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Diritto del detenuto: farina e lievito non sono un diritto

La Corte di Cassazione ha stabilito che la scelta di specifici alimenti da parte di un carcerato, come farina e lievito, non rientra nel nucleo essenziale del diritto del detenuto a un’alimentazione sana. Tale scelta rappresenta una mera modalità di esercizio del diritto, la cui regolamentazione spetta alla discrezionalità dell’amministrazione penitenziaria per ragioni di sicurezza. Di conseguenza, il magistrato di sorveglianza non ha giurisdizione per annullare un divieto di acquisto di tali prodotti, a meno che questo non comprometta il diritto fondamentale in sé. La Corte ha quindi annullato l’ordinanza che consentiva l’acquisto, affermando la carenza di potere del giudice di sorveglianza sulla materia.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diritto del Detenuto: La Scelta degli Alimenti non è un Diritto Assoluto

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 23732 del 2024, offre un’importante chiarificazione sui confini del diritto del detenuto all’alimentazione, distinguendo nettamente tra il diritto fondamentale in sé e le concrete modalità del suo esercizio. La questione, nata dalla richiesta di un carcerato di acquistare farina e lievito, ha permesso ai giudici di delineare i limiti del controllo giurisdizionale sulle decisioni dell’amministrazione penitenziaria.

I Fatti: la Richiesta di Farina e Lievito in Regime di 41-bis

Un detenuto, sottoposto al regime speciale previsto dall’art. 41-bis, aveva presentato reclamo contro il divieto imposto dall’istituto penitenziario di acquistare farina e lievito. Il magistrato di sorveglianza, e successivamente il Tribunale di sorveglianza, avevano accolto la sua richiesta, ritenendo che il divieto violasse il suo diritto a un’alimentazione sana e fosse basato su ragioni di sicurezza (il potenziale rischio esplosivo della farina) non provate e irragionevoli. Contro questa decisione, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) ha proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Cassazione e il Diritto del Detenuto

La Suprema Corte ha ribaltato completamente la prospettiva, accogliendo il ricorso del DAP. Il punto focale della decisione non è la pericolosità o meno della farina, ma una questione di giurisdizione. Secondo i giudici, il Tribunale di sorveglianza ha agito in ‘carenza di potere’, ovvero ha deciso su una materia che non rientrava nella sua competenza.

Le Motivazioni: Diritto all’Alimentazione vs. Modalità di Esercizio

La Cassazione ha operato una distinzione cruciale. Il diritto del detenuto a un’alimentazione sana è un diritto soggettivo, un nucleo intangibile protetto dalla legge, la cui violazione può essere contestata tramite il reclamo giurisdizionale (art. 35-bis ord. pen.). Tuttavia, la scelta dei singoli alimenti con cui soddisfare tale diritto non appartiene a questo nucleo intangibile.

L’individuazione dei prodotti acquistabili, come farina e lievito, costituisce una mera ‘modalità di esercizio’ del diritto. Queste modalità sono affidate alla scelta discrezionale dell’amministrazione penitenziaria, che deve bilanciare le esigenze del detenuto con quelle di ordine e sicurezza interna. La Corte ha sottolineato che né la farina né il lievito sono ‘assolutamente indispensabili’ per una dieta sana, che può essere garantita attraverso altri prodotti presenti nel catalogo approvato dall’istituto. Pertanto, la decisione di vietarne l’acquisto, se motivata da ragioni di sicurezza (anche solo potenziali), rientra nel potere organizzativo dell’amministrazione e non è sindacabile dal giudice di sorveglianza, a meno che non si traduca in una decisione manifestamente irragionevole o che, di fatto, annulli completamente il diritto stesso.

Conclusioni: I Limiti della Giurisdizione del Magistrato di Sorveglianza

La sentenza stabilisce un principio chiaro: il controllo del giudice deve fermarsi alla soglia della tutela del diritto fondamentale, senza invadere l’ambito delle scelte gestionali e organizzative dell’amministrazione carceraria. Il potere di decidere quali specifici beni possano entrare in un istituto penitenziario spetta all’amministrazione, che valuta i rischi per la sicurezza. Il reclamo del detenuto è uno strumento per proteggere la sostanza dei suoi diritti, non per contestare ogni singola regola che ne disciplina l’esercizio. Di conseguenza, la Corte ha annullato senza rinvio le precedenti decisioni, poiché emesse da un giudice privo di giurisdizione sulla specifica questione.

Un detenuto può pretendere di acquistare qualsiasi tipo di alimento in carcere?
No. Secondo la sentenza, il diritto a un’alimentazione sana è garantito, ma la scelta di specifici alimenti come farina e lievito non costituisce un diritto soggettivo. Rientra nelle ‘modalità di esercizio’ del diritto, che possono essere limitate dall’amministrazione penitenziaria per ragioni di ordine e sicurezza.

Il magistrato di sorveglianza può sempre intervenire sulle decisioni dell’amministrazione penitenziaria riguardo al cibo?
No. Il suo intervento è limitato alla tutela del nucleo essenziale dei diritti del detenuto. Non può sindacare le scelte discrezionali dell’amministrazione sulle modalità di esercizio di tali diritti, come l’individuazione dei singoli generi alimentari acquistabili, a meno che tali scelte non siano palesemente irragionevoli o non neghino di fatto il diritto stesso.

Qual è la differenza tra un ‘diritto’ e una ‘modalità di esercizio del diritto’ in questo contesto?
Il ‘diritto’ è il nucleo fondamentale e intangibile, come il diritto a un’alimentazione sana. La ‘modalità di esercizio’ riguarda i modi concreti in cui tale diritto viene attuato, come la possibilità di acquistare specifici prodotti. La negazione del diritto è illegittima e giustifica un reclamo al giudice, mentre la regolamentazione delle modalità è una scelta discrezionale dell’amministrazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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