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Diritto al silenzio: non punibile la falsa dichiarazione

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per false dichiarazioni (art. 495 c.p.) perché l’imputata non era stata avvertita del suo diritto al silenzio sui precedenti penali, come stabilito da una recente sentenza della Corte Costituzionale. A seguito di tale intervento, il fatto non è più previsto dalla legge come reato.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diritto al silenzio: la Cassazione annulla la condanna per false dichiarazioni

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 2125 del 2024, ha chiarito un punto fondamentale riguardo il diritto al silenzio dell’imputato, con importanti conseguenze per il reato di false dichiarazioni. La Suprema Corte ha annullato una condanna basandosi su un principio rivoluzionario affermato dalla Corte Costituzionale: senza un preventivo avvertimento, mentire sui propri precedenti penali non è più punibile. Analizziamo insieme questa decisione che rafforza le garanzie difensive nel processo penale.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna di un’imputata per il reato previsto dall’art. 495 del codice penale. Durante l’esame nel corso di un processo dinanzi alla Corte di Assise, l’imputata aveva dichiarato falsamente di non avere precedenti penali a suo carico. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano confermato la sua colpevolezza.

La difesa ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo la mancanza dell’elemento soggettivo del reato. In altre parole, si contestava che non vi fosse la prova della piena consapevolezza da parte dell’imputata di avere precedenti penali e, di conseguenza, della volontà di rendere dichiarazioni mendaci.

L’intervento della Corte Costituzionale e l’espansione del diritto al silenzio

Il fulcro della decisione della Cassazione non risiede tanto nell’analisi dell’elemento soggettivo, quanto nel recepimento di una fondamentale sentenza della Corte Costituzionale, la n. 111 del 2023. Questa pronuncia ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di due norme chiave:

1. Art. 64, comma 3, cod. proc. pen.: Nella parte in cui non prevedeva che l’avvertimento di poter non rispondere fosse rivolto all’imputato anche prima di richiedergli informazioni sulle proprie condizioni personali (come lo stato di incensuratezza), e non solo sulle sue generalità.
2. Art. 495 cod. pen.: Nella parte in cui non escludeva la punibilità dell’imputato che, senza aver ricevuto tale avvertimento, avesse fornito false informazioni sulle proprie condizioni personali.

La Consulta ha ritenuto che l’assetto normativo precedente non fosse conforme al diritto al silenzio sancito dall’art. 24 della Costituzione. Tale diritto esige che l’imputato sia debitamente informato della facoltà di non rispondere anche a domande relative ai suoi precedenti penali, e non solo ai fatti oggetto del processo.

Le Motivazioni della Cassazione

Sulla base di questi principi, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso. I giudici hanno osservato che, nel caso di specie, l’imputata aveva fornito le false dichiarazioni sul suo stato di incensuratezza durante l’esame, senza essere stata prima avvertita del suo diritto al silenzio su tali specifiche informazioni, come invece richiesto dalla nuova interpretazione costituzionale.

Di conseguenza, la sua condotta, pur materialmente corrispondente a quanto descritto dall’art. 495 c.p., non è più punibile. La Corte ha quindi proceduto all’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con la formula “perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato”. La decisione della Corte Costituzionale ha, di fatto, ristretto l’ambito di applicazione del reato di false dichiarazioni, introducendo una causa di non punibilità legata alla tutela del diritto di difesa.

Le Conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un’importante affermazione delle garanzie processuali. Stabilisce un principio chiaro: il diritto al silenzio dell’imputato è un baluardo invalicabile che si estende oltre i fatti contestati, fino a coprire le condizioni personali che potrebbero avere un riflesso negativo sulla sua posizione. Per poter procedere per il reato di false dichiarazioni su tali aspetti, è ora indispensabile che l’autorità giudiziaria fornisca all’imputato il preventivo e specifico avvertimento sulla facoltà di non rispondere. In assenza di tale avviso, qualsiasi dichiarazione mendace sui propri precedenti penali non potrà più costituire reato.

È reato mentire sui propri precedenti penali durante un esame in tribunale?
Non è più considerato reato se l’imputato non è stato preventivamente e specificamente avvertito del suo diritto di non rispondere a domande sulle proprie condizioni personali, inclusi i precedenti penali, come stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 111/2023.

Il diritto al silenzio copre anche le domande sulle condizioni personali dell’imputato?
Sì. La Corte Costituzionale ha chiarito che il diritto al silenzio, tutelato dall’art. 24 della Costituzione, si estende anche alle domande relative alle condizioni personali dell’imputato, diverse dalle semplici generalità, come appunto i precedenti penali.

Cosa significa che la sentenza è stata ‘annullata senza rinvio perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato’?
Significa che la Corte di Cassazione ha cancellato la condanna in via definitiva. Il caso non tornerà a un altro giudice per un nuovo esame perché, a seguito della decisione della Corte Costituzionale, il comportamento tenuto dall’imputata (mentire sui precedenti senza essere stata avvertita) non è più legalmente considerato un crimine.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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