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Diritto cottura cibi detenuto: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha stabilito che il diritto di un detenuto a cucinare i propri cibi in cella costituisce un diritto soggettivo. Di conseguenza, ogni limitazione imposta dall’amministrazione penitenziaria, come restrizioni sugli orari di utilizzo di fornelli e stoviglie, non può essere decisa sommariamente ma deve essere valutata dal Magistrato di Sorveglianza attraverso un reclamo giurisdizionale che garantisca il contraddittorio tra le parti. La Corte ha annullato l’ordinanza che aveva rigettato il reclamo di un detenuto, rinviando il caso per un nuovo giudizio nel rispetto delle corrette procedure.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diritto Cottura Cibi Detenuto: La Cassazione Stabilisce i Limiti del Potere dell’Amministrazione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale per la vita carceraria: il diritto cottura cibi detenuto non è una mera concessione, ma un vero e proprio diritto soggettivo. Questo significa che le decisioni dell’amministrazione penitenziaria che ne limitano l’esercizio, come l’imposizione di fasce orarie, non sono insindacabili ma devono poter essere valutate da un giudice attraverso una procedura formale che garantisca la difesa del detenuto. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: Un Fornello Negato

Il caso trae origine dal ricorso di un detenuto contro una decisione dell’amministrazione penitenziaria. L’amministrazione gli aveva negato la possibilità di tenere in cella un fornello a gas e le relative stoviglie durante le ore serali e notturne. Il detenuto ha presentato un reclamo al Magistrato di Sorveglianza, sostenendo che tale divieto violasse un suo diritto.

Il Magistrato, tuttavia, ha interpretato il reclamo come una lamentela generica e non come la violazione di un diritto soggettivo. Di conseguenza, ha rigettato la richiesta con una procedura semplificata (de plano), senza un’udienza formale, ritenendo che la gestione degli orari fosse una mera regolamentazione interna non soggetta a sindacato giurisdizionale.

La Decisione della Cassazione e il Diritto Cottura Cibi Detenuto

La Corte di Cassazione ha completamente ribaltato la decisione del Magistrato di Sorveglianza, accogliendo il ricorso del detenuto. I giudici supremi hanno chiarito che la questione non poteva essere liquidata con una procedura sommaria.

Il punto centrale della decisione è il riconoscimento del diritto cottura cibi detenuto come un diritto soggettivo. Sebbene l’amministrazione penitenziaria abbia il potere di regolamentare le modalità di esercizio di tale diritto (ad esempio, per ragioni di sicurezza o di ordine interno), queste regolamentazioni non possono essere arbitrarie e devono poter essere contestate in sede giurisdizionale.

Dalla Mera Regolamentazione alla Tutela Giurisdizionale

La Cassazione ha evidenziato un’evoluzione nella giurisprudenza. Se in passato le decisioni sugli orari erano considerate semplice organizzazione interna, un orientamento più recente, confermato da questa sentenza, ammette che anche la fissazione di fasce orarie incide su un diritto e, pertanto, deve poter essere vagliata da un giudice per verificarne la ragionevolezza e la proporzionalità. L’ordinanza impugnata è stata quindi annullata con rinvio, imponendo al Magistrato di Sorveglianza di trattare il caso come un reclamo giurisdizionale, con tutte le garanzie previste dalla legge, inclusa l’udienza in contraddittorio.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano su argomenti solidi e principi costituzionali.

Il Ruolo della Corte Costituzionale

La Cassazione richiama una fondamentale sentenza della Corte Costituzionale (n. 186 del 2018), che aveva dichiarato incostituzionale il divieto assoluto di cuocere cibi per i detenuti in regime speciale (41-bis). La Consulta aveva sottolineato che tale divieto, essendo privo di ragionevole giustificazione, rappresentava una deroga ingiustificata e meramente afflittiva rispetto al regime carcerario ordinario, in contrasto con i principi di umanità della pena (artt. 3 e 27 Cost.). La possibilità di compiere “piccoli gesti di normalità quotidiana” è un elemento essenziale per la dignità della persona detenuta.

Il Diritto Soggettivo e la Procedura Corretta

Sulla base di questo principio, la Cassazione ha concluso che la questione sollevata dal detenuto non riguardava una semplice facoltà, ma un vero e proprio diritto soggettivo. Di conseguenza, il reclamo non doveva essere declassato a lamentela generica (ex art. 35 Ord. pen.), ma trattato secondo la procedura giurisdizionale prevista dall’art. 35-bis dell’Ordinamento Penitenziario. Questa procedura garantisce il contraddittorio tra le parti (detenuto e amministrazione) e un esame approfondito da parte del giudice, come previsto dagli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa sentenza ha importanti implicazioni pratiche:

1. Rafforzamento dei Diritti dei Detenuti: Conferma che anche gli aspetti della vita quotidiana in carcere, come cucinare un pasto, sono riconducibili a diritti tutelati e non a mere concessioni revocabili a piacimento.
2. Limiti al Potere Discrezionale dell’Amministrazione: Le decisioni organizzative dell’amministrazione penitenziaria che incidono su tali diritti non sono assolute. Devono essere motivate, ragionevoli e possono essere sottoposte al vaglio di un giudice.
3. Garanzie Procedurali: I detenuti che si ritengono lesi da tali decisioni hanno diritto a una procedura giurisdizionale completa, che assicuri il loro diritto di difesa, e non a un esame sommario e superficiale.

Un detenuto ha il diritto assoluto di cucinare i propri cibi in cella a qualsiasi ora?
No, il diritto di cucinare i cibi non è assoluto. La sentenza chiarisce che l’amministrazione penitenziaria può regolamentarne l’esercizio, ad esempio stabilendo fasce orarie per esigenze di ordine e sicurezza, ma tali regole devono essere ragionevoli e possono essere contestate.

Le decisioni dell’amministrazione penitenziaria sugli orari per cucinare possono essere contestate davanti a un giudice?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che, poiché il diritto cottura cibi detenuto è un diritto soggettivo, le limitazioni imposte (come le fasce orarie) possono essere oggetto di un reclamo giurisdizionale davanti al Magistrato di Sorveglianza, che dovrà decidere con le garanzie del contraddittorio.

Qual è la differenza tra un reclamo generico (art. 35 Ord. pen.) e un reclamo giurisdizionale (art. 35-bis Ord. pen.)?
Il reclamo giurisdizionale (art. 35-bis) serve a tutelare un diritto soggettivo del detenuto e prevede una procedura con udienza e garanzie difensive. Il reclamo generico (art. 35) riguarda questioni che non ledono un diritto soggettivo e viene trattato con una procedura più snella e senza udienza (de plano). La sentenza ha chiarito che le restrizioni alla cottura dei cibi rientrano nel primo caso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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