Diritto al silenzio: la Cassazione annulla la condanna per false dichiarazioni
Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 2125 del 2024, ha chiarito un punto fondamentale riguardo il diritto al silenzio dell’imputato, con importanti conseguenze per il reato di false dichiarazioni. La Suprema Corte ha annullato una condanna basandosi su un principio rivoluzionario affermato dalla Corte Costituzionale: senza un preventivo avvertimento, mentire sui propri precedenti penali non è più punibile. Analizziamo insieme questa decisione che rafforza le garanzie difensive nel processo penale.
I Fatti del Caso
La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna di un’imputata per il reato previsto dall’art. 495 del codice penale. Durante l’esame nel corso di un processo dinanzi alla Corte di Assise, l’imputata aveva dichiarato falsamente di non avere precedenti penali a suo carico. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano confermato la sua colpevolezza.
La difesa ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo la mancanza dell’elemento soggettivo del reato. In altre parole, si contestava che non vi fosse la prova della piena consapevolezza da parte dell’imputata di avere precedenti penali e, di conseguenza, della volontà di rendere dichiarazioni mendaci.
L’intervento della Corte Costituzionale e l’espansione del diritto al silenzio
Il fulcro della decisione della Cassazione non risiede tanto nell’analisi dell’elemento soggettivo, quanto nel recepimento di una fondamentale sentenza della Corte Costituzionale, la n. 111 del 2023. Questa pronuncia ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di due norme chiave:
1. Art. 64, comma 3, cod. proc. pen.: Nella parte in cui non prevedeva che l’avvertimento di poter non rispondere fosse rivolto all’imputato anche prima di richiedergli informazioni sulle proprie condizioni personali (come lo stato di incensuratezza), e non solo sulle sue generalità.
2. Art. 495 cod. pen.: Nella parte in cui non escludeva la punibilità dell’imputato che, senza aver ricevuto tale avvertimento, avesse fornito false informazioni sulle proprie condizioni personali.
La Consulta ha ritenuto che l’assetto normativo precedente non fosse conforme al diritto al silenzio sancito dall’art. 24 della Costituzione. Tale diritto esige che l’imputato sia debitamente informato della facoltà di non rispondere anche a domande relative ai suoi precedenti penali, e non solo ai fatti oggetto del processo.
Le Motivazioni della Cassazione
Sulla base di questi principi, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso. I giudici hanno osservato che, nel caso di specie, l’imputata aveva fornito le false dichiarazioni sul suo stato di incensuratezza durante l’esame, senza essere stata prima avvertita del suo diritto al silenzio su tali specifiche informazioni, come invece richiesto dalla nuova interpretazione costituzionale.
Di conseguenza, la sua condotta, pur materialmente corrispondente a quanto descritto dall’art. 495 c.p., non è più punibile. La Corte ha quindi proceduto all’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con la formula “perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato”. La decisione della Corte Costituzionale ha, di fatto, ristretto l’ambito di applicazione del reato di false dichiarazioni, introducendo una causa di non punibilità legata alla tutela del diritto di difesa.
Le Conclusioni
La sentenza in esame rappresenta un’importante affermazione delle garanzie processuali. Stabilisce un principio chiaro: il diritto al silenzio dell’imputato è un baluardo invalicabile che si estende oltre i fatti contestati, fino a coprire le condizioni personali che potrebbero avere un riflesso negativo sulla sua posizione. Per poter procedere per il reato di false dichiarazioni su tali aspetti, è ora indispensabile che l’autorità giudiziaria fornisca all’imputato il preventivo e specifico avvertimento sulla facoltà di non rispondere. In assenza di tale avviso, qualsiasi dichiarazione mendace sui propri precedenti penali non potrà più costituire reato.
È reato mentire sui propri precedenti penali durante un esame in tribunale?
Non è più considerato reato se l’imputato non è stato preventivamente e specificamente avvertito del suo diritto di non rispondere a domande sulle proprie condizioni personali, inclusi i precedenti penali, come stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 111/2023.
Il diritto al silenzio copre anche le domande sulle condizioni personali dell’imputato?
Sì. La Corte Costituzionale ha chiarito che il diritto al silenzio, tutelato dall’art. 24 della Costituzione, si estende anche alle domande relative alle condizioni personali dell’imputato, diverse dalle semplici generalità, come appunto i precedenti penali.
Cosa significa che la sentenza è stata ‘annullata senza rinvio perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato’?
Significa che la Corte di Cassazione ha cancellato la condanna in via definitiva. Il caso non tornerà a un altro giudice per un nuovo esame perché, a seguito della decisione della Corte Costituzionale, il comportamento tenuto dall’imputata (mentire sui precedenti senza essere stata avvertita) non è più legalmente considerato un crimine.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2125 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2125 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nata a MILANO il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 12/12/2022 della CORTE di APPELLO di BRESCIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria scritta del Sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione, NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 12 dicembre 2022, la Corte di appello di Brescia ha riformato la pronuncia del 23 febbraio 2022 del Tribunale cittadino con la quale l’imputata era stata condannata alla pena di giustizia per il reato di cui all’art. 495 cod. pen. in relazione alle false dichiarazioni rese, in ordine alla mancanza di procedimenti penali a suo carico, al Presidente della Corte di Assise di Brescia nel corso dell’udienza in cui era imputata e sottoposta ad esame.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso l’imputata, attraverso il difensore di fiducia, deducendo il motivo di seguito enunciato nei limiti di cui all’art 173, comma primo, disp. att. cod. proc. pen.
E’ stata denunziata violazione di legge in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo della condotta di cui all’art. 495 cod. pen.
Lamenta la difesa che non vi era la prova che l’imputata fosse a conoscenza dei precedenti penali a suo carico e che dunque vi fosse la consapevolezza in capo
alla stessa di rendere dichiarazioni mendaci in relazione al suo stato di incensuratezza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato per le ragioni che seguono.
La Corte costituzionale con sentenza del 6 aprile 2023 n.111 ha dichiarato:
-l’illegittimità costituzionale dell’art. 64 comma terzo cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede che gli avvertimenti ivi indicati siano rivolti alla persona sottoposta alle indagini o all’imputato prima che vengano loro richieste le informazioni di cui all’art. 21 norme att. cod. proc. pen.;
-l’illegittimità costituzionale dell’art. 495 comma primo cod. pen. nella parte in cui non esclude la punibilità della persona sottoposta ad indagini o dell’imputato che richiesti di fornire le informazioni indicate nell’art.21 norme att. cod. proc. pen. senza che siano stati loro previamente formulati gli avvertimenti di cui all’art.64 comma terzo cod. proc. pen., abbiano reso false dichiarazioni.
La Consulta ha ritenuto l’assetto normativo e giurisprudenziale “non conforme alle esigenze di tutela del diritto al silenzio come riconosciuto dall’art.24 Cost. che esige invece che la persona sottoposta alle indagini o imputata sia debitamente avvertita, segnatamente del proprio diritto di non rispondere anche alle domande relative alle proprie condizioni personali diverse da quelle relative alle proprie generalità e dalla possibilità che le sue eventuali dichiarazioni siano utilizzate nei suoi confronti”.
Nel caso di specie l’imputata, sottoposta ad esame nel corso del processo dinanzi alla Corte di assise, ha fornito le false dichiarazioni in relazione al suo stato di incensuratezza senza che fosse stata edotta del suo diritto al silenzio ai sensi dell’art. 64 cod. proc. pen. anche in relazione alle informazioni di cui all’art. 2 norme att. cod. proc. pen.
Conseguentemente la sua condotta non è più punibile e la sentenza va annullata con rinvio perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato alla luce delle indicazioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale richiamata.
PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
Così deciso in Roma il 17 novembre 2023 Il consigliere estensore COGNOME
Il Presidente