Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 46691 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 46691 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 28/05/1983
avverso la sentenza del 09/01/2024 della CORTE di APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale COGNOME che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa il 9 gennaio 2024 la Corte d’Appello di Bologna confermava la sentenza emessa il 27 gennaio 2023 dal Tribunale di Bologna con la quale l’imputato era stato dichiarato colpevole del reato di rapina impropria aggravata in concorso.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del suo difensore chiedendone l’annullamento e articolando due motivi di doglianza.
2.1. Con il primo motivo deduceva inosservanza ed erronea applicazione di norme processuali in relazione agli artt. 104, 143, 386 e 349 cod. proc. pen. e 6 n. 3) lett. e) della C.E.D.U.
Assumeva, in particolare, che l’imputato era un cittadino polacco e non conosceva la lingua italiana, ciò che emergeva dal tenore del verbale dell’udienza celebratasi nel corso del giudizio di primo grado; precisava che nel corso del processo non era stato nominato un interprete che assistesse il ricorrente e che neppure erano stati tradotti in lingua polacca gli atti del processo.
2.2. Con il secondo motivo deduceva mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, assumendo in particolare che il giudice di primo grado aveva ritenuto la responsabilità dell’imputato sulla scorta delle sole dichiarazioni della persona offesa, senza procedere a una corretta valutazione del ruolo avuto dallo stesso, e che la Corte territoriale aveva argomentato in maniera generica e senza considerare i motivi di gravame, essendosi limitata a un richiamo alla sentenza di primo grado, affermando che “non vi sono ragioni per discostarsi dalle conclusioni alle quali è giunto il Tribunale Collegiale di Bologna”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Questa Corte ha avuto modo di affermare che in conformità ai trattati internazionali vincolanti per l’Italia, l’art. 143, primo comma, cod. proc. pen. riconosce all’imputato che ignora la lingua italiana il diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di comprendere l’accusa e di seguire il compimento degli atti del processo al quale partecipa. A tale diritto corrisponde l’obbligo imposto all’autorità giudiziaria procedente di nominare un interprete a pena di nullità degli atti riguardanti l’indagato o imputato straniero che non conosce la lingua italiana.
2.11a nullità è di ordine generale ai sensi dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen., riferendosi all’assistenza dell’imputato. Tuttavia, non riferendosi all’omessa citazione dell’imputato o all’assenza del suo difensore nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza, non rientra, ai sensi dell’art. 179, primo comma, stesso codice tra le nullità assolute e insanabili, bensì tra quelle che, pur potendo essere rilevate d’ufficio, non possono essere più eccepite dopo la deliberazione della sentenza di primo grado o, se si sono verificate nel giudizio, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo (cosiddette nullità a
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regime intermedio) (in tal senso: Sez. 1, n. 2228 del 10/04/1995, COGNOME, Rv. 201461 – 01; Sez. 6, n. 8403 del 09/06/1997, Minoun, Rv. 208850 – 01; Sez. 5, n. 2156 del 11/12/1997, COGNOME, Rv. 209810 – 01).
2.2 .Deve altresì aggiungersi che, anche quando sussiste il diritto dell’imputato straniero ad essere assistito da un interprete, condizione indispensabile per l’esercizio di tale diritto è che egli dimostri o almeno dichiari di non sapersi esprimere in lingua italiana o di non comprenderla: ciò perché l’art. 143 cod. proc. pen. non prevede l’obbligo indiscriminato dell’assistenza di un interprete allo straniero in quanto tale, ma lascia a costui la libertà di decidere se richiedere, o non, tale assistenza, e attribuisce all’autorità giudiziaria il potere-dovere di valutarne la necessità (cfr. Sez. 6, n. 3547 del 21/11/1996, dep. 1997, COGNOME, Rv. 208188 – 01; Sez. 3, n. 882 del t 9 c3 17/12/19987 n Daraji Rv. 213068 – 01, Sez. 4, n. 1141 del 15/12/1999,COGNOME Rv. 215662 – 01).
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha ritenuto infondato il motivo di appello teso a ottenere la declaratoria di nullità della sentenza di primo grado per non essere stato l’imputato, cittadino polacco , assistito da un interprete e per non essere stati gli atti del processo trascritti in lingua polacca, pur non conoscendo il medesimo la lingua italiana; ha osservato in particolare, la Corte d’Appello, che il ricorrente aveva reso l’interrogatorio di garanzia senza l’ausilio dell’interprete, dimostrando di parlare e comprendere la lingua italiana e dichiarando, tra l’altro, di risiedere stabilmente in Italia da oltre venti anni.
Ciò premesso, deve ulteriormente osservarsi che la trascrizione dell’udienza dibattimentale celebratasi in data 27 gennaio 2023 nel corso del giudizio di primo grado e riportata per stralci in seno al ricorso consente di apprezzare che l’imputato ha risposto a tutte le domande rivoltegli dal Presidente del Collegio, mostrando di saper comprendere e di saper conversare in lingua italiana senza particolari difficoltà.
Ritiene, pertanto, la Corte che le risultanze fin qui rassegnate consentano di desumere la conoscenza della lingua italiana da parte dell’imputato.
Di qui la manifesta infondatezza del motivo in trattazione.
Parimenti inammissibile poiché manifestamente infondato è il secondo motivo, dovendosi ritenere immune da vizi la motivazione della Corte territoriale in punto di accertamento della condotta dell’imputato – nella specie consistita nell’aizzare il proprio cane molossoide contro la guardia giurata che era intenta ad inseguire la correa che si era impossessata di alcuni capi di
abbigliamento – motivazione che fa espresso richiamo, in maniera del tutto congrua, alle dichiarazioni accusatorie della parte offesa e a quelle dello stesso imputato nella parte in cui lo stesso aveva ammesso che il cane nell’occasione aveva morso la guardia giurata.
D’altra parte, secondo un consolidato orientamento del Giudice di legittimità, al giudice di secondo grado è consentito motivare per relationem (della qual cosa si lamenta il ricorrente in seno al secondo motivo), mediante il richiamo alla motivazione della sentenza di primo grado (cfr., per tutte, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01, secondo cui, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd. “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale).
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 18/09/2024