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Diritto cottura cibi detenuti: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza del Magistrato di Sorveglianza che aveva respinto senza udienza il reclamo di un detenuto in regime 41-bis. Il detenuto lamentava limitazioni orarie per l’uso di un fornello. La Suprema Corte ha stabilito che il diritto alla cottura dei cibi è un diritto soggettivo e, come tale, ogni reclamo che lo riguarda deve essere trattato in un’udienza in contraddittorio, non con una procedura ‘de plano’. La questione è stata quindi rinviata al Magistrato per un nuovo esame nel rispetto delle garanzie procedurali.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diritto Cottura Cibi Detenuti: La Cassazione Sancisce il Diritto al Contraddittorio

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale per la tutela dei diritti in carcere, in particolare per quanto riguarda il diritto cottura cibi detenuti. La Suprema Corte ha chiarito che la possibilità per un detenuto di cucinare i propri pasti non è una mera concessione, ma un vero e proprio diritto soggettivo. Di conseguenza, ogni reclamo che ne contesti le modalità di esercizio deve essere esaminato attraverso una procedura che garantisca il pieno contraddittorio tra le parti, e non può essere liquidato con una decisione sommaria.

I Fatti del Caso

La vicenda nasce dal reclamo di un detenuto ristretto presso la Casa Circondariale di L’Aquila in regime speciale ex art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario. Il detenuto aveva chiesto di poter utilizzare un fornello a gas e le relative stoviglie senza limiti di orario, rivendicando una parità di trattamento rispetto ai detenuti inseriti nei circuiti di alta e media sicurezza.

Il Magistrato di Sorveglianza competente, tuttavia, rigettava il reclamo de plano, ovvero senza indire un’udienza e senza ascoltare le parti. La motivazione di tale rigetto si basava sulla presunta assenza di una ‘lesione piena e attuale di diritti soggettivi’.

Contro questa decisione, il detenuto, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando la violazione delle norme procedurali che impongono un’udienza in contraddittorio quando si discute di diritti soggettivi.

La Decisione della Corte di Cassazione e il Diritto Cottura Cibi Detenuti

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza del Magistrato di Sorveglianza e rinviando il caso per un nuovo giudizio. I giudici supremi hanno stabilito che il Magistrato ha errato nel qualificare la questione, poiché il diritto cottura cibi detenuti rientra a pieno titolo nella categoria dei diritti soggettivi.

La Corte ha ritenuto che la procedura seguita, quella de plano, fosse illegittima. Quando un reclamo riguarda l’esercizio di un diritto soggettivo, la legge impone lo svolgimento di un procedimento giurisdizionale vero e proprio, con la partecipazione delle parti interessate, nel rispetto del principio del contraddittorio.

Le motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione su consolidati principi giurisprudenziali, richiamando in primo luogo una fondamentale sentenza della Corte Costituzionale (n. 186 del 2018). Con quella pronuncia, la Consulta aveva dichiarato illegittimo il divieto assoluto di cuocere cibi per i detenuti in regime 41-bis, riconoscendo che la possibilità di compiere ‘piccoli gesti di normalità quotidiana’ è un residuo essenziale di libertà individuale da preservare.

Pur riconoscendo all’Amministrazione Penitenziaria il potere di regolamentare le modalità di esercizio di tale diritto (ad esempio, stabilendo fasce orarie), la Cassazione ha sottolineato che tale regolamentazione deve essere ragionevole, non vessatoria e, soprattutto, non ingiustificatamente discriminatoria. Non è legittimo, infatti, imporre ai detenuti in 41-bis restrizioni più severe rispetto agli altri detenuti se non vi sono specifiche e comprovate esigenze di sicurezza che le giustifichino.

La questione sollevata dal detenuto – ovvero se le limitazioni orarie fossero discriminatorie – attiene proprio all’esercizio di un diritto soggettivo. Pertanto, il Magistrato di Sorveglianza avrebbe dovuto:
1. Qualificare correttamente l’istanza come un reclamo giurisdizionale.
2. Instaurare un procedimento ai sensi degli artt. 35-bis, 69 ord. pen. e 666 e 678 cod. proc. pen.
3. Decidere nel merito dopo aver garantito il contraddittorio tra il detenuto e l’Amministrazione Penitenziaria.

Avendo omesso questi passaggi, la sua decisione è risultata viziata da un errore procedurale insanabile.

Le Conclusioni

La sentenza in esame rafforza la tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti. Essa stabilisce chiaramente che ogni qualvolta un detenuto lamenta una violazione o una limitazione irragionevole di un proprio diritto soggettivo, ha il diritto a un ‘giusto processo’ davanti al Magistrato di Sorveglianza. Non è ammissibile che la magistratura si sottragga al dovere di esaminare nel merito tali questioni con decisioni sommarie e non motivate.

In pratica, l’Amministrazione Penitenziaria può e deve organizzare la vita detentiva, ma le sue decisioni sono sempre sindacabili dal giudice quando incidono sui diritti fondamentali della persona. Il principio di parità di trattamento impone che differenziazioni tra categorie di detenuti, specialmente se afflittive, siano sempre supportate da valide ragioni e non si traducano in vessazioni ingiustificate.

Il diritto di un detenuto a cucinare i propri cibi è un diritto soggettivo?
Sì, la Corte di Cassazione, richiamando la giurisprudenza della Corte Costituzionale, afferma che la possibilità di accedere a gesti di normalità quotidiana come la cottura dei cibi costituisce un diritto soggettivo, espressione della libertà individuale residua anche in stato di detenzione.

L’amministrazione penitenziaria può limitare gli orari per la cottura dei cibi ai detenuti in regime 41-bis?
Sì, l’amministrazione ha la facoltà di regolamentare le modalità di esercizio di questo diritto, ad esempio stabilendo fasce orarie. Tuttavia, tali limitazioni devono essere ragionevoli, non irrisorie e, soprattutto, non devono creare una differenziazione ingiustificata e vessatoria rispetto ai detenuti comuni, a meno che non siano motivate da specifiche esigenze di sicurezza.

Come deve procedere il Magistrato di sorveglianza di fronte a un reclamo di un detenuto su un diritto soggettivo?
Il Magistrato di sorveglianza deve trattare il reclamo secondo le regole procedurali che garantiscono il contraddittorio tra le parti (ai sensi degli artt. 35-bis, 69 ord. pen., 666 e 678 cod. proc. pen.). Non può rigettare l’istanza ‘de plano’ (cioè senza udienza), ma deve instaurare un procedimento formale per decidere sulla questione con un provvedimento motivato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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