secondo la sentenza, la mera convivenza è una situazione di fatto e non genera un diritto di abitazione opponibile alla confisca. È necessario dimostrare l’esistenza di un titolo giuridico valido, come un contratto, un provvedimento del giudice o un diritto derivante da successione.

Cosa significa che il giudice del rinvio deve valutare la pretesa nel merito?
Significa che dopo l’annullamento di una decisione da parte della Cassazione per un vizio di motivazione, il giudice a cui il caso viene rimandato (giudice del rinvio) ha il compito di esaminare approfonditamente la questione, valutando le prove e decidendo sulla fondatezza o meno della richiesta, cosa che non era stata fatta nel primo provvedimento.

Quali prove sono necessarie per far valere un diritto di abitazione da parte di un terzo su un bene confiscato?
La sentenza chiarisce che il terzo deve provare di essere titolare di un diritto basato su un titolo giuridico concreto. Esempi possono essere un contratto di locazione o comodato regolarmente registrato, un provvedimento di assegnazione della casa familiare emesso da un giudice, o un diritto acquisito per successione ereditaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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