Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 35809 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 35809 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/09/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a ANDRIA (ITALIA) il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ANDRIA (ITALIA) il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ANDRIA (ITALIA) il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 06/03/2025 della CORTE di APPELLO di BARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, dr.AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME e l’annullamento con rinvio del decreto impugnato quanto a COGNOME NOME;
letta la memoria della difesa dei ricorrenti, di replica alle conclusioni del Procuratore Generale.
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’Appello di Bari ha confermato il decreto del Tribunale di Bari con il quale è stata applicata, nei confronti di COGNOME NOME, la misura di
prevenzione patrimoniale della confisca di un appezzamento di terreno in agro di Andria, incluso l’intero fabbricato adibito ad abitazione residenziale del bene, pur formalmente intestato ai suoi genitori COGNOME NOME e COGNOME NOME, avendo ritenuto la fittizietà di tale intestazione a questi, peraltro privi di potenzialità economiche, e la reale riconducibilità degli stessi al COGNOME NOME.
Il ricorso per cassazione, sottoscritto da patrocinatore abilitato, di COGNOME NOME si compone di due motivi.
2.1. Con il primo motivo è denunciata violazione di legge ed assenza di motivazione in relazione agli artt. 1 lett. b) e c) e 24 del d. lgs. n. 159 del 2011 sul giudizio di pericolosità sociale, alla perimetrazione temporale di questa ed alla lucrogeneticità dei reati commessi in rapporto all’accrescimento patrimoniale oggetto di ablazione. Richiamata la giurisprudenza di legittimità, il ricorrente si è soffermato sulla sostenibilità della correlazione temporale tra il periodo in cui si è manifestata la pericolosità sociale e l’acquisto dei beni ; ha sottolineato come sia necessario l’accertamento che le condotte delittuose siano state in grado di produrre reddito, e come sia indispensabile un approfondimento argomentativo del giudice quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti. Conseguentemente, è stata criticata la decisione della Corte d’Appello , perché quest’ultima non avrebbe contornato il periodo di manifestazione della pericolosità; e non avrebbe chiarito la necessaria redditività delle condotte realizzate in detta fascia temporale, né spiegato il suo collegamento con l’acquisizione del terreno e realizzazione dell’immobile. Inoltre, il decreto impugnato avrebbe omesso qualsivoglia valutazione del fatto storico dimostrativo della tendenza a delinquere del soggetto e si sarebbe limitato ad un’elencazione di reati sprovvisti della necessaria capacità di produrre redditi. La necessità di una valutazione più restrittiva per la categoria dei c.d. ‘pericolosi generici’ sarebbe imposta dalla giurisprudenza di legittimità e da quella sovranazionale. Infine, è stata sollevata, in via subordinata rispetto alla non condivisione di tali censure, questione di legittimità costituzionale e convenzionale della normativa prevenzionale nella parte in cui consentirebbe l’applicazione della misura patrimoniale della confisca a manifestazioni che non hanno ingenerato alcun illecito profitto.
2.2. Il secondo motivo ha lamentato violazione di legge in relazione al diritto di difesa, del contraddittorio, del giusto processo e della presunzione d’innocenza , a fronte del rigetto delle richieste istruttorie. La Corte territoriale
avrebbe violato il diritto del proposto di difendersi provando (art. 7 comma 4 bis d.lgs. 159/2011), rigettando immotivatamente le richieste istruttorie e, in particolare, quella che attiene al l’audizione dei collaboratori di giustizia le cui dichiarazioni sono state poste a presidio del giudizio di pericolosità sociale, e all’udizione dell’assistente sociale dipendente dell’ UEPE di Bari, volta a contestare il requisito della disponibilità del bene confiscato da parte del proposto. La decisione, fondata dal giudice sulla ritenuta non applicabilità al procedimento di prevenzione del diritto all’assunzione della prova in contraddittorio sulla scorta del rimando all’art. 666 cod. proc. pen. che prevede un’istruttoria ‘senza particolari formalità’, renderebbe oggettivamente impossibile l’esercizio del diritto di difesa del proposto, costringendolo a ‘subire’ gli esiti investigativi offerti dalla pubblica accusa, contravvenendo ai principi sanciti costituzionalmente e, in via sovranazionale, dalla CEDU, in materia di tutela del diritto di difesa e di accesso alla prova a discarico.
COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno presentato ricorso per cassazione, a patrocinio di difensore abilitato e munito di procura speciale, che consta di due motivi.
3.1. Con il primo motivo è dedotto il vizio di cui all’art. 606 comma 1 lett. b ) cod. proc. pen.: la Corte d’Appello avrebbe infatti negato lo svolgimento di una serie di atti istruttori (relativi al l’esame di più persone, la dr.AVV_NOTAIO COGNOME dell’UEPE di Bari , che avrebbe potuto deporre sulla disponibilità della villa confiscata da parte dei genitori del proposto; di COGNOME NOME, fratello di NOME, in ordine alla fase dell’acquisto e dei lavori eseguiti nell’immobile confiscato; di COGNOME NOME, in favore della quale il COGNOME NOME avrebbe svolto lavori per l’importo di euro 23.000 nel periodo di costruzione dell’immobile abitativo poi confiscato ; di COGNOME NOME e COGNOME NOME, sorelle di NOME, sempre attinenti al tema di prova della consistenza delle risorse finanziarie in capo a COGNOME NOME e COGNOME NOME, destinate al pagamento del prezzo del terreno e consone alla capacità di spesa per i successivi lavori edilizi) volta a dimostrare la sussistenza di entrate legittime, così violando il diritto del terzo estraneo di fornire prove contrarie alla presunzione di fittizia intestazione.
3.2. Si lamenta, con il secondo motivo, violazione di legge ex art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. per omessa motivazione sul giudizio di proporzione in relazione alle spese alimentari, alle legittime entrate ed alla
capacità di risparmio del nucleo familiare. La difesa avrebbe infatti prodotto due documenti (un libretto di deposito intestato a COGNOME NOME e un documento relativo ad un pagamento di un effetto bancario, eseguito da COGNOME NOME), nel corso del giudizio di primo grado, decisivi al fine di dimostrare la congruità delle entrate rispetto alle uscite, che non sarebbero stati presi in considerazione nel decreto impugnato.
Considerato in diritto
I ricorsi del proposto e dei terzi interessati meritano accoglimento.
Vanno in parte preliminarmente disattese le conclusioni del Procuratore Generale, che hanno opinato per l’inammissibilità de i ricorsi dei terzi interessati COGNOME NOME e COGNOME NOME, dal momento che essi non hanno censurato i profili della pericolosità sociale del proposto e della proiezione del relativo giudizio sull ‘ illiceità delle risorse impiegate da costui per acquistare l’immobile confiscato, fondamento dell’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, ma si sono focalizzati sull’attribuibilità a se medesimi della proprietà del bene e sulla sua acquisizione con denaro di lecita provenienza, in armonia con il recente approdo delle Sezioni Unite n. 30355 del 27/03/2025, Putignano, Rv. 288300: ‘in caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest’ultimo può rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità dei beni confiscati, senza poter prospettare l’insussistenza dei presupposti applicativi della misura, deducibile soltanto dal proposto ‘.
Da tempo la giurisprudenza di legittimità ha inteso chiarire che nel giudizio d’appello in materia di misure di prevenzione non trova applicazione il disposto di cui all’art. 603 cod. proc. pen., anche se vige nella suddetta materia il principio del costante adeguamento della situazione di diritto a quella di fatto, con la conseguenza che possono essere utilizzati nuovi elementi probatori, preesistenti o sopravvenuti, purché nell’ambito del ” devolutum ” e nel rispetto del principio del contraddittorio (così, per il principio espresso, sez. 5, n. 5749 del 23/11/2021, COGNOME, Rv. 282780; sez. 6, n. 51061 del 13/09/2017, COGNOME, Rv. 271375; nello stesso senso, con riferimento all’attenuazione o all’aggravamento del giudizio di pericolosità, sez. 6, n. 45115 del 13/09/2017, COGNOME, Rv. 271380; sez. 1, n.
19995 del 30/01/2013, COGNOME, Rv. 256159; sez. 1, n. 13005 del 12/11/2002 (dep. 20/03/2003), COGNOME, Rv. 223793; sez. 6, n. 342 del 30/01/1998, Gulli, Rv. 210822).
Pertanto, salvo il divieto di applicare in sede di appello promosso dal solo interessato una misura di prevenzione più sfavorevole al proposto, nella suddetta materia il convincimento del giudice del gravame ben può fondarsi su elementi non esaminati in primo grado, dei quali egli può sempre disporre l’acquisizione, ai sensi dell’art. 666, comma 5, cod. proc. pen. (in forza dell’implicito richiamo ad esso contenuto nell’art. 4, comma quinto, della legge 27 dicembre 1956 n. 1423), e dell’art. 2 ter, comma primo, della legge 31 maggio 1965 n. 575 (ex plurimis: Sez. 1, n. 4650 del 04/07/1997, COGNOME, Rv. 208352; Sez. 1, n. 5026 del 16/10/1995, COGNOME, Rv. 202758).
Tali principi sono ritenuti dalla giurisprudenza di legittimità pacificamente traslabili nella vigenza del d.lgs. n. 159 del 2011 (ex plurimis: Sez. 5, n. 4172 del 15/12/2016 -dep. 27/01/2017-, COGNOME, non massimata; Sez. 5, n. 18995 del 15/1/2016, COGNOME, non massimata). L’art. 7, comma 9, d.lgs. n. 159 del 2011 ha, peraltro, esplicitato, in via generale (come si desume dal rinvio operato a tale norma dall’art. 23 comma 1 in materia di misure di prevenzioni patrimoniali), il richiamo, in passato ritenuto immanente al sistema, al procedimento in contraddittorio disciplinato dall’art. 666 cod. proc. pen. e, di conseguenza, all’art. 185 disp. att. cod. proc. pen., che prescrive che nel procedimento di esecuzione si procede alla istruttoria “senza particolari formalità anche per quanto concerne la citazione e l’esame dei testimoni e l’espletamento della perizia’ . E si tratta di principi estensibili al procedimento di secondo grado che ha per oggetto una misura di prevenzione patrimoniale, poiché l’art. 27, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 prevede che per le impugnazioni contro i provvedimenti con i quali il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati si applicano le disposizioni previste dall’art. 10 del medesimo testo normativo; tale norma, a sua volta, al comma quarto, prescrive che, salvo quanto è stabilito nel medesimo decreto, per la proposizione e la decisione dei ricorsi si osservano in quanto applicabili, le norme del codice di procedura penale riguardanti la proposizione e la decisione dei ricorsi relativi all’applicazione delle misure di sicurezza e, pertanto, anche l’art. 67 8 cod. proc. pen. che, a sua volta, richiama le modalità procedurali di cui all’art. 666 cod. proc. pen..
Ne viene che la corte d’appello ha una cognizione piena, pur se delimitata, in forza dell’effetto devolutivo, dai capi e dai punti oggetto di gravame, che le consente di valorizzare dati di fatto ed elementi di prova risultanti dagli atti
del procedimento ancorché trascurati dal primo giudice (sez. 6, n. 21408 del 12/04/2023, COGNOME, Rv.284684). Le violazioni del procedimento di ammissione della prova, anche se non presidiate dalla sanzione di nullità, possono ritenersi «violazioni della legge processuale» (come ritenuto, proprio in ipotesi di violazione del diritto alla prova del terzo, ai sensi dell’art. 23 d.lgs. n.159 del 2011, dall’ arresto di sez. 1, n. 49180 del 06/07/2016, COGNOME, Rv. 268652) in quanto tali in astratto deducibili in sede di legittimità a titolo di ‘violazione di legge’ nel procedimento di prevenzione (sez. 1, n. 44214 del 05/06/2023, Bolondi, Rv. 285502).
Nel procedimento di prevenzione, il proposto e il terzo interessato hanno dunque il diritto di difendersi provando, in quanto – come già chiarito da questa Corte anche alla luce della giurisprudenza della Corte EDU e di quella costituzionale – pur nella diversità di struttura e di finalità rispetto al processo penale, «non è discutibile che si tratti di procedimento giurisdizionale, sottoposto al rispetto di principi fondamentali del processo penale e qualificato come tale» (Sez. 1, n. 49180 del 06/07/2016, COGNOME, Rv. 268652, cit., che ha condivisibilmente richiamato Sez. U, 4880 del 26/06/2014 – dep. 2015-, COGNOME, Rv. 262606; in motivazione, da ultimo, Sez. 5 n. 17822 del 28/01/2025, COGNOME e altri).
Né può ritenersi che nel caso di violazione del diritto alla prova l’unico rimedio sarebbe quello di formulare, contestualmente alla deduzione, istanza di riassunzione della prova denegata. Come si è detto, si ritiene di dare continuità ai principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo al quale le violazioni del procedimento di ammissione della prova, anche se non presidiate dalla sanzione di nullità, sono da ritenersi «violazioni della legge processuale» e in quanto tali deducibili sia nel giudizio di primo grado che in sede di legittimità. «Il giudice di grado superiore che riceve la denunzia di violazione di legge è, dunque, tenuto ad esaminarla e, se fondata, opera in funzione dei poteri a lui riconosciuti dalla legge processuale. Ove si tratti di giudice di secondo grado può esercitare – in funzione di rimedio alla violazione accertata – i poteri di completamento istruttorio tipici della fase di merito (dunque assumere le prove erroneamente denegate) ove si tratti di giudice di legittimità dovrà valutare l’effettività della violazione e, se del caso, annullare con rinvio al giudice di appello. Non vi è pertanto alcuna preclusione o decadenza per essersi la parte privata limitata a dedurre l’esistenza della violazione, senza contestualmente chiedere la ri-assunzione della prova in secondo grado». (così in motivazione la già citata sez. 1, n. 44214 del 05/06/2023, Bolondi, Rv. 285502).
2.1. Non osta alla sequela delle suddette garanzie procedurali la qualificazione della misura secondo il diritto vivente (v. Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262605) e la giurisprudenza della Corte costituzionale (cfr., in particolare, la sentenza n. 24 del 2019), come misura di carattere ‘non penale’ e priva di connotato sanzionatorio-punitivo, che persegue piuttosto una finalità di natura preventiva-ripristinatoria.
Nell ‘ interpretazione convenzionale, con la quale, come accennato, si sono posti in sintonia i principi stabiliti dalla Consulta e dalla giurisprudenza di legittimità, la qualificazione della confisca come misura di natura non sanzionatoria (da ultimo, in Garofalo c. Italia, 13 febbraio 2025) comporta l’esclusione dell’applicabilità, ratione materiae , dell’art. 7 della CEDU e delle garanzie dell’art. 6 , attinenti ai procedimenti di carattere penalistico (c.d. volet penal , sulla cui inapplicabilità v. anche Corte Costituzionale n. 24 del 2019 par. 10.4.2; per la CEDU, v. Arcuri c. Italia, 2001: ‘Il terzo paragrafo dell’art. 6, che riguarda i diritti delle persone a cui è rivolta un’accusa penale, non si applica dunque al caso istante’ ). Questo, tuttavia, non impedisce l’applicazione delle garanzie che l’articolo 6 appronta al primo paragrafo per le ‘ controversie sui diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale ‘ . Applicazione avvenuta, per esempio, nel contesto di un procedimento che aveva irrogato la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza (la nota vicenda De Tommaso c. Italia del 2017) in relazione al la garanzia della ‘pubblica udienza’, ritenuta necessaria alla valutazione di comportamento e personalità del ricorrente, richiesta al fine di applicare la misura di prevenzione.
Nella tematica delle misure patrimoniali, già nella decisione del caso Arcuri c. Italia, 2001, la Corte europea aveva testualmente osservato che ‘l’articolo 6 si applica ad ogni azione la cui materia sia di natura ‘pecuniaria’ e che sia fondata su una pretesa infrazione di diritti che erano allo stesso modo di natura pecuniaria’ .
Con particolare riferimento, più specificamente, al tema delle garanzie sulla parità delle armi tra accusa e difesa e, ancor più in particolare, della ammissione e valutazione dei testimoni, accostate al più ampio concetto di diritto ad un ‘equo processo’, la giurisprudenza della Corte EDU si è più volte confrontata con la possibile violazione delle regole dell’art. 6 della Convenzione anche in ambito non penale e si è soffermata sul raffronto tra gli interessi in gioco e sul potenziale, significativo riflesso che tale violazione possa produrre sull’equità dell’intero procedimento. La Corte , segnatamente,
ha riconosciuto la possibilità di escludere la trasgressi one dell’art. 6, purtuttavia solo laddove siano assicurate utili misure di bilanciamento che consentano di superare il sacrificio della garanzia del confronto diretto delle parti con i testimoni.
A titolo esemplificativo, possono essere significativi i passaggi della causa Arcuri c. Italia, cit.: ‘Non è il compito della Corte sostituire la propria valutazione dei fatti a quella delle corti nazionali o di decidere se certi elementi siano stati correttamente ammessi come prova, ma piuttosto di accertare se l’intero procedimento sia stato equo, incluse le modalità in cui sono state prese le prove’ , concludendo poi nel merito per l’avvenuto rispetto dei diritti di difesa; di COGNOME c. Olanda, 1993: ‘per quanto riguarda cause civili riguardanti gli interessi di opposte parti private, la ‘parità delle armi implica che a ciascuna parte sia garantita una ragionevole opportunità di presentare il proprio caso – incluse le proprie prove -in condizioni che non la pongano in un sostanziale svantaggio rispetto al proprio opponente’ . Nel caso ivi affrontato, relativo alla prova orale della conclusione di un contratto tra una banca e una società (a cui erano presenti solo due testimoni, uno per la banca ed uno per la società), il tribunale aveva ammesso la testimonianza del solo rappresentante della banca, e la CEDU ha riconosciuto una violazione dell’art. 6 par. 1; di COGNOME c. Polonia, 2002: ‘l’articolo 6 della Convenzione non garantisce esplicitamente il diritto ad ottenere la chiamata di testimoni o l’ammissione di altre prove dalla Corte nei procedimenti civili. Tuttavia, ogni restrizione imposta sul diritto di una parte in un procedimento civile a chiamare testimoni e ad addurre altre prove in supporto del proprio caso deve essere coerente con i requisiti di un giusto processo entro il significato del paragrafo 1 di quell’articolo, incluso il principio di parità delle armi’ ; nella vicenda ivi esaminata, il ricorso era stato respinto poiché ‘le Corti nazionali hanno esaminato le richieste dell’istante di ottenere la chiamata di testimoni ed hanno dato per il loro rifiuto dettagliate ragioni che, secondo la Corte, non possono ritenersi macchiate di arbitrarietà’ , indicando così ‘in negativo’ ulteriori criteri di valutazione. Ancora, nella causa Roccella c. Italia, 2023: ‘In effetti, una disparità di trattamento per quanto riguarda l’audizione dei testimoni delle parti può essere tale da violare il principio della parità delle armi (Ankerl c. Svizzera, 23 ottobre 1996, § 38)’ . Si è così affermato che ‘La Corte ribadisce che i requisiti inerenti al concetto di “giusto processo” non sono necessariamente gli stessi nelle controversie relative a diritti e obblighi di carattere civile rispetto ai casi relativi ad accuse penali. Ciò è dimostrato dall’assenza, nel primo caso, di clausole dettagliate simili a quelle previste dai
paragrafi 2 e 3 dell’articolo 6 della Convenzione. Di conseguenza, sebbene tali disposizioni abbiano una certa rilevanza al di fuori degli stretti confini del diritto penale, gli Stati contraenti godono di una maggiore discrezionalità nell’ambito del contenzioso civile rispetto a quello della procedura penale. L’articolo 6 § 1 della Convenzione è quindi meno esigente nelle controversie relative a diritti di carattere civile rispetto ai casi relativi ad accuse penali (COGNOME c. Germania, 28 giugno 1978, § 96). Tuttavia, nell’esaminare procedimenti che rientrano nel capo civile dell’articolo 6 della Convenzione, la Corte può ritenere necessario ispirarsi all’approccio che ha applicato in materia penale (COGNOME c. Portogallo (n .2) , n. 19867/12, § 67, 11 luglio 2017; COGNOME c. Grecia, n. 69291/12, § 55, 5 marzo 2020; COGNOME c. Finlandia, n. 28856/95, § 68; COGNOME c. Finlandia, n. 30508/96, § 59, 9 marzo 2004). Pertanto, i principi del contraddittorio e della parità delle armi, strettamente collegati, sono elementi fondamentali del concetto di ” giusto processo ” ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e si applicano in linea di principio sia in materia civile che penale (Regner c. Repubblica ceca , n. 35289/11, § 146, 19 settembre 2017)’. Nella fattispecie analizzata, il ricorrente era stato assolto in primo grado dal giudice di pace e la parte civile era ricorsa in appello per le sole statuizioni civili. La Corte d’appello, senza aver disposto la rinnovazione delle audizioni, aveva condannato il ricorrente, il cui ricorso per cassazione era stato poi respinto. La Corte Europea, nell’equiparare la decisione sulle sole statuizioni civili a quella assunta in un procedimento di carattere civilistico, aveva ritenuto che la posizione del ricorrente non fosse stata significativamente svantaggiata dalla mancata rinnovazione, dato che questi aveva comunque avuto pieno accesso al contraddittorio ed aveva potuto produrre davanti al giudice le prove che riteneva rilevanti.
2.2. La Corte Europea ribadisce insomma la necessità di applicare anche nei procedimenti non penali la prospettiva metodologica delle garanzie della materia penale e, pur riconoscendo spazio alla discrezionalità di cui godono gli stati contraenti, indica nel rispetto del principio del contraddittorio un discrimine sufficiente, ma invalicabile.
E, sull’argomento dello squilibrio complessivo nel contraddittorio, in un caso proprio di confisca di natura amministrativa, in Păcurar c. Romania, 24 giugno 2025, si è così espressa: ‘La Corte inoltre nota che le conclusioni della Commissione sono state revisionate da una Corte, ancora una volta in un procedimento in contraddittorio ed in udienze orali in cui il ricorrente,
rappresentato da un avvocato di fiducia, ha avuto la possibilità di sollevare le proprie argomentazioni e sottoporre prove’ (nel caso di specie, erano state accolt e tutte le sue richieste testimoniali). Per quanto l’esito sia stato negativo per il ricorrente, la Corte ha individuato nel l’ avvenuta ammissione delle istanze di prova testimoniale un elemento idoneo ad assicurare l’equità complessiva del procedimento.
2.3. Secondo la giurisprudenza convenzionale, appare possibile conciliare l’attuazione di tali principi fonda mentali con i presupposti e la tipologia della confisca ‘di prevenzione’, che la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 33 del 2018, ha identificato nella «confisca dei beni di sospetta origine illecita» -ossia accertata mediante uno schema legale di carattere presuntivo, la quale rappresenta uno strumento di contrasto alla criminalità lucrogenetica ormai largamente diffuso in sede internazionale, caratterizzato «sia da un allentamento del rapporto tra l’oggetto dell’ablazione e il singolo reato, sia, soprattutto, da un affievolimento degli oneri probatori gravanti sull’accusa» (così espressamente, Corte Cost. n. 24 del 2019, § 10.3).
Anche in tem a di inversione dell’onere della prova , infatti, si è ritenuta un’ammissibilità di massima (Corte Edu, Pacurar c. Romania del 2025, cit.): ‘Sul punto, la Corte ha precedentemente sostenuto che potrebbe non esserci nulla di arbitrario, per quanto riguarda il campo di applicazione ‘civile’ dell’art. 6 par. 1 della Convenzione, nell’inversione dell’onere della prova sul convenuto in procedimenti ablativi in rem dopo la proposizione di una richiesta sostanziata da parte delle autorità (v. tra le altre Gogitidze contro Georgia del 12 maggio 2015, par. 122)’ .
2.4. I requisiti procedurali di garanzia che si accompagnano a ll’ablazione sono inoltre fondamentali per assicurarne la compatibilità con la protezione della proprietà riconosciuta nell’art. 1 del protocollo addizionale n.1 alla CEDU, in Shorazova c. Malta, 2022 (v. anche, ampiamente, Corte Cost. n. 24 del 2019, § 10.4.3 e in parte motiva sez. 2, n. 31549 del 06/06/2019, RAGIONE_SOCIALE) : ‘ Per quanto l’articolo 1 del protocollo n. 1 non contenga requisiti procedurali specifici, i procedimenti giudiziari concernenti il diritto al pacifico godimento dei beni in proprio possesso devono garantire all’individuo una ragionevole opportunità per porre il proprio caso davanti alle autorità competenti al fine di contestare efficacemente le misure che interferiscano con i diritti garantiti da questa previsione (v. RAGIONE_SOCIALE, par. 302, ed i casi ivi citati). Un’interferenza con i diritti garantiti dall’art. 1 del protocollo n.
1 non può dovunque avere alcuna legittimazione in assenza di procedimenti in contraddittorio rispettosi del principio della parità delle armi, e che consentano la discussione degli aspetti rilevanti per l’esito del caso. Al fine di garantire il soddisfacimento di tale condizione, le procedure applicabili dovrebbero essere considerate da un punto di vista generale (ibid.)’ .
2.5. Molto recentemente le linee esegetiche così tracciate sono state suggellate dalla pronunzia della Corte EDU, prima sezione, nella causa Isaia e altri c. Italia del 25 settembre 2025, che ha riguardato proprio un caso di confisca di prevenzione che aveva raggiunto i beni di titolarità di terzi, non socialmente pericolosi, ritenuti acquistati in connessione temporale con la manifestazione della pericolosità del proposto, soggetto incluso nella categoria di cui all’art. 1, comma 1, lett. b) del D. Lgs. n. 159 del 2011, e risultati nella sua esclusiva disponibilità. In estrema sintesi, la decisione ha confermato la compatibilità con la Convenzione, in linea di principio, della procedura di confisca dei beni in assenza di una condanna che stabilisca la colpevolezza degli imputati, quando tali beni, attribuibili alla disponibilità di fatto del proposto, siano collegati alla presunta commissione di reati gravi che comportino un arricchimento senza causa, dunque con particolare riguardo all’identificazione delle condotte criminali e alla loro specifica attitudine lucrogenetica. La Corte ha tuttavia ribadito la necessità di un giusto equilibrio tra la privazione della proprietà, l’utilità pubblica secondo le condizioni previste dalla legge e i principi generali del diritto convenzionale, di cui all’art. 1, comma 1 del Protocollo addizionale n.1 alla Convenzione; la necessità del rispetto della garanzia del contraddittorio e dell’apertura all’esercizio del diritto dei controinteressati di dimostrare il contrario; l’esigenza di rivolgere attenzione anche allo iato temporale esistente tra la data di cessazione della pericolosità sociale e l’attivazione dell’intervento finalizzato all’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale.
Così suntivamente passato in rassegna il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, si deve osservare che, in motivazione, il recente dictum di Sezioni Unite Putignano, pertinente all’impugnazione promossa dai terzi interessati COGNOME NOME NOME COGNOME NOME, si è così letteralmente espresso (§ 15):
‘ Il primo passaggio della catena dimostrativa della scissione tra titolarità formale del bene e impiego delle risorse, inerendo ai presupposti applicativi della misura ablatoria, spetta sempre alla pubblica accusa (ex multis, Sez. 5,
Celentano, cit.; Sez. 2, n. 18569 del 12/03/2019, COGNOME, non mass.; Sez. 1, n. 13375 del 20/9/2017, dep. 2018, Brussolo, Rv. 272703 – 01). Il terzo, infatti, per definizione, non è il soggetto portatore di pericolosità. Egli, invece, ha un onere di allegazione che consiste nel confutare la tesi accusatoria, secondo la quale egli è un mero intestatario formale, ed indicare elementi fattuali che dimostrino che quel bene è di sua proprietà e nella sua esclusiva disponibilità. E rispetto a tale thema probandum il diritto di difesa del terzo non incontra limitazioni di sorta allorché l’indicazione probatoria sia volta a contestare le circostanze indotte dall’accusa che riverberano sul fatto costitutivo del diritto fatto valere. L’ambito di allegazione da riconoscersi al terzo deve essere il più ampio possibile, altrimenti rendendosi privo di contenuto il diritto azionabile, e deve comprendere tutti i fatti positivi anche contrari o presuntivi rispetto a quelli su cui si fonda la ritenuta disponibilità del bene in capo al proposto. Non solo, pertanto, circostanze volte a dimostrare di avere sostenuto, iure proprio e con esclusione di qualsiasi interferenza determinata dai proventi illeciti del proposto, l’acquisto del bene, ma anche quelle dirette a contestare la valenza indiziante degli elementi ricostruttivi e dichiarativi in forza dei quali si sostiene che l’intestazione del bene sia avvenuta nomine alieno. E a tale fine sarà la dialettica del processo, con il dispiegarsi del contraddittorio, a consentire di ricostruire in maniera esaustiva le vicende relative all’intestazione o al trasferimento del bene al terzo, tenendosi necessariamente conto della specificità di ogni vicenda che, in ragione della natura assai variegata che le contraddistingue, non potrà che formare oggetto di un attento scrutinio riservato al giudice del merito. In un giudizio che coinvolge la proprietà, uno dei diritti fondamentali del sistema giuridico italiano e convenzionale, emerge, infatti, nitida la necessità di un accertamento esaustivo che, in ossequio anche al principio di effettività del diritto di difesa, rifugga da scorciatoie ed automatismi probatori e si fondi su un quadro circostanziato che renda legittima e proporzionata la privazione, nei confronti del proposto e dei terzi che non abbiano un valido diritto sui beni da confiscare, dei profitti derivanti da attività criminali. ‘.
3.1. Il terzo intestatario del bene confiscato è dunque ammesso a provare, o quantomeno allegare con l’offerta di un principio di prova , in cui si sostanzia l”onere di allegazione’ -sul quale ‘la dialettica del processo, con il dispiegarsi del contraddittorio’, dovrà fornire il lume indispensabile alla decisione che gli elementi indiziari, anche di natura dichiarativa, posti a fondamento del
giudizio di fittizietà dell’intestazione, in quanto avvenuta ‘ nomine alieno ‘, non possiedono valenza univoca ed esauriente.
3.2. Calate tali direttrici nell’ambito del presente scrutinio, si osserva che l’audizione in contraddittorio dei collaboratori di giustizia è stata invocata da COGNOME NOME allo scopo di provare l’infondatezza del vaglio di pericolosità sociale formulato per il periodo 2001-2006, costituente la perimetrazione temporale dell’acquisto e della realizzazione del bene immobile confiscato, ricondotto alla sua disponibilità di fatto; contesto situazionale da reputarsi coperto dall’interesse all’impugnazione, in quanto necessario presupposto della assunta fittizietà dell’intestazione del bene in capo ai genitori. Affermare l’inesistenza di un interesse del proposto destinatario della sola misura di prevenzione patrimoniale, per difetto di attualità della pericolosità – a contestare il profilo della propria pericolosità sociale e, per l’effetto, dell’illiceità della provenienza delle risorse impiegate per l’acquisizione del bene confiscato, sol perché la sua prospettazione ha come finalità quella di negare la titolarità di fatto del bene medesimo, significherebbe privare tale figura di qualsiasi strumento processuale destinato a contrastare uno ‘stigma’ giudiziario comunque per lui personalmente pregiudizievole, anche nell’eventualità di incorrere in ulteriori procedimenti penali o di prevenzione, ovvero di futuri provvedimenti limitativi della libertà personale, che di quel giudizio di pericolosità potrebbero tener conto.
3.3. L’impugnazione dei terzi interessati, in armonia con le coordinate tracciate da questa Corte nella sua più autorevole composizione, è volta non tanto a contestare il giudizio di pericolosità sociale del proposto, quanto piuttosto l’insussistenza del materiale indiziario a conforto della simulazione dell’intestazione dell’immobile confiscato .
Orbene, è innegabile che il compendio indiziario dell’uno l’apprezzamento della pericolosità generica ex art. 1 lett. b) e c) D. Lgs. n. 159 del 2011 -e dell’altra l’apparente titolarità formale della villetta e del terreno – sia scaturito in modo significativo dalle dichiarazioni dei collaboranti, la cui escussione è stata richiesta, con enunciati circostanziati, sin dalla fase di primo grado (note difensive con richieste istruttorie, depositate all’udienza del 15 marzo 2023) e, poi, con l’atto di appello; i quattro collaboratori (COGNOME, NOME, COGNOME e COGNOME), per quanto si evince dalla trama ricostruttiva della motivazione del decreto di primo grado, sono stati auditi nel procedimento penale in fase di indagini preliminari e, comunque, non in contraddittorio con
la difesa; ovvero ancora, il propalato valorizzato ai fini dell’adozione della misura di prevenzione patrimoniale è quello dei verbali di interrogatorio resi al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria delegata.
Analogamente, non sono state acquisite le dichiarazioni rese al difensore, ex art. 391 ter cod. proc. pen., dal fratello dell’imputato, COGNOME NOME , che la difesa di COGNOME NOME e COGNOME NOME ha offerto alla Corte d’appello con memoria del 13 dicembre 2024, e non è stata disposta la sua escussione, finalizzata non solo a comprovare le ‘modalità di realizzazione dell’immobile sottoposto a confisca e la manovalanza impiegata’, ma anche a dimostrare la riconducibilità del bene al l’effettiva titolarità dei coniugi COGNOME; non è stato disposto l’ascolto di COGNOME NOME, in ordine al rapporto di prestazione d’opera intercorso con COGNOME NOME, sul presupposto, sostanzialmente, dell’incertezza della data apposta sulla scrittura privata perché depositata solo nel corso del giudizio di appello e mai menzionata dalla difesa nel corso del procedimento di prima istanza (e, perciò, sospettata di postumo preconfezionamento). Si è tuttavia dimenticato, in proposito, che l’assenza, nella previsione dell’art. 2704, comma 1, cod. civ., di un’elencazione tassativa dei fatti in base ai quali la data di una scrittura privata non autenticata possa ritenersi opponibile nei confronti dei terzi, consente al giudice di merito di valutare, col suo prudente apprezzamento, se sussiste un fatto, diverso dalla registrazione, che sia idoneo a dimostrare con certezza l’anteriorità della formazione del documento rispetto ad una data determinata (Cass. civ. sez. 5, n. 20813 del 21/07/2021, Rv. 661949, richiamata da Cass. pen. sez.2, n. 24311 del 01/04/2022, Coscia, Rv. 283626); e non è stata accolta la richiesta di ascoltare le sorelle di NOME, in quanto tardiva, senza considerare, come già sopra predicato, che nel giudizio di appello del procedimento di prevenzione possono essere appresi nuovi elementi probatori, preesistenti o sopravvenuti, purché nel rispetto dei principi della devoluzione e della garanzia del contraddittorio.
È stata richiesta l’audizione d ella dr.ssa COGNOME, dipendente dell’UEPE di Bari, sulla specifica circostanza relativa all’effettiva e costante disponibilità dell’immobile da parte di COGNOME NOME, elemento di fatto non necessariamente emergente dalla documentazione attinente al provvedimento del Tribunale di sorveglianza di Bari e al correlativo programma trattamentale predisposto per il periodo di applicazione di misure alternative alla detenzione carceraria.
In conclusione, ed alla luce delle osservazioni esposte, ritiene il collegio che il diniego opposto dalla Corte territoriale a tutte le istanze probatorie così
avanzate dalla difesa dei ricorrenti si riveli affetto da mancanza assoluta -come nel caso della audizione dei collaboratori di giustizia – o da mera apparenza della motivazione, che precipita nella patologia della dedotta violazione di legge.
Ne viene l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato per nuovo esame da parte della Corte di appello di Bari che dovrà conformarsi ai principi sopra delineati in ordine alla violazione del diritto alla prova in capo al proposto e ai terzi interessati.
In proposito va ribadito che, in tema di procedimento di prevenzione, qualora la Corte di cassazione annulli con rinvio il decreto emesso dalla corte d’appello, per la natura del provvedimento censurato, gli atti devono essere trasmessi, ai sensi dell’art. 623, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., alla stessa sezione che lo ha adottato, sia pur in diversa composizione collegiale, per l’incompatibilità, ex art. 34 cod. proc. pen., dei giudici che si sono già pronunciati sulla questione (Sez. 5, n. 19426 del 20/04/2021, Pg, Rv. 281253 – 01). Infatti, come chiarito Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, «la natura di decreto non permette il rinvio a diversa sezione, a mente del disposto di cui all’art. 623, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.; per contro, la natura decisoria dell’atto impone che il collegio chiamato alla nuova valutazione sia composto diversamente, stante l’incompatibilità dei componenti che hanno partecipato alla decisione oggetto di impugnazione».
P.Q.M.
Annulla il decreto impugnato, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Bari.
Così deciso in Roma, 25/09/2025
Il consigliere estensore Il presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME