Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5015 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 5015 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
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COGNOME NOME NOME a Fano Adriano il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a Roma il DATA_NASCITA
NOME NOME a Roma il DATA_NASCITA
NOME NOME a Roma il DATA_NASCITA
NOME NOME a Roma il DATA_NASCITA
– 7 FEB. 2025
avverso la sentenza del 16/05/2024 della Corte di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso riportandosi alla requisitoria scritta con la quale ha chiesto l’accoglimento dei motivi 8 e 9 del ricorso per NOME COGNOME con conseguente annullamento con rinvio per quanto riguarda il trattamento sanzioNOMErio; dichiararsi inammissibili i ricorsi di NOME COGNOME, di NOME COGNOME e di NOME COGNOME; il rigetto del ricorso di NOME COGNOME;
udito il difensore, AVV_NOTAIO, che, nell’interesse di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, ha replicato al Pubblico ministero depositando memoria con allegata copia dell’atto di appello ed ha chiesto, in
difesa di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, raccoglimento del ricorso; per quanto riguarda NOME COGNOME, evidenzia l’errore di calcolo nella irrogazione della pena, insistendo nell’accoglimento del ricorso udito il difensore, AVV_NOTAIO, che nell’interesse di NOME COGNOME ha depositato memoria di replica ed insiste nell’accoglimento del ricorso e che nell’interesse di NOME COGNOME ha depositato memoria di replica ed insiste nell’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 16 maggio 2024 la Corte di appello di Roma in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Roma il 22 febbraio 2023:
ha assolto NOME COGNOME dal delitto di usura ascrittogli al capo 1) per non aver commesso il fatto con riferimento alle condotte antecedenti all’anno 2015 e perché il fatto non sussiste in relazione alle condotte successive, rideterminando la pena per il residuo reato di abusiva attività finanziaria di cui agli artt. 110 co pen., 132 d.lgs n. 385 del 1993, contestatogli al capo 2), del quale era stato dichiarato responsabile in primo grado, in anni uno di reclusione ed euro 3.000,00 di multa;
ha ridotto ad anni dodici, mesi sei di reclusione ed euro 55.000,00 di multa la pena complessivamente inflitta a NOME COGNOME, dichiarata colpevole in primo grado dei reati di cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina contestati rispettivamente ai capi 3) nei confronti di NOME COGNOME; 4), nei confronti di NOME COGNOME, con esclusione del fatto accaduto il 30 settembre 2018; 5), nei confronti di NOME COGNOME; 7), nei confronti di NOME COGNOME; nonché del reato di cui agli artt. 81 cpv. 629, 416.1-bis cod. pen., contestato al capo 8), in danno di NOME COGNOME, e condannata in primo grado, applicata la recidiva, specifica, reiterata ed infraquinquennale, ritenuta la continuazione, alla pena di anni quattordici di reclusione ed euro 60.000,00 di multa;
ha ridotto ad anni sei di reclusione ed euro 4.800,00 di multa la pena inflitta ad NOME COGNOME, dichiarato responsabile del reato di cui agli artt. 56, 629, 416bis. I cod. pen., contestatogli al capo 9), in danno di NOME COGNOME, per il quale era stato condanNOME in primo grado, applicata la recidiva specifica e reiterata, alla pena di anni otto di reclusione ed euro 4.800,00 di multa;
ha ridotto ad anni sei, mesi nove di reclusione ed euro 30.000,00 di multa la pena complessivamente inflitta a NOME COGNOME, dichiarato responsabile dei reati di cessione di sostanza stupefacente di cui ai capi 4), nei confronti di NOME COGNOME; 5), nei confronti di NOME COGNOME e – previa assoluzione, già in primo
grado, dal reato di cui al capo 6) e 7) per non aver commesso il fatto – condanNOME in primo grado, ritenuta la continuazione, alla pena di anni sette di reclusione ed euro 30.000,00 di multa, nei confronti di NOME COGNOME;
ha assolto NOME COGNOME dal reato di usura ascrittogli al capo 1) perché il fatto non sussiste, limitatamente ai fatti commessi in epoca successiva all’anno 2015, rideterminando la pena in relazione alle residue condotte antecedenti all’anno 2015, previa concessione RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche, in anni due di reclusione ed euro 6.000,00 di multa, così riformando la sentenza di primo grado che lo aveva condanNOME, previa esclusione della recidiva specifica contestatagli, alla pena di anni tre, mesi sei di reclusione ed euro 10.000,00 di multa;
ha revocato le pene accessorie nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME, la confisca disposta nei confronti di NOME COGNOME, nonché l’obbligo presentazione alla polizia giudiziaria applicato a quest’ultimo
confermando nel resto la sentenza di primo grado che – oltre ad aver assolto NOME COGNOME dal reato di cui al capo 4) limitatamente all’episodio del 30 settembre 2018, per non aver commesso il fatto e dall’imputazione di cui al capo 6) unitamente ad NOME COGNOME, perché il fatto non sussiste (episodio del 9 novembre 2018) e per non aver commesso il fatto (episodio del 23 novembre 2018); il solo NOME COGNOME dall’imputazione di cui al capo 7) per non aver commesso il fatto – ha condanNOME gli imputati tutti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e di rispettiva custodia cautelare in carcere; ha ordiNOME la confisca del denaro, dei beni o RAGIONE_SOCIALE utilità di cui NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno disponibilità per un importo pari a 12.000,00 euro; ha dichiarato NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME interdetti in perpetuo dai pubblici uffici e in stato di interdizione legale durate l’esecuzione della pena.
Avverso l’indicata sentenza hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli imputati, per il tramite dei loro rispettivi difensori di fiducia.
AVV_NOTAIO, difensore di NOME COGNOME, ha affidato il suo ricorso a due motivi.
2.1. Con il primo motivo lamenta vizio di violazione di legge e di motivazione in ordine al diniego RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche ed alla commisurazione della pena, in relazione agli artt. 62-bis, 132 e 133 cod. pen.
Si evidenzia che la richiesta è stata disattesa sul presupposto che il riconoscimento RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo, che la Corte ha ritenuto non individuabili, non essendo sufficiente la mancanza di precedenti penali, nonostante nell’atto di appello si fosse indicato, quale elemento positivo, lo svolgimento da parte del ricorrente di un rapporto di lavoro subordiNOME a tempo indetermiNOME decorrente dalla data di
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assunzione del 1 maggio 2022, di cui era stata prodotta documentazione, non valutata dalla Corte di appello.
Di tale documentazione la Corte non ha tenuto conto neanche nella dosimetria della pena.
2.2 Con il secondo motivo la parte lamenta l’omessa motivazione sulla richiesta di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione, già richiesta nel terzo motivo del primo atto di appello, su cui la Corte di appello nulla dice.
AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME, ha affidato il suo ricorso a nove motivi, anticipati da una introduzione.
3.1 Con l’introduzione, intitolata premessa metodologica, il difensore censura il vizio di motivazione relativo a tutto il compendio probatorio, passando poi ad analizzare il primo motivo di censura, con il quale lamenta omessa motivazione sulla richiesta di riascolto della conversazione n. 1287 del 18 settembre 2018, con conseguente vizio di motivazione in relazione al delitto di cui al capo 3), che, si evidenzia, si fonda essenzialmente sull’intercettazione di un colloquio telefonico intercorso tra la NOME e NOME COGNOME in data 18 settembre 2018.
La parte deduce che la Corte di appello nulla motiva in ordine al fatto di non aver proceduto al riascolto della conversazione, nonostante l’esplicita richiesta avanzata in tal senso con l’appello, alla luce di quanto contenuto nella sentenza di primo grado, da cui emergeva che la stessa è stata ascoltata in camera di consiglio dal Tribunale, che da tale ascolto ha tratto certezza che un termine, indicato come incomprensibile dal perito, corrispondesse alla parola “ricetta”.
3.2. Con il secondo motivo, lamenta motivazione apodittica in ordine alla configurabilità del delitto di cui al capo 4) e si riporta sul punto il contenuto de conversazione rilevante in ordine all’episodio del 25 settembre 2018, del 2 ottobre 2018, del 17 ottobre 2018.
3.3. Il terzo motivo lamenta motivazione apodittica in ordine alla configurabilità del delitto di cui al capo 5) e si evidenzia che manca la certezza degli elementi indiziari e che manca la prova del raggiungimento di un accordo transattivo.
3.4 Con il quarto motivo si deduce vizio di violazione di legge e di motivazione in relazione al principio del favor rei e motivazione apodittica quanto alla identificazione della tipologia della sostanza stupefacente oggetto dei reati di cui ai capi 3), 4) e 5), essendosi ritenuta la fattispecie di cui all’art. 73, comma d.P.R. n. 309 del 1990 e non quella del quarto comma, in ragione dell’apodittica identificazione tipologica della sostanza stupefacente trattata.
3.5 Con il quinto motivo si lamenta vizio di violazione di legge e di motivazione in ordine alla denegata riqualificazione dei reati di cui ai capi 3), 4), 5) e 7) ne
fattispecie della lieve entità, motivo, questo, che era stato dedotto anche in appello.
3.6 Con il sesto motivo si deduce vizio di violazione di legge e di motivazione in ordine alla configurabilità del reato di estorsione contestato al capo 8).
Si assume che la condanna si fonda esclusivamente su un passaggio contenuto nel verbale di ricezione di denuncia sporta il 6 settembre 2018 da NOME COGNOME, confermato all’udienza del 29 aprile 2022, su contestazione, passaggio, questo, che è stato forzatamente interpretato come indicativo di una carica intimidatoria, che nel caso in esame era insussistente, non essendovi stata alcuna minaccia.
3.7 Con il settimo motivo è dedotto vizio di legge e di motivazione in ordine alla sussistenza della circostanza aggravante dell’uso del metodo mafioso.
Si ribadisce in particolare che il termine “famiglia”, confermato dalla persona offesa solo su contestazione della denuncia, andava inteso non già come riferito al RAGIONE_SOCIALE, ma come nucleo familiare ristretto di NOME COGNOME.
3.8 Con l’ottavo motivo si lamenta violazione del principio di proporzionalità della pena e mancanza di motivazione in ordine alla commisurazione degli aumenti di pena inflitti per gli episodi del 18 settembre, 25 settembre, 2 ottobre, 10 ottobre 2018 rispetto a quello del 17 ottobre 2018.
3.9 Con il nono motivo si deduce l’erronea quantificazione della pena derivante da errore materiale (pag 50 della sentenza), evidenziandosi che la somma di anni dieci di reclusione ed euro 45.000 di multa più nove mesi di reclusione ed euro 3000 di multa dà il risultato di anni dieci, mesi nove di reclusione ed euro 48.000 di multa e non di anni undici mesi tre di reclusione ed euro 51.000, come indicato dalla Corte di appello nel calcolo della continuazione con i reati di cui ai capi 3, 4 e 5, per cui la pena finale va rideterminata nella misu di anni dodici di reclusione ed euro 52.000 di multa.
AVV_NOTAIO, nell’interesse di NOME COGNOME, affida il propri ricorso ad otto motivi.
4.1. Con il primo motivo deduce la nullità della sentenza in ordine agli artt. 47, 48 Carta Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, nonché 267 TTUE per violazione di legge ed assoluto difetto di motivazione in ordine alla mancata declaratoria di inutilizzabilità RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni di NOME COGNOME e vizio d violazione di legge e difetto di motivazione per il mancato rinvio pregiudiziale alla Corte Europea di Giustizia.
Si afferma che la Corte di appello ha disatteso, con motivazione illogica, quanto già dedotto in appello, ossia la inutilizzabilità RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese d NOME COGNOME in qualità di testimone, dovendo trovare diretta applicazione le norme comunitarie risultanti dal combiNOME disposto degli artt. 47 e 48 della
CDFUE per come interpretato dalla sentenza Grande Sezione della Corte di Giustizia europea del 2 febbraio 2021 D.B./Consob, che ha stabilito la titolarità del diritto al silenzio di soggetti parti di un procedimento amministrativo all’esito del quale avrebbero potuto essere passibili di sanzioni nominalmente amministrative ma nella sostanza punitive, qual è quella di cui all’art. 75 d.P.R. n. 309 del 1990, di cui era destinatario il COGNOME, al quale, quindi, doveva essere riconosciuto il diritto al silenzio, anche disapplicando la norma nazionale di cui agli artt. 63 e 64 cod. proc. pen., che non è stata sul punto dichiarata incostituzionale dalla Consulta con la sentenza n. 148 del 2022.
Si osserva che la Corte di appello avrebbe prima di tutto dovuto stabilire se le misure ex art. 75 d.P.R. n. 309 del 1990 abbiano o no natura sanzioNOMEria come desumibile dalla giurisprudenza della Corte EDU sin dalla sentenza COGNOME ed altri contro Paesi Bassi dell’8 giugno 1976 – e quindi all’esito rilevare, comunque, che le misure di cui all’art. 75 d.P.R. n. 309 del 1990, se anche non sono assimilabili alla pena per il diritto interno, lo sono per quello eurounitario e che stante il contrasto tra la norma interna e quella comunitaria, è quest’ultima che deve prevalere, con conseguente obbligo per il giudice di disapplicare la norma interna.
Si rinnova quindi la richiesta di rinvio pregiudiziale, deducendosi che la stessa non è stata accolta per un equivoco in quanto nessuna RAGIONE_SOCIALE due sentenze di merito ha negato la inconciliabilità tra la norma sovranazionale e quella interna.
4.2 Con il secondo motivo, la parte lamenta nullità della sentenza quanto alla conferma del giudizio di responsabilità dell’imputato per il reato di cui al capo 9) e difetto assoluto di motivazione anche in ordine alla mancata rinnovazione del dibattimento per lo svolgimento di una perizia fonica.
Si afferma che il giudizio di responsabilità si basa sull’attribuzione all’imputato del messaggio registrato sulla segreteria telefonica dell’utenza in uso a NOME COGNOME, nonostante provenisse da un cellulare in uso a NOME COGNOME e si contesta il giudizio di responsabilità operato sul punto dai giudici di merito. Si contesta che la Corte di appello ha ritenuto superfluo procedere al riascolto del messaggio (che era stato effettuato dal Tribunale) e si contesta l’attendibilità del riconoscimento operato dall’operatore di polizia giudiziaria NOME.
Si deducono anche tutti gli altri elementi valorizzati e in particolare la circostanza che non sia stata riascoltata la conversazione, nonostante le sollecitazioni della difesa e si contesta che, nonostante sia stato richiesto nel decimo motivo di appello di procedere alla rinnovazione del dibattimento ex art. 603 cod. proc. pen., disponendo un accertamento peritale per il confronto della voce del messaggio con quella dell’imputato, nulla abbia detto in proposito la Corte di appello.
4.3 Con il terzo motivo è dedotta la nullità della sentenza in relazione agli artt. 56, 610, 56 e 629 cod. pen., nonché violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla mancata derubricazione del delitto di cui al capo 9) in quello di cui agli artt. 56, 610 cod. pen. ed alla conseguente omissione della declaratoria di improcedibilità per difetto di querela.
4.4. Con il quarto motivo si deduca violazione di legge e difetto assoluto di motivazione in ordine alla mancata esclusione della circostanza di cui all’art. 4161.bis cod. pen.
4.5. Con il quinto motivo si lamenta la nullità della sentenza in relazione all’art. 99 cod. pen. per difetto assoluto di motivazione in ordine alla sua mancata esclusione.
4.6. Con il sesto motivo viene dedotta la mancata concessione della circostanza attenuante della lieve entità, in applicazione della sentenza n. 120 del 15 giugno 2023 della Corte costituzionale, decisione depositata dopo il deposito della motivazione del Tribunale ma prima del deposito della sentenza della Corte di appello.
4.7 Con il settimo motivo la parte si duole del difetto di motivazione in ordine alla mancata concessione RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche.
4.8 Con l’ottavo motivo si lamenta l’assoluto difetto di motivazione in relazione alla determinazione della pena.
AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME, ha affidato il suo ricorso a quattro motivi, anticipati da una introduzione, che riprendono i motivi presentati nell’interesse di NOME COGNOME.
5.1 Con l’introduzione, titolata premessa metodologica, il difensore censura vizio di motivazione relativo a tutto il compendio probatorio per i capi 4 e 5, trattat alle pag. 43 e ss della sentenza impugnata, passando poi a lamentare, nel primo motivo di censura, motivazione apodittica in ordine alla configurabilità del delitto di cui al capo 4), riportando sul punto il contenuto della conversazione rilevante in ordine all’episodio del 25 settembre 2018, del 30 settembre 2018, del 2 ottobre 2018, del 17 ottobre 2018.
5.2. Si lamenta motivazione apodittica in ordine alla configurabilità del delitto di cui al capo 5) e si evidenzia che manca la certezza degli elementi indiziari e che manca la prova del raggiungimento di un accordo transattivo.
Si evidenzia che il giudizio di penale responsabilità si fonda sulle intercettazioni dei dialoghi telefonici intercorsi tra NOME COGNOME e NOME COGNOME e tra quest’ultimo e COGNOME in data 10 ottobre 2018.
5.3 Con il terzo motivo si lamenta vizio di violazione di legge e di motivazione in relazione al principio del favor rei e motivazione apodittica quanto alla identificazione della tipologia della sostanza stupefacente oggetto dei reati di cui
ai capi 4) e 5), essendosi ritenuta la fattispecie di cui all’art. 73, comma primo, d.P.R. n. 309 del 1990 e non quella del quarto comma, in ragione dell’apodittica identificazione tipologica della sostanza stupefacente trattata.
5.4 Con il quarto motivo si deduce vizio di violazione di legge e di motivazione in ordine alla denegata riqualificazione dei reati di cui ai capi 4) e 5) nel fattispecie della lieve entità, motivo, questo, che era stato dedotto anche in appello.
AVV_NOTAIO ha affidato il ricorso proposto in difesa di NOME COGNOME a due motivi.
6.1 Con il primo motivo lamenta nullità della sentenza in relazione all’art. 644 cod. pen. per difetto assoluto di motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità per il delitto di cui al capo 1).
Si sottolinea che NOME COGNOME è stato detenuto fino al 12 aprile 2014 e non ha mai avuto nè cercato contatti con il debitore NOME, il quale ha avuto rapporti con NOME COGNOME, inizialmente, e con NOME COGNOME, successivamente.
Si contesta quindi che la Corte di appello abbia ritenuto di non soffermarsi sulla prospettazione della difesa, ritenendole irrilevanti.
6.2 Con il secondo motivo lamenta nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione in ordine alla determinazione della pena.
Il AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO ha depositato requisitoria scritta, alla quale si è riportato in sede di conclusioni rassegnate in udienza, con le quali ha evidenziato:
per NOME COGNOME che il primo motivo è inammissibile in quanto la Corte territoriale confermando sul punto la sentenza di primo grado ha motivato riguardo al diniego, non individuando ragioni di segno positivo per il riconoscimento RAGIONE_SOCIALE stesse; quanto al difetto motivazionale riguardo ai doppi benefici di legge asseritamente chiesti e non concessi senza esplicitare le ragioni, ha ritenuto sussistente la violazione del principio di autosufficienza del ricorso non risultando in atti che la difesa li abbia chiesti in appello;
per NOME COGNOME si è riportato alle valutazioni espresse per NOME COGNOME, a mente RAGIONE_SOCIALE quali era stato chiesto il rigetto dei motivi da uno a cinque; sul sesto motivo, l’inammissibilità dello stesso, evidenziando che il ricorso, a tratti scende palesemente nel merito, proponendo una interpretazione alternativa dei fatti; sul settimo motivo, riguardante l’aggravante del metodo mafioso, l’inammissibilità dello stesso perché riproducenti gli stessi motivi prospettati in appello e a cui la Corte del territorio ha dato ampia ed esaustiva risposta; l’accoglimento dei motivi otto e nove;
per NOME COGNOME, l’inammissibilità del primo motivo che ricalca pedissequamente quello proposto in appello e su cui la Corte territoriale ha già
dato ampia, corretta ed esaustiva risposta richiamando la sentenza della Corte costituzionale n.148 del 2022 in ordine all’art. 64 comma 3 c.p.p., spingendosi anche oltre, arrivando a precisare e delineare i confini segnati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità per il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giusti Europea; anche il secondo e il terzo motivo rappresentano mera riproposizione di analoghi motivi svolti in appello e su cui la Corte territoriale ha rispost rigettandoli; l’inammissibilità del quarto motivo riguardante l’aggravante del metodo mafioso, venendo in rilievo una doppia conforme e perché sono svolti in questa sede gli stessi motivi prospettati in appello e a cui la Corte del territorio ha dato ampia ed esaustiva risposta; ugualmente inammissibile il motivo in punto di recidiva, in quanto la Corte territoriale non solo motiva adeguatamente, ma mostra di far buon governo dei principi giurisprudenziali al riguardo; inammissibile, in quanto manifestamente infondato, il motivo riguardante la circostanza della lieve entità non concessa dal giudice di appello; quanto alle generiche la Corte territoriale ha motivato in modo logico ed esaustivo il diniego in conferma della prima sentenza;
per NOME COGNOME, l’inammissibilità dei primi tre motivi di ricorso perché mera riproposizione RAGIONE_SOCIALE doglianze svolte in appello e respinte dalla Corte territoriale in conferma della sentenza di primo; l’infondatezza del quarto motivo, posto che la disposizione della legge n. 159 del 2023, che ha innovato l’art. 73, comma 5 del d.P.R. n. 309 del 1990 mediante l’espresso richiamo alla “non occasionalità” della condotta sembra voler far riferimento ad uno specifico sottotipo criminoso riconducibile al fatto lieve, quello del piccolo spaccio “organizzato”, che non ricorre nel caso di specie, alla luce della motivazione svolta dai giudici territoriali, che nei loro provvedimenti hanno descritto il luogo (una strada chiusa), le difese dello stesso (attraverso un sistema pervasivo di vedette di cui lo stesso ricorrente ne faceva parte), l’organizzazione e la disponibilità di droga ad ogni ora del giorno e della notte per assicurare il rifornimento e lo smercio ai singoli avventori;
per COGNOME COGNOME, l’inammissibilità del ricorso perché mera riproposizione RAGIONE_SOCIALE doglianze svolte in appello e respinte dalla Corte territoriale in conferma della sentenza di primo grado.
Con memoria scritta l’AVV_NOTAIO, nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, ha replicato al Pubblico ministero depositando in allegato copia dell’atto di appello ed ha chiesto, in difesa di NOME COGNOME e di NOME COGNOME l’accoglimento del ricorso e, per quanto riguarda NOME COGNOME l’accoglimento del ricorso, evidenziando l’errore di calcolo nella irrogazione della pena.
AVV_NOTAIO, nell’interesse di NOME COGNOME ha depositato memoria di replica insistendo nell’accoglimento del ricorso per quest’ultimo e per NOME COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile, salvo che per la doglianza relativa alla omessa statuizione sulla sospensione condizionale della pena, che va disposta; quello presentato da NOME COGNOME è nel complesso non manifestamente infondato e va accolto limitatamente alla pena finale che va rideterminata in questa sede; quello presentato da NOME COGNOME va rigettato in quanto non manifestamente infondato; i ricorsi proposti da NOME COGNOME ed NOME COGNOME sono entrambi manifestamente infondati e dunque inammissibili.
1. 1. Va premesso, a fronte RAGIONE_SOCIALE introduzioni contenute nei ricorsi di NOME COGNOME e di NOME COGNOME con le quali si censura il vizio di motivazione relativo a tutto il compendio probatorio, che, ai fini del controllo di legittimità vizio di motivazione, nel caso in esame ricorre la c.d. “doppia conforme” e la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda perfettamente con quella di primo grado, sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima, sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione RAGIONE_SOCIALE prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale. (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 27721801; in termini conformi, Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 25759501; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, NOME, Rv. 252615-01).
E’ altresì importante evidenziare che nel caso in esame la sentenza del Tribunale di Roma e quella della Corte di appello di Roma si saldano perfettamente tra loro e formano un unico complesso motivazionale, avendo i giudici di appello esamiNOME le censure proposte dai singoli appellanti con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione, tenendo conto che i motivi di gravame, illustrati nella prima parte della decisione della corte territoriale, non hanno riguardato elementi nuovi, se non con riferimento all’ascolto di alcune conversazioni intercettate, che è stato operato dal Tribunale in camera di consiglio (che si versi, in questa situazione, in un tipico caso di “doppia conforme” cfr. le già citate Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez.3, n.13926 del 01/12/2011, COGNOME, Rv.252615-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 COGNOME).
1.2 Nel caso di specie, per altro, le conformi sentenze di primo e di secondo grado si integrano perfettamente tra loro e fanno buon governo dei principi
)
espressi da questa Corte sul tema (cfr Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, dep. 2020, Acampa, Rv. 278611-01). Laddove, infatti, l’appellante si è limitato alla riproposizione di questioni di fatto o di diritto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, o ha prospettato critiche generiche, il giudice dell’impugnazione ha motivato, correttamente, per relationem; mentre, quando sono state formulate censure o contestazioni specifiche, introduttive di rilievi non sviluppati nel giudizio anteriore o contenenti argomenti che pongano in discussione le valutazioni in esso compiute, come nel caso della configurabilità del delitto di estorsione ai danni di NOME COGNOME, o dei delitti di spaccio, o della utilizzabilità RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni di NOME COGNOME, la Corte di appello le ha compiutamente analizzate e ciò esclude qualunque vizio di motivazione della decisione (in questo senso, oltre a Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, dep. 2020, Acampa, Rv. 278611-01, anche le conformi, Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012, dep. 2013, Santapaola, Rv. 256435-01 e Sez. 6, n. 17912 del 07/03/2013, Adduci, Rv. 255392-01).
Versandosi, come detto, in una ipotesi di cd. “doppia conforme”, va per completezza chiarito che «in tema di ricorso per cassazione, l’emersione di una criticità su una RAGIONE_SOCIALE molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non può comportare l’annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all’esito di una verifica sulla completezza e sulla globalità del giudiz operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatt che sorreggono l’impianto della decisione. (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271227-01; Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, COGNOME, Rv. 254988-01), situazione, questa, che non si rinviene nel caso in esame, in cui, come si vedrà, non si ravvisano, nel complesso, vizi di motivazione che inficiano la tenuta della decisione stessa.
Tanto chiarito, verranno di seguito analizzate i singoli ricorsi.
NOME COGNOME
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è in parte inammissibile ed in parte fondato, per le ragioni di seguito esplicitate.
2.1 II primo motivo di doglianza, ripreso anche nella memoria di replica depositata il 9 dicembre 2024, è inammissibile, avendo i giudici di merito espresso un giudizio di fatto, laddove hanno richiamato gli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini dell’esclusione RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti, condotto con motivazione completa e non contraddittoria,
che risulta insindacabile in questa sede (cfr Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269-01).
Con motivazione immune da censure, infatti, la Corte di appello (pag. 60) fa propria la valutazione operata dal primo giudice in punto di diniego RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche, applicando correttamente i principi uniformemente espressi da questa Corte, secondo cui al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549-02).
Nel caso di specie la Corte territoriale non ha ritenuto meritevole RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche l’imputato, non individuando elementi in grado di offrire dati di segno positivo e tale valutazione deve ritenersi estesa anche alla produzione del certificato di assunzione presso una ditta – per altro in data di molto successiva rispetto ai fatti in contestazione, risalendo il certificato al prim maggio 2022 – posto che, come più volte affermato da questa Corte, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, potendo far riferimento a quelli che ritiene decisivi o comunque rilevanti, nel qual caso tutti gli altri si ritengono, anche implicitamente, disattes comunque superati da questo tipo di valutazione (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549-02; Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv 275509-01; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv 271269-01).
1.2 II secondo motivo di ricorso è fondato quanto al riconoscimento della sospensione condizionale della pena, che va disposta; non può invece essere concesso il beneficio della non menzione.
Contrariamente a quanto affermato dalla Procura AVV_NOTAIO, la richiesta volta ad ottenere i doppi benefici risulta essere stata avanzata in appello (nel terzo motivo di appello) e su tale richiesta la Corte territoriale non ha motivato, né riconoscendo i benefici, né escludendoli.
Va premesso che NOME COGNOME, in parziale riforma della sentenza di primo grado, è stato assolto in appello dal delitto di usura ascrittogli al capo 1) per non aver commesso il fatto con riferimento alle condotte antecedenti all’anno 2015 e perché il fatto non sussiste in relazione alle condotte successive; in grado di appello la dichiarazione di responsabilità è stata confermata per il solo reato di cui al capo 2), ossia per l’abusiva attività finanziaria, con conseguente rideterminazione della pena per tale residuo reato di cui agli artt. 110 cod. pen.,
132 d.lgs n. 385 del 1993, contestatogli al capo 2), in anni uno di reclusione ed euro 3.000,00 di multa (in luogo della pena di anni quattro, mesi sei di reclusione ed euro 12.000,00 di multa, inflittagli in primo grado per entrambi i reati contestatigli); in appello sono state poi revocate nei suoi confronti le pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici per anni cinque nonché la confisca, oltre all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria; è stata infine confermata la condanna al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e di rispettiva custodia cautelare in carcere.
In esito al giudizio di appello la pena inflitta a NOME COGNOME rientra nel lim di pena per il quale gli può essere concesso il beneficio ai sensi dell’art. 163 cod. pen., posto che l’imputato è sostanzialmente incensurato (il precedente risultante dal certificato del casellario giudiziale è un decreto penale per il reato depenalizzato, di emissione di assegno senza autorizzazione), sicchè, in accoglimento del motivo di ricorso, l’imputato può beneficiare della sospensione condizionale della pena.
Ritiene tuttavia questa Corte che la rimessione della decisione sul punto al giudice di merito possa essere evitata, potendo procedervi direttamente ai sensi dell’art. 620, lett. I, cod. proc. pen. come modificato dall’art. 1, comma 67, legge 23 giugno 2017, n. 103, disposizione in base alla quale la Corte di cassazione pronuncia sentenza di annullamento senza rinvio se ritiene superfluo il rinvio e se, anche all’esito di valutazioni discrezionali, può decidere la causa alla stregua degli elementi di fatto già accertati o sulla base RAGIONE_SOCIALE statuizioni adottate dal giudice d merito non risultando necessarie ulteriori accertamenti, e ciò sia in relazione alle statuizioni penali, che a quelle civili (in questo senso, Sez. 5, n. 3539 del 17/12/2018, dep. 2019, Biscotti, Rv. 275414-01 e, in termini conformi, Sez. 3, n. 51643 del 13/09/2019, E., Rv. 278262-01).
Alla luce dei principi di diritto espressi dalle Sezioni Unite, la Corte d cassazione può infatti annullare senza rinvio il provvedimento impugNOME, assumendo le determinazioni conseguenti allorquando gli elementi necessari risultino definiti in maniera sufficiente (Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017, COGNOME, dep. 2018).
Ne consegue l’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio, limitatamente alla sospensione condizionale della pena, che va disposta.
La richiesta di riconoscimento della non menzione non può invece trovare accoglimento, in applicazione del principio già espresso in tema di cause di estinzione della pena da questa Corte ed al quale si aderisce, secondo cui il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale è diretto a favorire il ravvedimento del condanNOME, mediante l’eliminazione di conseguenze del reato suscettibili di compromettere o intralciare la sua possibilità
di lavoro ed è concedibile dal giudice esclusivamente sulla base dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. (cfr Sez. 3, n. 24362 del 22/02/2023, Magnasco, Rv. 28466901).
Nel caso di specie proprio quanto affermato dai giudicT di merito nella parte in cui, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., hanno escluso che potessero essere riconosciute all’imputato le circostanze attenuanti generiche, unitamente alla circostanza che l’imputato risulta essersi ravveduto, essere stato già assunto, come emerge dall’attestazione prodotta dalla difesa, e non necessita quindi della rimozione degli elementi che possano compromettere o intralciare la sua possibilità di lavoro, porta ad escludere la sussistenza dei presupposti per la concessione del beneficio della menzione, deduzione, in relazione alla quale, il motivo di ricorso va dichiarato inammissibile.
NOME COGNOME
3. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME con riferimento ai motivi, escluso il nono, è nel complesso manifestamente infondato e non manifestamente infondato; è invece fondato in relazione al nono motivo di ricorso, con conseguente annullamento senza rinvio per le ragioni di seguito esplicitate.
3.1 II primo motivo di ricorso va rigettato, non ravvisandosi alcuna omissione di motivazione nella decisione assunta dalla Corte territoriale di non riascoltare la conversazione n. 1287 del 18 settembre 2018, né alcuna contraddizione nel decidere implicitamente di non riascoltare e nel pervenire comunque alla conferma della condanna dell’imputata in relazione al delitto di cui al capo 3.
Al capo 3 della imputazione è contestata ad NOME COGNOME la cessione avvenuta il 18 settembre 2018, all’interno della propria abitazione, di due, tre dosi di sostanza stupefacente a NOME COGNOME, indicate con linguaggio concordato tra le parti con il termine “due o tre amici” e i giudici di merito hanno fondato la condanna sul contenuto RAGIONE_SOCIALE conversazioni telefoniche, tra cui la n 1287 del 18 settembre 2018 che con l’atto di appello il difensore dell’imputata aveva chiesto di riascoltare.
Nessuna censura può essere mossa ai giudici di merito che hanno ritenuto “debole” l’argomentazione della difesa secondo cui il significato del termine “ricette” utilizzato da NOME COGNOME sarebbe dubbio e che hanno, con motivazione congrua e logica, valorizzato la circostanza che la donna non aveva alcun titolo o motivo per rilasciare ricette a qualcuno e che la risposta data dal COGNOME (“due o tre…semo due tre amici”) era inconferente rispetto alla domanda rivoltagli, come tutto il prosieguo del discorso captato tra i due.
Con riferimento alla circostanza che la conversazione sia stata ascoltata in camera di consiglio nel giudizio di primo grado e non sia stata riascoltata dalla
Corte di appello, nonostante la richiesta in tal senso avanzata dalla difesa, nessun addebito può essere mosso ai giudici di merito che hanno fatto corretta applicazione dei principi espressi da questa Corte secondo cui sono sempre consentiti al giudice l’ascolto in camera di consiglio RAGIONE_SOCIALE registrazioni ritualmente acquisite e trascritte, contenute in supporti analogici o digitali e l’utilizzo ai della decisione dei risultati dell’ascolto medesimo, anche a seguito del rigetto della richiesta della difesa di audizione dei nastri in dibattimento, non essendo ravvisabile alcuna violazione del diritto al contradditorio (Sez. 2, n. 27089 del 17/03/2023, COGNOME, Rv. 284795-01; in termini conformi anche Sez. 3, n. 36350 del 23/03/2015, COGNOME, Rv. 265635-01). Se ciò vale per l’ascolto in camera di consiglio RAGIONE_SOCIALE conversazioni, allo stesso modo deve ritenersi che il giudice sia libero di valutare se riascoltare o no, su richiesta della difesa, nel contraddittori tra le parti, una conversazione, e ove non accolga la richiesta, nessuna censura può essergli mossa se omette di indicare sulle ragioni per cui non procede al riascolto o se ritenga comunque utilizzabile e significativo il contenuto di quella conversazione, come accaduto nel caso in esame, in cui la Corte di appello, rigettando implicitamente la richiesta, ha con valutazione immune da illogicità o da contraddittorietà motivato sulla rilevanza della intercettazione medesima.
Quanto alla censura in ordine al fatto che dall’ascolto della conversazione il Tribunale prima e la Corte di appello poi abbiano tratto certezza che un termine indicato come incomprensibile dal perito corrispondesse alla parola “ricetta”, va ribadito che il principio di libera valutazione della prova concerne anche la prova tecnica e, pertanto, il giudice, quale peritus peritorum, può esprimere il proprio giudizio in motivato contrario avviso rispetto a quello del perito (Sez. 2, n. 12991 del 19/02/2013, Stagno, Rv. P_IVA-01).
3.2 Inammissibili sono il secondo ed il terzo motivo di censura, con i quali la parte lamenta motivazione apodittica in ordina alla configurabilità del delitto di cessione di sostanza stupefacente a NOME COGNOME, contestato al capo 4) e del delitto di cessione di sostanza stupefacente a NOME COGNOME, contestato al capo 5.
In entrambi i casi la difesa, riportando il contenuto RAGIONE_SOCIALE conversazioni telefoniche, ribadisce la propria versione dei fatti, ricalcando gli stessi argomenti posti a sostegno dei motivi di appello.
Sul punto va ribadito che il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti in sede di impugnazione e motivatamente respinti da parte del giudice del gravame deve ritenersi inammissibile, sia per l’insindacabilità RAGIONE_SOCIALE valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità RAGIONE_SOCIALE doglianze che, solo apparentemente, denunciano un errore logico o giuridico determiNOME (in termini v. Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME e altri, Rv.
260608; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME e altro, Rv. 243838; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Giagnorio, Rv. 231708).
Quanto al delitto di cui al capo 4), la Corte, con motivazione logica e coerente, spiega il contenuto RAGIONE_SOCIALE conversazioni rilevanti in ordine agli episodi del 25 settembre 2018, del 2 ottobre 2018 e del 17 ottobre 2018 e su tale ricostruzione la difesa non si confronta adeguatamente, continuando a sostenere l’irrilevanza del contenuto RAGIONE_SOCIALE conversazioni.
Parimenti, in relazione al delitto di cui al capo 5), la difesa non si confront con quanto affermato dalla Corte in ordine al perfezionamento dell’accordo con l’COGNOME (pag 46) e sotto questo profilo il vizio denunciato è inammissibile in quanto si risolve nel riproporre la propria tesi, su cui la Corte di appello si ampiamente confrontata, e finisce con il chiedere, a questa Corte, una diversa ricostruzione del fatto, che non le è consentita.
3.3 II quarto motivo di ricorso, con il quale si lamenta la motivazione apodittica in ordine alla identificazione della tipologia della sostanza stupefacente che viene ritenuta rientrare nella fattispecie di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n 309 del 1990 e non nell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 4, del citato d.P.R., non è consentito in quanto non proposto in appello, come emerge dal riepilogo dei motivi contenuti nella sentenza di secondo grado, non contestato in questa sede, e dal contenuto stesso dell’appello proposto, con conseguente interruzione della catena devolutiva sul punto. In tal senso è bene ricordare che è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca una violazione di legge o un vizio della motivazione verificatisi asseritamente nel giudizio di primo grado, se non si procede alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di appello, contenuto nella sentenza impugnata, che non menzioni la medesima violazione o vizio come doglianza già proposta in sede di appello, in quanto, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione, e quindi tardivo (Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270627-01).
3.4 Parimenti inammissibile è il quinto motivo di doglianza, che non si confronta con la motivazione dei giudici di merito, continuando ad affermarsi che nel caso di specie sussiste l’ipotesi della lieve entità.
Tanto il Tribunale (pag 54) quanto la Corte di appello (pag 47) indicano gli elementi che portano ad escludere la fattispecie della lieve entità in ordine ai delitt di cui ai capi 3, 4, 5 e 7, e spiegano, con motivazione logica e adeguata, le ragioni di tale esclusione, valorizzando, alla luce del compendio probatorio esistente in ordine al capo 7 (ossia la cessione, ripetuta nel tempo, di droga del tipo cocaina a NOME COGNOME), la circostanza che l’imputata (in uno al marito NOME COGNOME) vendesse cocaina; che, nel caso di specie, l’attività era consolidata e ininterrotta,
svolgendosi tutti i giorni, a qualsiasi ora e che il contesto era professionalmente organizzato, con ingresso dell’abitazione della coppia sorvegliato da vedette.
La valorizzazione, con motivazione logica e coerente, di tali elementi ai fini della esclusione della lieve entità è in linea con i principi espressi da questa Corte secondo cui, in tema di stupefacenti, ai fini del riconoscimento del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la valutazione dell’offensività della condotta non può essere ancorata solo al quantitativo singolarmente spacciato o detenuto, ma alle concrete capacità di azione del soggetto ed alle sue relazioni con il mercato di riferimento, avuto riguardo all’entità della droga movimentata in un determiNOME lasso di tempo, al numero di assuntori riforniti, alla rete organizzativa e/o alle peculiari modalità adottate per porre in essere le condotte illecite al riparo da controlli e azioni repressive RAGIONE_SOCIALE forze dell’ordine. N consegue che non può ritenersi di lieve entità il fatto compiuto nel quadro della gestione di una “piazza di spaccio”, che è connotata da un’articolata organizzazione di supporto e difesa ed assicura uno stabile commercio di sostanza stupefacente (Sez. 6, n. 13982 del 20/02/2018, Lombino, Rv. 272529-01).
3.5 II sesto ed il settimo motivo sono inammissibili in quanto fondati su doglianze che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelle già dedotte in appello e puntualmente disattese dalla Corte di merito, dovendosi le stesse considerare non specifiche ma soltanto apparente, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME e altri, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME e altri, Rv. 243838-01).
La difesa, nel ribadire che la condanna per l’estorsione di cui al capo 8) si fonda esclusivamente su un passaggio contenuto nel verbale di ricezione di denuncia sporta il 6 settembre 2018 da NOME COGNOME, e che non sussiste la circostanza aggravante dell’uso del metodo mafioso, posto che il termine “famiglia” andava intesto non già come riferito al RAGIONE_SOCIALE, ma al nucleo familiare ristretto di NOME COGNOME, continua a riproporre i medesimi motivi contenuti nell’atto di appello, e dunque la propria versione dei fatti, senza confrontarsi costruttivamente con la motivazione, immune da censure, espressa sul punto dal Tribunale (a pag 31 e segg.) e dalla Corte di appello (nelle pagine 30, 31 e 32), laddove hanno illustrato le ragioni per cui il riferimento alla “famigli era da intendersi al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, e dunque alle famiglie COGNOMECOGNOME.
3.6 Manifestamente infondata è la doglianza, contenuta nell’ottavo motivo, con il quale si lamenta violazione del principio di proporzionalità della pena e mancanza di motivazione in ordine alla commisurazione degli aumenti di pena
inflitti per gli episodi del 18 settembre, 25 settembre, 2 ottobre, 10 ottobre 2018 rispetto a quello del 17 ottobre 2018, giacché la Corte di appello ha dato conto RAGIONE_SOCIALE connotazioni fattuali e personali della vicenda che sorreggono la scelta sanzioNOMEria. D’altronde l’obbligo di una motivazione rafforzata sussiste solo allorché la pena si discosti significativamente dal minimo edittale, mentre, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media, è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art 133 cod. pen. (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, COGNOME e altri, Rv. 256464; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256197; Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, COGNOME, Rv. 245596).
Nel caso di specie la Corte di appello, diversamente da quanto affermato dalla difesa, motiva sui criteri di determinazione della pena e fissa un aumento di pena per ognuno degli episodi posti in continuazione in termini omogenei, ritenendo implicitamente una pari gravità tra i tre episodi di spaccio contestati ai capi 3), 4). 5), e in ogni caso stabilendo una pena per ogni episodio quasi vicino al minimo edittale, senza per altro considerare che nel caso in esame, venendo in rilievo reati commessi da una persona alla quale è stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99, comma quarto, cod. pen. l’aumento avrebbe dovuto essere effettuato ai sensi dell’art. 81, comma quarto, cod. pen.
3.7 Fondato è il nono motivo di doglianza.
Va sul punto premesso che la Corte di appello ha ridotto in anni dodici, mesi sei di reclusione ed euro 55.000,00 di multa la pena complessivamente inflitta a NOME COGNOME, dichiarata colpevole in primo grado dei reati di cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina di cui ai capi 3) nei confronti di NOME COGNOME; 4), nei confronti di NOME COGNOME, con esclusione del fatto accaduto il 30 settembre 2018; 5), nei confronti di NOME COGNOME; 7), nei confronti di NOME COGNOME; nonché del reato di cui agli artt. 81 cpv. 629, 416.1-bis cod. pen., contestato al capo 8) e condannata in primo grado, applicata la recidiva, specifica, reiterata ed infraquinquennale, ritenuta la continuazione, alla pena di anni quattordici di reclusione ed euro 60.000,00 di multa.
Nel calcolare la pena la Corte di appello ha fissato la pena base per il più grave reato di cui al capo 7) – già individuato dal primo giudice – in anni sei di reclusione ed euro 27.000 di multa; aumentata di due terzi per la recidiva qualificata, così pervenendo ad anni dieci di reclusione ed euro 45.000,00 di multa; su tale pena è stato applicato «l’aumento complessivo di mesi nove di reclusione ed euro 3.000,00 di multa, da suddividersi in parti uguali per gli episodi di spaccio contestati ai capi 3), 4), 5), per un totale di anni 11, mesi 3 di reclusione ed euro 51.000 di multa, aumentata per la continuazione con il reato di estorsione
aggravata di un anno, mesi tre di reclusione ed euro 4000.00 di multa, per un totale di anni 12, mesi sei di reclusione ed euro 55.000 di multa».
E’ evidente l’erronea quantificazione della pena derivante da errore materiale in quanto l’aumento di nove mesi di reclusione ed euro 3.000,00 di multa sulla somma di anni dieci di reclusione ed euro 45.000,00 di multa è pari ad anni dieci, mesi nove di reclusione ed euro 48.000,00 di multa e non ad anni undici mesi tre di reclusione ed euro 51.000 come indicato dalla Corte di appello. Sommando quindi alla pena, corretta, di anni dieci, mesi nove di reclusione ed euro 48.000,00 di multa l’aumento per la continuazione con il reato di cui al capo 8), pari ad anni uno, mesi tre di reclusione ed euro 4.000,00 di multa, si perviene alla misura finale di anni dodici di reclusione ed euro 52.000,00 di multa.
Alla rideternninazione della pena nei termini appena indicati può procedere direttamente questa Corte ai sensi dell’art. 620, lett. I, cod. proc. pen. come modificato dall’art. 1, comma 67, legge 23 giugno 2017, n. 103, annullando senza rinvio il provvedimento impugNOME, in tal modo evitando la rinnessione al giudice di merito.
Ritiene questa Corte superfluo il rinvio al giudice di merito, potendo decidere sul punto alla stregua degli elementi di fatto già accertati e sulla base RAGIONE_SOCIALE statuizioni adottate dal giudice di merito non risultando necessari ulteriori accertamenti (in questo senso, Sez. 5, n. 3539 del 17/12/2018, dep. 2019, Biscotti, Rv. 275414-01 e, in termini conformi, Sez. 3, n. 51643 del 13/09/2019, E., Rv. 278262-01 e, più in AVV_NOTAIO, Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017, COGNOME, dep. 2018).
In accoglimento del nono motivo di gravame si impone, in punto di trattamento sanzioNOMErio, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME, limitatamente alla pena finale che va rideterminata in anni dodici di reclusione ed euro 52.000,00 di multa.
NOME COGNOME
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è a trat manifestamente infondato, a tratti non manifestamente infondato.
4.1 II primo composito motivo di ricorso, con il quale si deduce la nullità della sentenza per contrasto con gli artt. 47, 48 Carta Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, e 267 TTUE, nonchè violazione di legge ed assoluto difetto di motivazione in ordine alla mancata declaratoria di inutilizzabilità RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni di NOME COGNOME e vizio di violazione di legge e difetto di motivazione per il mancato rinvio pregiudiziale alla Corte Europea di Giustizia, va rigettato.
La parte lamenta che i giudici di merito hanno rigettato la richiesta di declaratoria di inutilizzabilità RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese da NOME COGNOME in qualità di testimone, ritenendo non fondata la tesi difensiva secondo cui dovevano trovare diretta applicazione le norme comunitarie risultanti dal combiNOME disposto degli artt. 47 e 48 della CDFUE, per come interpretato dalla sentenza della Corte di giustizia, Grande Sezione, del 2 febbraio 2021 D.B./Consob, che ha stabilito la titolarità del diritto al silenzio di soggetti parti di un procedimento amministrativ all’esito del quale avrebbero potuto essere passibili di sanzioni nominalmente amministrative ma nella sostanza punitive, qual è quella di cui all’art. 75 d.P.R. n. 309 del 1990, di cui era destinatario il COGNOME, al quale, quindi, doveva essere riconosciuto il diritto al silenzio (il diritto di non rispondere), anche disapplican la norma nazionale di cui agli artt. 63 e 64 cod. proc. pen., seppur dichiarata costituzionale dalla Consulta con sent. n. 148 del 2022.
I giudici di merito hanno dunque ritenuto che non vi fosse un contrasto tra la norma interna e quella comunitaria e non hanno né disapplicato quella interna, né operato il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea, non avendo il disposto di cui agli artt. 47 e 48 CDFUE diretta applicazione nei confronti dei destinatari RAGIONE_SOCIALE misure ex art. 75 d.P.R. n. 309 del 1990.
Il difensore del ricorrente censura le argomentazioni dei giudici di merito, riproponendo nuovamente in questa sede la propria tesi e chiedendo a questa Corte di dichiarare inutilizzabili le dichiarazioni di COGNOME o, in via subordinata, di rimettere la questione in via pregiudiziale alla Corte di giustizia europea.
Ritiene questa Corte che nessuna censura può essere mossa ai giudici di merito che, con motivazione corretta e immune da vizi, hanno disatteso la tesi difensiva ed hanno ritenuto pienamente utilizzabili le dichiarazioni rese, in qualità di testimone, da NOME COGNOME, non riconoscendogli, dunque, alcun diritto al silenzio.
Va premesso che NOME COGNOME è stato dichiarato responsabile del reato di cui agli artt. 56, 629, 416-bis cod. pen., di cui al capo 9), in danno di NOME COGNOME, assuntore a sua volta della sostanza stupefacente del tipo cocaina cedutagli, tra gli altri, da NOME COGNOME (fatto, questo, contestato al capo 7) e che la Corte di appello ha ridotto ad anni sei di reclusione ed euro 4.800,00 di multa la pena di anni otto di reclusione ed euro 4.800,00 di multa inflittagli in primo grado, previa applicazione della recidiva specifica e reiterata.
Le dichiarazioni di NOME COGNOME, che sono state raccolte in qualità di testimone, e la loro utilizzabilità vengono in rilievo in quanto è lui la persona offes del reato per il quale NOME COGNOME è stato condanNOME: da assuntore di cocaina egli è destinatario dell’illecito amministrativo di cui all’art. 75 d.P.R. n. 309 1990.
Con motivazione immune da vizi logici, la Corte di appello (pag 34), riprendendo le valutazioni del giudice di primo grado (pag 5), ha disatteso la tesi difensiva, richiamando, sul punto, la decisione della Corte cost., sent. n. 148 del 2022.
Il richiamo operato dai giudici di merito alla decisione della Corte cost., sent. n. 148 del 2022 è corretto in quanto i due casi, riuniti, rimessi al vaglio dell Consulta riguardavano proprio l’utilizzabilità RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese da un acquirente di sostanza stupefacente che, gravemente indiziato dell’illecito amministrativo di cui all’art. 75, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, era stato sentito dalla polizia giudiziaria senza ricevere gli avvisi che l’art. 64, comma 3, cod. proc. pen. prescrive siano rivolti alla persona sottoposta alle indagini e dunque senza quelle garanzie che, in base alla legislazione vigente, non sono applicabili all’audizione della persona cui sia stato contestato un illecito passibile di sanzione amministrativa di natura punitiva – quale, secondo il giudice rimettente, dovrebbe ritenersi quello previsto dall’art. 75, comma 1, t.u. stupefacenti – o nei confront della quale siano emersi indizi di commissione di un tale illecito, allorché questa sia sentita in relazione ad un fatto collegato ai sensi dell’art. 371, co. 2, lettera c.p.p.
Differente la posizione assunta, in entrambi i procedimenti, dalla RAGIONE_SOCIALE che, ritenendo la natura non punitiva RAGIONE_SOCIALE sanzioni previste dall’art. 75, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, evidenziava che nel caso in esame non potrebbe applicarsi il principio enunciato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza 2 febbraio 2021, in causa C-481/19, RAGIONE_SOCIALE. B. contro Consob, secondo cui il diritto al silenzio va riconosciuto anche nell’ambito di procedimenti amministrativi funzionali all’irrogazione di sanzioni di natura punitiva.
La Corte costituzionale, pertanto, quando si è pronunciata con la sentenza in esame aveva presente il principio enunciato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza 2 febbraio 2021, in causa C-481/19, RAGIONE_SOCIALE. B. contro Consob, e, ciò nonostante, si è dichiarata non persuasa dalle argomentazioni contenute nelle due ordinanze di rimessione, che «si imperniavano sull’affermazione secondo cui le sanzioni di cui all’art. 75, comma 1, t.u. stupefacenti, pur se formalmente qualificate come “amministrative”, avrebbero in realtà natura punitiva secondo i criteri RAGIONE_SOCIALE, e come tali attrarrebbero su di sé l’intera gamma RAGIONE_SOCIALE garanzie, sostanziali e processuali, previste dalla Costituzione e dalle carte europee ed internazionali dei diritti per la materia penale, tra cui segnatamente il “diritto silenzio”».
Nel sottolineare come l’elevata carica di afflittività di queste misure rispetto ai diritti fondamentali sui quali esse incidono non esclude, di per sé stessa, la loro
finalità preventiva, né depone univocamente nel senso di una loro natura “punitiva”, la Consulta perviene alle stesse conclusioni cui è giunta con la sent. n. 24 del 2019 per la misura della sorveglianza speciale, e riconosce alla misura di cui all’art. 75 d.P.R. n. 309 del 1990 una finalità spiccatamente preventiva.
Tale conclusione, afferma la Consulta, non si pone in contrasto con la sentenza n. 68 del 2021 e con la copiosa giurisprudenza della Corte EDU ivi richiamata, laddove è stata riconosciuta «connotazioni sostanzialmente punitive (sia pur non disgiunte da finalità di tutela degli interessi coinvolti dalla circolazione dei veico a motore, secondo uno schema tipico RAGIONE_SOCIALE misure sanzioNOMErie consistenti nell’interdizione di una determinata attività) alla revoca della patente disposta dal giudice penale con la sentenza di condanna o di patteggiamento della pena per i reati di omicidio stradale o lesioni personali stradali gravi o gravissime, di cui agli artt. 589-bis e 590-bis del codice penale», e ciò in quanto quella specifica misura, cosi come quelle analoghe oggetto RAGIONE_SOCIALE sentenze europee ivi citate «costituiscono sanzioni irrogate direttamente dal giudice penale nella stessa sentenza di condanna, ovvero dall’autorità amministrativa a seguito della condanna penale dell’interessato per un fatto costituente reato; mentre nell’ipotesi regolata dall’art. 75 tu. stupefacenti la misura è disposta dall’autorità amministrativa in conseguenza dell’accertamento di un fatto che l’ordinamento ha scelto di non qualificare come reato, e che quindi non dà luogo ad alcuna conseguenza di natura penale a carico dell’interessato».
Alla luce di queste considerazioni, conclude la Consulta, deve dunque escludersi che le sanzioni disciplinate all’art. 75 d.P.R. n. 309 del 1990 siano, nel loro complesso, connotate da natura e finalità punitiva, con conseguente insussistenza del presupposto essenziale su cui si erano fondati i dubbi dei giudici rimettenti, perché «non avendo natura e finalità punitiva non vi può essere alcuna violazione del diritto al silenzio della persona esposta alle sanzioni in parola..».
In base a quanto affermato dalla Consulta, in una decisione che tiene conto di quella (della Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 2 febbraio 2021, in causa C-481/19, D. B. contro Consob) richiamata a sostegno del primo motivo di ricorso, non può continuare ad affermarsi, come prospetta la difesa, che la sanzione di cui all’art. 75 d.P.R. n. 309 del 1990 abbia natura sostanzialmente punitiva, e che vadano quindi applicati al destinatario della stessa le garanzie riconosciute, nel procedimento penale, al destinatario della sanzione penale.
La Consulta ha infatti chiaramente escluso la natura e la finalità punitiva della sanzione prevista dall’art. 75 d.P.R. n. 309 del 1990 e ha valorizzato, a conforto di tale conclusione, una circostanza che differenzia questo specifico illecito da altre sanzioni di cui è stata riconosciuta dalla Consulta o dalla Corte EDU la natura sostanzialmente punitiva, ossia il fatto che tale «misura è disposta dall’autorità
amministrativa in conseguenza dell’accertamento di un fatto che l’ordinamento ha scelto di non qualificare come reato e che […] non […] ha alcuna conseguenza di natura penale a carico dell’interessato».
Deve allora ritenersi che proprio perché la sanzione di cui all’art. 75 d.P.R. n. 309 del 1990 non ha conseguenze di natura penale, e proprie perché essa non viene irrogata dal giudice penale, non possono essere riconosciute al destinatario della stessa quelle garanzie che l’ordinamento riconosce (solo) al destinatario della sanzione penale, prima fra tutte, il diritto al silenzio.
In questo senso si è già espressa questa Corte con Sez. 2, n. 47081 del 04/10/2022, dep. 2022, Campione, Rv. 284191-01 secondo cui sono utilizzabili le dichiarazioni rese nel corso RAGIONE_SOCIALE indagini preliminari, in qualità di persona informata dei fatti, dall’acquirente di modiche quantità di sostanza stupefacente, nei cui confronti non siano emersi elementi indizianti di un uso non personale, dal momento che – come affermato dalla sentenza della Corte cost. n. 148 del 2022 – le sanzioni previste dall’art. 75, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non hanno natura punitiva, ma preventiva, sicché non è applicabile il principio espresso, in tema di diritto al silenzio nell’ambito di procedimenti amministrativi funzionali all’irrogazione di sanzioni di natura punitiva, dalla Corte di giustizia co sentenza 2 febbraio 2021 (causa C-481/19 D.B. contro Consob).
Questo principio trova conforto anche nelle successive pronunce della Corte costituzionale che hanno esteso il diritto al silenzio.
Sotto questo profilo è infatti importante evidenziare che con altra significativa pronuncia la Corte costituzionale ha affermato che «Sin da tempi risalenti, questa Corte ha ritenuto che il diritto al silenzio «…definito dall’art. 14, paragra lettera g), del Patto internazionale sui diritti civili e politici (PIDCP) com garanzia, spettante a ogni individuo accusato di un reato, «a non essere costretto a deporre contro sé stesso o a confessarsi colpevole» – costituisca corollario implicito del diritto inviolabile di difesa, sancito dall’art. 24 Cost.» (Corte co sent. n. 111 del 2023).
In tale decisione, la Consulta ha espressamente riportato i principi espressi dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza 2 febbraio 2021, in causa C-481/19, D. B. contro Consob – che era stata adita a seguito della questione pregiudiziale formulata dalla stessa Corte con ordinanza n. 117 del 2019, relativa proprio al rilievo del diritto al silenzio nell’ambito di procedime amministrativi suscettibili di sfociare nell’irrogazione di sanzioni di caratte sostanzialmente punitivo – ed ha richiamato altra importante pronuncia, la n. 84 del 2021, con la quale è stata dichiarata costituzionalmente illegittima una disposizione sanzioNOMEria del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico RAGIONE_SOCIALE disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 2
della legge 6 febbraio 1996, n. 52), nella parte in cui si applicava anche a chi si fosse rifiutato di rispondere a domande della CONSOB dalle quali potesse emergere una sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo, o addirittura per un reato.
Si tratta di decisioni che hanno riguardato il diritto al silenzio della persona sottoposta alle indagini (sent. n. 111 del 2023), nell’ambito tuttavia del procedimento penale, e il diritto al silenzio della persona non sottoposta ad indagini, nell’ambito di un procedimento amministrativo da cui possa emergere una responsabilità in grado di avere conseguenze di natura penale e dunque per un reato.
In definitiva, nelle pronunce n. 84 del 2021, n. 148 del 2022, n. 111 del 2023 la Consulta, avendo ben presente i principi espressi dalla grande sezione della Corte di giustizia europea con la citata sentenza, laddove ha riconosciuto il diritto al silenzio lo ha fatto o in favore della persona (non indagata) che sia sottoposta a procedimento amministrativo e sia passibile di sanzioni di rilievo penali ovvero, se nell’ambito del procedimento penale, lo ha previsto in favore della persona indagata (o nei cui confronti possano emergere indizi di reità).
Più nello specifico, le conclusioni che si possono trarre dalle citate pronunce della Consulta non sono distoniche rispetto a quelle cui perviene la Grande Sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea, nella sentenza 2 febbraio 2021, in causa C-481/19, D. B. contro Consob, che ha ritenuto che gli articoli RAGIONE_SOCIALE Direttive e dei Regolamenti che discipliNOME l’abuso di informazioni previlegiate, la manipolazione del mercato e gli abusi di mercato, «letti alla luce degli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che essi consentono agli Stati membri di non sanzionare una persona fisica, la quale, nell’ambito di un’indagine svolta nei suoi confronti dall’autorità competente a titolo di detta direttiva o di detto regolamento, si rifiu di fornire a tale autorità risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale oppure la sua responsabilità penale».
Con tale decisione la Corte di giustizia dell’Unione europea ha premesso che: «(42) Quanto alla questione dei presupposti in presenza dei quali il suddetto diritto [al silenzio] deve essere rispettato anche nell’ambito di procedure di accertamento di illeciti amministrativi, occorre sottolineare che questo stesso diritto è destiNOME ad applicarsi nel contesto di procedure suscettibili di sfociare nell’inflizione d sanzioni amministrative presentanti carattere penale. Per valutare tale carattere penale rilevano tre criteri. Il primo è dato dalla qualificazione giuridica dell’illec nell’ordinamento interno, il secondo concerne la natura stessa dell’illecito e il terzo è relativo al grado di severità della sanzione che l’interessato rischia di subire
(sentenza del 20 marzo 2018, RAGIONE_SOCIALE, C-537/16, EU:C:2018:193, punto 28)»
Rapportando tali principi al caso in esame, la misura di cui all’art. 75 d.P.R. n. 309 del 1990 è qualificata, dal legislatore nazionale, come illecito amministrativo; la Consulta, investita proprio della questione relativa alla natura della misura di cui all’art. 75 d.P.R. n. 309 del 1990 ha escluso, con la sentenza n. 148 del 2022, che la stessa abbia natura penale; il grado di severità della sanzione che l’interessato rischia di subire non ha ricadute sul procedimento penale. Tutti questi elementi depongono, proprio in base ai criteri fissati dalla sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia europea, per la natura non penale della misura di cui all’art. 75 d.P.R. n. 309 del 1990.
Non solo.
Sempre riprendendo i principi espressi nella sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia europea citata: «(44) …anche supponendo che, nel caso di specie, le sanzioni in questione nel procedimento principale inflitte a DB dall’autorità di vigilanza non dovessero presentare carattere penale, la necessità di rispettare il diritto al silenzio nell’ambito di un procedimento di indagi condotto da detta autorità potrebbe risultare altresì dal fatto, evidenziato dal giudice del rinvio, che, in base alla normativa nazionale, gli elementi di prova ottenuti nell’ambito di tale procedura sono utilizzabili, nell’ambito di u procedimento penale intentato nei confronti di questa stessa persona, al fine di dimostrare la commissione di un illecito penale… (45)… tra le garanzie che discendono dall’articolo 47, secondo comma, e dall’articolo 48 della Carta, e al cui rispetto sono tenuti sia le istituzioni dell’Unione sia gli Stati membri allorc attuano il diritto dell’Unione, figura, segnatamente, il diritto al silenzio di persona fisica «imputata» ai sensi della seconda RAGIONE_SOCIALE disposizioni sopra citate…»
Applicando anche questi principi al caso in esame è evidente che il diritto al silenzio che il ricorrente vorrebbe venisse riconosciuto al destinatario della sanzione amministrativa di cui all’art. 75 d.P.R. n. 309 del 1990 non opererebbe nell’ambito di un procedimento amministrativo – come nel caso oggetto del rinvio pregiudiziale – che può sfociare in un procedimento penale o i cui elementi di prova sono utilizzabili nel procedimento penale – qual è il caso oggetto del rinvio pregiudiziale – ma dovrebbe essere applicato in un contesto assolutamente differente, ossia nell’ambito di un procedimento penale, ed avrebbe come destinatario una persona che non è indagata e neanche indiziata di alcun reato, alla quale verrebbe offerta una garanzia che va ben oltre le conseguenze che possono derivare dall’illecito amministrativo commesso, che è passibile solo di sanzione amministrative e che non può sfociare nella sua responsabilità penale.
In conclusione, non potendosi riconoscere natura, neanche sostanzialmente, penale, alla sanzione di cui all’art. 75 d.P.R. n. 309 del 1990, in linea con quanto autorevolmente affermato dalla Corte cost. nella sent. n. 148 del 2022, non può essere riconosciuto, nell’ambito del procedimento penale, alcun diritto al silenzio al destinatario della misura. Ne consegue che le norme di cui agli artt. 47, 48 Carta Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, e 267 TTUE non possono trovare diretta applicazione nel caso in esame, in cui il diritto al silenzio andrebbe ad operare nel procedimento penale, e non già nel procedimento amministrativo, nonché nei confronti del destinatario di una sanzione che non ha conseguenze penali e ciò esclude che vada disapplicata la disposizione di cui all’art. 64 cod. proc. pen. (la disposizione di cui all’art. 63 cod. proc. pen. è inconferente perché riguarda le dichiarazioni indizianti in AVV_NOTAIO e non, nello specifico, l’inutilizzabilità ai se dell’art. 64, comma 3-bis, cod. proc. pen. RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese contra alios laddove non siano stati formulati gli avvertimenti di cui al precedente comma 3).
Tali considerazioni, inoltre, escludono che la questione, in quanto manifestamente infondata, possa essere oggetto di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea. Premesso che, per le ragioni sopraesposte, non trovano diretta applicazione al caso in esame le norme di cui agli artt. 47, 48 Carta Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, e 267 TTUE, va ribadito che il caso è comunque discipliNOME dalle norme interne e che l’inapplicabilità all’acquirente di sostanze stupefacente del disposto normativo di cui all’art. 64, comma 3-bis cod. proc. pen. non si pone in contrasto né con le norme costituzionali, né con le norme dell’unione europea.
Alla luce RAGIONE_SOCIALE suesposte considerazioni, il primo motivo di ricorso va rigettato.
4.2 Inammissibile è il secondo motivo di ricorso, con il quale la parte lamenta nullità della sentenza quanto alla conferma del giudizio di responsabilità dell’imputato per il reato di cui al capo 9) e difetto assoluto di motivazione anche in ordine alla mancata rinnovazione del dibattimento per lo svolgimento di una perizia fonica.
A fronte della dichiarazione testimoniale rese dal COGNOME, ritenuta decisiva sia dal Tribunale che dalla Corte di appello, che valorizzano anche il riconoscimento vocale operato dal teste di polizia giudiziaria COGNOME, al quale, in sede di denuncia viene consegNOME dal COGNOME il file audio contenente la registrazione del messaggio miNOMErio registrato sulla sua segreteria ed ascoltato poi in aula dal Tribunale, la difesa continua a sminuire la attendibilità del riconoscimento operato dal COGNOME e a rimarcare l’assenza di motivazione da parte della Corte di appello, laddove non si esprime sulla richieste di perizia fonica sul messaggio, da un lato, e sul riascolto in aula della conversazione del 13 settembre 2018 tra NOME COGNOME e il COGNOME, che il Tribunale ha operato in camera di consiglio.
Con argomentazione del tutto immune da censure la Corte di appello (pag. 37) nel richiamare la ricostruzione della vicenda operata dal Tribunale – che ha sintetizzato tutta la testimonianza di NOME COGNOME (da pag 6) per poi analizzare la vicenda estorsiva ascritta ad NOME COGNOME (a pag 15) – supera in termini logici e coerenti i rilievi difensivi valorizzando ciò che la difesa apoditticament smentisce, ossia l’attendibilità della dichiarazione di NOME COGNOME anche nella parte in cui dichiara di riconoscere nel messaggio fortemente intimidatorio registrato sulla sua segreteria telefonica la voce di NOME COGNOME, detto “NOME“, e ciò in ragione della pregressa conoscenza tra i due, non limitata a qualche saltuario contatto, ma connotata da continui incontri con l’imputato, che era solito sostare dinanzi alla casa della cognata NOME COGNOME, una abitazione che il COGNOME frequentava abitualmente, in quanto assuntore della cocaina vendutagli dalla donna.
Quanto poi alla richiesta di perizia fonica comparativa tra la voce registrata nel messaggio e quella dell’imputato, il Tribunale, con motivazione immune da vizi logici, ha ritenuto superfluo l’accertamento alla luce RAGIONE_SOCIALE risultanze acquisite, prima fra tutte l’attendibile testimonianza della persona offesa (che sin dal primo ascolto della nota vocale aveva individuato immediatamente l’autore del messaggio in “NOME“), in uno alle dichiarazioni del teste COGNOME e al contenuto della conversazione del 13 settembre 2018 e tale conclusione è stata fatta propria dalla Corte di appello, che, dopo aver richiamato gli elementi di prova a carico, non ha dato seguito alla richiesta, con una valutazione in fatto, che non è censurabile in questa sede in quanto sorretta da logiche e congrue argomentazioni.
Infine, in relazione alla richiesta di ascolto nel contraddittorio tra le parti del conversazione del 13 settembre 2018, in cui COGNOME, parlando con NOME, le dice di essersi spaventato per il messaggio di “NOME“, valgono le considerazioni già espresse in relazione al ricorso di NOME COGNOME. Posto che non è precluso al giudice l’ascolto in camera di consiglio, anziché nel pubblico dibattimento, RAGIONE_SOCIALE bobine magnetiche sulle quali sono incise le conversazioni intercettate, così come l’utilizzo, ai fini della decisione, dei risultati dell’as stesso, anche se ciò avvenga a seguito di rigetto dell’istanza della difesa concernente l’audizione dei nastri in dibattimento (Sez. 6, n. 25806 del 20/02/2014, Caia, Rv 259674-01), allo stesso modo deve ritenersi che non sussista per la parte in un diritto ad ascoltare le conversazioni in dibattimento.
4.3. Quanto al terzo, quarto, quinto, e settimo motivo di ricorso, esaminabili congiuntamente e tutti chiaramente versati in fatto, occorre considerare come questi si manifestino come generici ed aspecifici nella loro formulazione (nell’ambito della quale si contestano congiuntamente – in modo non consentito vizio della motivazione, articolato indistintamente in ogni sua forma, e violazione
di legge Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521-01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710-01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Rv. 255568-01; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849-01; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, COGNOME, Rv. 236945-01) e si debbano ritenere non consentiti, perché del tutto reiterativi dei motivi di appello e caratterizzati da evidente volontà di proporre una lettura alternativa del merito (Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01), non consentita in questa sede a fronte di una decisione che motiva su ognuno di essi (e specificatamente a pag 38 sul terzo motivo; a pag. 40 sul quarto motivo; a pag. 42 sul quinto motivo; a pag. 43 sul settimo motivo) si presenta del tutto esente da censure, immune da illogicità, con la quale il ricorrente non si confronta effettivamente (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970-01).
4.4. Inammissibile per le medesime ragioni in ultimo indicate, ossia per genericità, aspecificità e perché reiterativo, è anche il sesto motivo di ricorso, con riferimento al quale va aggiunto, rispetto a quanto affermato dalla Corte di appello laddove evidenzia (pag. 34 e 42) che ricorrendo l’aggravante di cui all’art. 416bis. 1 cod. pen. non può trovare applicazione l’attenuante della lieve entità del fatto introdotta, in relazione al delitto di estorsione, con la sentenza della Corte cost. n 120 del 2023, che la predetta sentenza indica una serie di indici ulteriori, per la configurabilità della attenuante, che nel caso di specie non ricorrono.
4.5. Inammissibile è anche l’ottavo ed ultimo motivo di ricorso in cui la parte lamenta difetto assoluto di motivazione in relazione alla determinazione della pena, con una censura inconferente in quanto la Corte di appello, in accoglimento del motivo relativo all’eccessiva severità della pena base irrogata, ha ritenuto di moderarla applicando una riduzione maggiore ex art. 56 cod. pen., in considerazione RAGIONE_SOCIALE precarie condizioni personali dell’imputato, così riducendo, anche considerevolmente, la pena irrogata.
NOME COGNOME
Inammissibile è il ricorso proposto da NOME COGNOME, i cui motivi ricalcano sostanzialmente quelli della moglie NOME COGNOME.
5.1. Il primo, il secondo ed il quarto motivo di censura ricalcano rispettivamente il secondo, il terzo ed il quinto motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME e vanno in questa sede espresse le considerazioni già sviluppate, in ragione RAGIONE_SOCIALE quali, trattandosi di doglianze tutte versate in fatto, è ritenuto che le stesse siano inammissibili.
Con riferimento, specifico, alla partecipazione dell’imputato – che contesta di essere stato presente – ad entrambi gli episodi, la difesa reitera le stesse doglianze
fatte valere con l’appello, senza confrontarsi efficacemente con le valutazioni operate a pag 43 e segg. dalla Corte territoriale, che, in relazione al capo 4) valorizza la conversazione – intercorsa direttamente tra il COGNOME e NOME COGNOME – del 30 settembre 2018, rispetto alla quale il difensore continua a riproporre la propria ricostruzione (ossia che il linguaggio utilizzato non può interpretarsi come indicativo di una cessione di droga da parte di marito e moglie).
Parimenti, in relazione al delitto di cui al capo 5), la difesa, così come nel ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME, non si confronta con quanto affermato dalla Corte in ordine al perfezionamento dell’accordo con l’COGNOME (pag 46) e ripropone la propria tesi, su cui la Corte di appello si è ampiamente confrontata, con conseguente inammissibilità anche di questo motivo.
Allo stesso modo, con riferimento al quarto motivo di ricorso, i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione dei principi espressi da questa Corte ai fini del riconoscimento della lieve entità, che nel caso di specie non sussiste (cfr Sez. 6, n. 13982 del 20/02/2018, Lombino, Rv. 272529-01).
5.2 Per il terzo motivo di ricorso valgono, infine, le considerazioni espresse in relazione al quarto motivo del ricorso di NOME COGNOME: si tratta di un motivo inedito, come tale inammissibile in quanto manca il relativo motivo di appello, né vi è traccia della richiesta nel verbale dell’udienza conclusiva dinanzi alla Corte di merito.
NOME COGNOME
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile per le ragioni di seguito esplicitate.
6.1 In relazione al primo motivo va segnalato che, alla Corte di cassazione, sono precluse sia la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, che l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati da giudice del merito (ex multis, Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 11/02/2021, Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482).
La difesa continua a sottolineare che NOME COGNOME era rimasto detenuto fino al 12 aprile 2014 e che non avrebbe mai avuto nè cercato contatti con il debitore NOME, il quale ha avuto rapporti con NOME COGNOME inizialmente e con NOME COGNOME successivamente, senza tuttavia confrontarsi con quanto affermato dalla Corte di appello che, nell’assolvere il ricorrente dal reato di usura ascrittogli al capo 1) perché il fatto non sussiste, con riferimento alle condotte successive all’anno 2015, motiva lungamente sul suo diretto coinvolgimento nei fatti antecedenti a quella data. Con motivazione logica ed adeguata la Corte di appello
richiama le considerazioni del Tribunale che, a riprova del pieno coinvolgimento dell’imputato nell’intera vicenda, valorizza il contenuto della conversazione del 25 agosto 2018 n. 6854 tra NOME e NOME COGNOME, nella quale il primo, quando ormai il debito era stato saldato, racconta al secondo dell’incontro con il “Piccolo” (così è soprannomiNOME il ricorrente) per poi parlare del prestito e degli accordi a suo tempo intercorsi, che secondo il ricorrente erano differenti rispetto a quelli riportategli da NOME, ossia che egli si era a suo tempo rivolto ad NOME COGNOME (fratello di NOME COGNOME), che a sua volta avrebbe chiesto l’intervento del fratello perché sprovvisto in quel momento di liquidità.
Nessuna censura può dunque essere mossa ai giudici di merito che dal contenuto complessivo RAGIONE_SOCIALE conversazioni hanno tratto certezza del fatto che il ricorrente fosse il destinatario della somma restituita da NOME, a riprova che la provvista iniziale era stata data da lui, che era anche a conoscenza dei termini dell’accordo per la restituzione, che aveva concluso personalmente. Rispetto a questa ricostruzione e alla affermata, e motivata, irrilevanza dello stato di detenzione e della chiamata in correità dell’NOME (pag. 53 della sentenza della Corte di appello), la difesa continua a prospettare la propria versione dei fatti, senza confrontarsi adeguatamente con le argomentazioni dei giudici di merito, rendendo così inammissibile il motivo di ricorso.
6.2 Inammissibile è anche il secondo motivo con il quale la difesa lamenta nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione in ordine alla determinazione della pena.
La Corte di appello ha assolto NOME COGNOME dal reato di usura ascrittogli al capo 1) perché il fatto non sussiste, con riferimento alle condotte successive all’anno 2015, rideterminando la pena in relazione alle residue condotte antecedenti all’anno 2015, previa concessione RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche, in anni due di reclusione ed euro 6.000,00 di multa, così riformando la sentenza di primo grado che lo aveva condanNOME, previa esclusione della recidiva specifica contestatagli, alla pena di anni tre, mesi sei di reclusione ed euro 10.000,00 di multa.
Diversamente da quanto affermato, la Corte di appello a pag 54 non solo concede le circostanze attenuanti generiche, precisando che la richiesta poteva essere accolta alla luce del comportamento successivo dell’imputato che ha consentito ad una rinegoziazione del debito in termini non usurari, ma motiva adeguatamente anche in ordine alla pena, che riduce, precisando, con motivazione immune da vizi, che la riduzione della pena base non poteva attestarsi sul minimo edittale, dovendo essere equamente determinata in considerazione dell’elevatissimo tasso usurario dell’accordo iniziale.
In conclusione, la sentenza va annullata senza rinvio nei confronti di COGNOME NOME limitatamente al trattamento sanzioNOMErio, che va ridetermiNOME nei termini sopra indicati, e nei confronti di NOME COGNOME limitatamente alla omessa statuizione sulla sospensione condizionale della pena che va concessa. Il ricorso va rigettato nel resto nei confronti di NOME COGNOME e va dichiarato inammissibile nel resto nei confronti di NOME COGNOME.
Il ricorso va rigettato nei confronti di NOME COGNOME, che va condanNOME al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi di NOME COGNOME ed NOME COGNOME consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere RAGIONE_SOCIALE spese del procedimento e, tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, considerato altresì che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che i ricorrenti versino la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Il collegio intende in tal modo esercitare la facoltà, introdotta dall’art. 1 comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista all’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni della inammissibilità stessa come sopraindicate.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alla pena finale che ridetermina in anni dodici di reclusione ed euro cinquantaduemila di multa. Rigetta il ricorso nel resto.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alla omessa statuizione sulla sospensione condizionale della pena che dispone. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Rigetta il ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e di COGNOME NOME e condanna i ricorrenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
Così deciso il 16/12/2024.