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Diritto all’interprete: quando la sentenza è nulla

La Corte di Cassazione esamina il ricorso di un cittadino georgiano condannato per tentato furto. La difesa sostiene la nullità della sentenza per la mancata nomina di un traduttore durante il processo, violando il fondamentale diritto all’interprete e impedendo all’imputato di esprimere una volontà libera e consapevole.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Il Diritto all’Interprete: Garanzia Fondamentale per un Processo Equo

Il diritto all’interprete rappresenta una delle garanzie fondamentali per assicurare che ogni imputato, indipendentemente dalla sua nazionalità o lingua, possa comprendere le accuse a suo carico e partecipare attivamente al processo. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per approfondire questo principio, esaminando il caso di un cittadino straniero la cui condanna è stata impugnata proprio per la mancata assistenza di un traduttore.

I Fatti del Caso: Condanna Senza Traduttore

Un cittadino di nazionalità georgiana, giunto in Italia da pochi giorni, veniva arrestato e successivamente condannato dal Tribunale di Bolzano per il reato di tentato furto in abitazione (artt. 56-624-bis c.p.). La pena applicata, su richiesta delle parti (patteggiamento), era di un anno, un mese e dieci giorni di reclusione, oltre a una multa.

Avverso questa sentenza, il difensore dell’imputato ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, sollevando una questione cruciale di natura procedurale.

I Motivi del Ricorso e il Diritto all’Interprete

Il ricorso si fonda principalmente su due motivi strettamente connessi:

1. Violazione dell’art. 143 del codice di procedura penale: La difesa ha lamentato la mancata nomina di un interprete durante le fasi cruciali del procedimento, ovvero l’udienza di convalida dell’arresto e il successivo giudizio direttissimo. L’imputato, non comprendendo la lingua italiana, non sarebbe stato in grado di capire pienamente la natura e le conseguenze degli atti processuali.
2. Nullità della sentenza: Di conseguenza, la difesa ha sostenuto che la mancata assistenza linguistica ha viziato la libera espressione della volontà dell’imputato. Senza una piena comprensione, il suo consenso al rito del patteggiamento non poteva considerarsi valido. Questo vizio, secondo il ricorrente, determinerebbe la nullità non solo della sentenza impugnata, ma anche di tutti gli atti precedenti che ne costituiscono il presupposto.

In aggiunta, è stata contestata anche l’errata qualificazione giuridica del fatto, un motivo secondario rispetto alla questione centrale della garanzia difensiva.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione è chiamata a valutare se la violazione del diritto all’interprete costituisca un vizio così grave da inficiare l’intero percorso processuale che ha condotto alla condanna. Il principio sancito dall’art. 143 c.p.p. non è una mera formalità, ma un presidio essenziale del diritto di difesa. Esso garantisce che l’imputato straniero sia messo nelle condizioni di partecipare coscientemente al processo, al pari di un cittadino italiano.

Quando un procedimento si basa su una scelta volontaria dell’imputato, come nel caso del patteggiamento, la piena comprensione degli atti diventa un presupposto imprescindibile. Un consenso non informato a causa di una barriera linguistica non è un consenso valido. L’assenza di un interprete nelle fasi decisive, come l’udienza di convalida dove si pongono le basi della difesa e il giudizio direttissimo dove si definisce il rito, può compromettere irrimediabilmente l’equità del processo.

Le Conclusioni

Sebbene l’ordinanza si limiti a presentare i motivi del ricorso, la questione sollevata è di fondamentale importanza. Una decisione che accogliesse le tesi difensive ribadirebbe che il diritto all’interprete è un pilastro del giusto processo. La sua violazione non può essere sanata e comporta la nullità degli atti compiuti senza l’assistenza linguistica necessaria. Questo caso sottolinea la necessità per l’autorità giudiziaria di verificare sempre e con la massima attenzione che l’imputato straniero sia effettivamente in grado di comprendere ogni fase del procedimento, garantendo così che la giustizia sia non solo applicata, ma anche pienamente compresa.

Un imputato straniero ha sempre diritto a un interprete?
Sì, secondo l’articolo 143 del codice di procedura penale, l’imputato che non conosce la lingua italiana ha il diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di comprendere l’accusa contro di lui e di seguire il compimento degli atti cui partecipa.

Cosa comporta la mancata nomina di un interprete durante il processo?
Secondo la tesi difensiva esposta nel ricorso, la mancata nomina di un interprete costituisce un’inosservanza della legge penale che porta alla nullità degli atti processuali compiuti senza la sua assistenza (come l’udienza di convalida e il giudizio) e, di conseguenza, della sentenza stessa.

La mancanza di un interprete può invalidare una richiesta di patteggiamento?
Sì, il ricorso sostiene che la mancanza di un interprete impedisce la libera e consapevole espressione della volontà da parte dell’imputato. Poiché il patteggiamento si basa sull’accordo tra le parti, un consenso dato senza la piena comprensione degli atti a causa della barriera linguistica è considerato viziato e, quindi, invalido.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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