Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 3037 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 3037 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 20/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nato ill 02/03/1990 COGNOME nato il 01/01/1992
avverso l’ordinanza del 24/06/2024 del TRIBUNALE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 24 giugno 2024, il Tribunale di Roma convalidava l’arresto di NOME COGNOME e di NOME COGNOME per il delitto di furto aggravato loro contestato (ai sensi degli artt. 110, 624, 625 nn. 5 e 8 bis cod. pen. per essersi impossessati, in concorso con altri soggetti non identificati ed in quattro persone riunite fra loro, della somma di euro 4.900, sottraendola alla persona offesa mentre questa stava viaggiando in un vagone della metropolitana di Roma) e, preso atto della mancata richiesta di misura cautelare personale, ne ordinava l’immediata liberazione.
Propongono ricorso gli indagati, con unico atto ed a mezzo del comune difensore Avv. NOME COGNOME deducendo, con l’unico motivo, la violazione di legge ed in particolare dell’art. 143 cod. proc. pen.
La norma citata prevede che vengano tradotti gli atti processuali che riguardano indagati e imputati che non conoscono la lingua italiana. Come impongono anche l’art. 6 Convenzione EDU e gli artt. 24 e 111 Cost.
Principi validi anche nel caso di specie ove gli indagati non avevano un livello linguistico tale da consentire loro di comprendere il significato legale e il contenuto effettivo degli atti loro indirizzati (vd. sentenza Corte cost. n. 10/1993).
Incomprensione che trovava conferma nel fatto che, nonostante che, in. sede di interrogatorio di garanzia, NOME avesse negato l’addebito e COGNOME si fosse avvalso della facoltà di non rispondere, avessero poi deciso di patteggiare la pena.
Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto NOME COGNOME ha inviato requisitoria scritta con la quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi promossi nell’interesse dei prevenuti non meritano accoglimento.
In ordine, infatti, alla necessità di tradurre gli atti notificati (o di munirlo interprete, durante la celebrazione delle udienze) agli imputati alloglotti si è precisato che:
il riconoscimento del diritto all’assistenza dell’interprete non discende automaticamente, come atto dovuto e imprescindibile, dal mero “status” di straniero o apolide, ma richiede l’ulteriore presupposto, in capo a quest’ultimo, dell’accertata ignoranza della lingua italiana. (Fattispecie in cui, avendo il
ricorrente lamentato la mancata traduzione, nella lingua madre o in inglese, del decreto di sequestro preventivo, la Corte ha ritenuto congruamente accertata in sede di merito la sua dimestichezza con l’idioma italiano, sottolineando, peraltro, che la non recente acquisizione della cittadinanza italiana per effetto di matrimonio gli avrebbe imposto l’onere, non assolto, della prova contraria alla presunzione stabilita nell’art. 143, comma primo, cod. proc. pen.: Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239693 – 01);
in tema di traduzione degli atti, ex art. 143 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 32 del 2014, il diritto all’assistenza all’interprete non discende automaticamente dallo “status” di straniero o apolide, ma richiede l’ulteriore presupposto indefettibile dell’accertata incapacità di comprensione della lingua italiana. (In motivazione la Corte ha valorizzato la circostanza che in nessun momento dell’iter processuale l’imputato aveva evidenziato detta incapacità di comprensione e che lo stesso aveva personalmente presentato istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato: Sez. 2, n. 30379 del 19/06/2018, COGNOME, Rv. 273246 – 01);
il diritto dell’imputato straniero ad essere assistito da un interprete sussiste a condizione che egli dimostri o quantomeno dichiari di non sapersi esprimere in lingua italiana o di non comprenderla, atteso che l’art. 143 cod. proc. pen. non prevede l’obbligo indiscriminato della nomina di un interprete allo straniero in quanto tale, ma lascia a costui la libertà di decidere se richiedere, o meno, tale assistenza, attribuendo all’Autorità giudiziaria il potere-dovere di valutarne la necessità (Sez. 2, n. 17327 del 20/01/2023, COGNOME, Rv. 284528 – 01).
Applicando tali principi di diritto all’odierna concreta fattispecie, si deve rilevare come, nel corso della udienza di convalida, entrambi gli indagati avessero risposto alle domande relative alle loro generalità senza denunciare alcuna difficoltà linguistica nel comprendere le domande del giudice procedente, per poi scegliere l’uno, di negare l’addebito, l’altro di avvalersi della facoltà di non rispondere, non richiedendo, peraltro, in tale sede, né gli stessi arrestati, né il difensore che li assisteva, l’intervento di un interprete o la traduzione di alcuno degli atti processuali fin lì formati.
Del resto, anche in seguito, instaurato il giudizio di merito, gli imputati si erano dimostrati in grado di richiedere il patteggiamento della pena, sempre assistiti dal loro difensore, senza, ancora una volta, denunciare la necessità della presenza di un interprete di lingua madre (o di altra lingua da loro altrimenti conosciuta).
Al rigetto dei ricorsi segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso, in Roma il 20 dicembre 2024.