Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 28022 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 28022 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SAVA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 18/07/2023 del GIP TRIBUNALE di LECCE
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto la udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe, reso il 18 luglio 2023, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Lecce ha rigettato l’istanza formulata da NOME COGNOME, imputato dei reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, in atto detenuto, per il corrispondente titolo cautelare, nel carcere di Taranto, a svolgere colloqui con la moglie NOME COGNOME, già autorizzata a svolgere colloqui con il marito, in quanto COGNOME e COGNOME erano imputati dello stesso reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Avverso questo provvedimento hanno proposto ricorso i difensori di COGNOME chiedendone l’annullamento sulla scorta di un unico motivo con cui viene dedotta la violazione di legge.
Sulla premessa che siffatti provvedimenti, potendo risolversi in un inasprimento del grado di afflittività delle misure cautelari, sono ricorribili p cassazione, la difesa osserva che la compressione del diritto del detenuto allo svolgimento dei colloqui avrebbe potuto giustificarsi soltanto per specifiche e motivate esigenze di sicurezza pubblica o inframuraria e, per i detenuti in attesa di giudizio, per le corrispondenti esigenze di ordine processuale: epperò, su tale ultimo versante si sostiene che la motivazione sia assolutamente mancante, ragione per la quale non è dato comprendere la ragione che abbia consentito la compressione del corrispondente diritto soggettivo, peraltro riconosciuto, in corrispondenza, a NOME COGNOME – gravata da seri problemi di salute – dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce.
Ad avviso del ricorrente, quindi, non sono state evidenziate le esigenze specifiche e motivate di sicurezza pubblica o infrarnuraria o anche di ordine processuale idonee a legittimare l’inibizione degli ordinari colloqui al soggetto ristretto in carcere in forza di un titolo cautelare, anche perché era stata evidenziata la circostanza dell’ormai avvenuta fissazione dell’udienza preliminare per la data del 31.10.2023: limitare la giustificazione del rigett dell’autorizzazione ai colloqui al mero rilievo della presenza dell’imputazione di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 a carico di entrambi gli imputati ha significato non garantire quel minimum idoneo a sorreggere la compressione del diritto di NOME, tanto più che NOME COGNOME era stata autorizzata ai colloqui telefonici con il marito senza che, nel provvedimento impugnato, sia stata spiegata l’esigenza processuale sopravvenuta tale da impedire a NOME di avere i contatti telefonici con la moglie.
Attesa la descritta situazione, a causa della motivazione, per la difesa, meramente apparente, l’atto di diniego impugnato ha finito per sopprimere il
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diritto del detenuto al colloquio con i familiari, determinando una situazione di contrasto con il senso di umanità che deve presiedere alla restrizione detentiva per il perseguimento della finalità educativa prescritta dall’art. 27 Cost.
Il Procuratore generale ha prospettato la declaratoria di inammissibilità del ricorso, manifestamente infondato, in quanto il diniego è succintamente ma sufficientemente motivato, in quanto contiene il riferimento al fondamentale dato ostativo alla concessione del permesso di colloqui, determinato dal fatto che i due soggetti sono imputati entrambi nel medesimo procedimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’impugnazione si profila, nella sua sostanza, fondata e va accolta nei sensi che seguono.
È opportuno premettere che, in virtù di indirizzo consolidato, i provvedimenti che decidono sulle istanze di colloquio dei detenuti, ex art. 18 della legge 26 luglio 1975 n. 354 (Ord. pen.), potendo risolversi in un inasprimento del grado di afflittività delle misure cautelari, sono suscettibili d ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111, settimo comma, Cost.
Questo condiviso orientamento ha tenuto conto dei principi espressi dalla giurisprudenza costituzionale e dalle Sezioni Unite in tema di colloqui visivi e telefonici dei detenuti e internati, essendosi considerato che, con i necessari adattamenti, essi valgono anche quando la detenzione trovi titolo in una misura cautelare. Posto, infatti, il discrimen fra provvedimenti assunti nei riguardi di soggetti detenuti che hanno natura giurisdizionale, se essi incidono sui loro diritti, e quelli che hanno natura amministrativa, se essi non incidono su diritti, ma sono volti essenzialmente a regolare l’ambito amministrativo, in funzione della più adeguata regolamentazione dell’apparato organizzativo, deve ribadirsi che, allorquando il provvedimento sia volto, a seguito dell’interlocuzione promossa dal detenuto, a disciplinare l’esercizio di diritti a lui riconosciuti ambito penitenziario, esso, possedendo natura giurisdizionale, determina in capo al destinatario anche il diritto alla corrispondente tutela.
Pertanto, COGNOME nel COGNOME solco COGNOME segnato COGNOME dagli COGNOME arresti COGNOME regolatori COGNOME susseguitisi sull’argomento (in particolare, quello di Sez. U, n. 24 del 03/12/1996, dep. 1997, Lombardi, Rv. 206465 – 01, secondo cui i provvedimenti emessi ai sensi dell’art. 284, comma 3, cod. proc. pen., che regolano le modalità di attuazione degli arresti donniciliari relativamente alla facoltà dell’indagato di allontanarsi da luogo di custodia, contribuiscono a inasprire o ad attenuare il grado di afflittivit
della misura cautelare, per cui devono essere ricompresi nella categoria dei provvedimenti sulla libertà personale, impugnabili di conseguenza, e ancor più quello di Sez. U, n. 25079 del 26/02/2003, NOME, Rv. 224603 – 01, secondo cui i provvedimenti dell’Amministrazione penitenziaria in materia di colloqui visivi e telefonici dei detenuti e degli internati, in quanto incidenti su diritti soggett sono sindacabili in sede giurisdizionale mediante reclamo al magistrato di sorveglianza che decide con ordinanza ricorribile per cassazione secondo la procedura indicata nell’art. 14-ter Ord. pen.), si è argomentato nel senso che per un inderogabile principio di civiltà a colui che subisce una restrizione carceraria sia cautelare, sia a titolo espiativo – debba essere comunque riconosciuta la titolarità dei diritti della personalità attinti dalla sua condizione, che cert reclusione non può conculcare: e, fra tali diritti, si annovera quello al mantenimento delle relazioni familiari e sociali, comprimibile o limitabile soltanto se sussistano specifiche e motivate esigenze di sicurezza pubblica o intramuraria o, per i detenuti a titolo cautelare, esigenze di carattere processuale.
Da tale analisi è scaturita la conclusione che l’osservanza effettiva delle garanzie al riguardo stabilite dalla riserva di legge e di giurisdizione di cui all’a 13, secondo comma, Cost. esige il riconoscimento del diritto del detenuto attinto da provvedimenti limitativi in questa materia alla tutela giurisdizionale che, se non è apprestata in modo più organico dall’ordinamento, rinviene lo statuto minimo nel ricorso per violazione di legge previsto dall’art. 111, settimo comma, Cost., idoneo ad assicurare il sindacato e, se del caso, la caducazione di quei provvedimenti che, non esprimendosi mediante atto motivato e non essendo in altro modo censurabili, risultino connotati da una portata del tutto elusiva rispetto alle suddette garanzie (si richiamano, in questa direzione, Sez. 1, n. 26835 del 04/05/2011, COGNOME, Rv. 250801 – 01, nonché, fra le successive, Sez. 6, n. 3729 del 24/11/2015, dep. 2016, Avola, Rv. 265927 – 01; Sez. 2, n. 23760 del 06/05/2015, COGNOME, Rv. 264388 – 0:1; Sez. 5, n. 8798 del 04/07/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258823 – 01).
Precisato quanto precede, si rileva che, come ha lamentato il ricorrente, nel caso in esame la motivazione è stata resa in modo così esile da non potersi ritenere effettivamente sussistente.
3.1. L’unico cenno al fatto che il richiedente il colloquio e l’interlocutri designata, ossia la moglie NOME COGNOME, sono coimputati nel processo pervenuto alla fase dell’udienza preliminare non si profila avere integrato un riferimento volto in modo percepibile all’enucleazione delle esigenze processuali eventualmente sottese: trarre dalla suddetta affermazione l’individuazione delle esigenze processuali risulta operazione logica oggettivamente non ancorabile a
un sufficiente, sia pure essenziale, quadro di elementi certi, tanto più che la situazione specifica è risultata connotata dal dato di fatto per cui NOME COGNOME, anch’ella imputata detenuta, era già stata autorizzata ai colloqui, in modalità telefonica, con il marito NOME COGNOME; sicché il disallinearnento determinato dal provvedimento totalmente negativo esitato dall’Autorità . giudiziaria procedente nei confronti di quest’ultimo avrebbe dovuto essere dotato di una giustificazione – anche molto stringata, ma – ma effettiva in merito all’oggetto e alla ragione del diniego.
Il solo, suddetto richiamo espresso nel provvedimento non integra, pertanto, una reale motivazione.
3.2. Al riguardo, deve, secondo la dogmatica consolidata (su cui v. Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246 – 01) applicata al caso di specie, ritenersi che, quando l’impugnazione è ammessa soltanto per violazione di legge, in questa nozione vada ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, la quale, al di là della radicale carenza grafica, è integrata anche allorquando il provvedimento omette del tutto di confrontarsi con un elemento decisivo, nel senso che esso, in sé considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio.
Nel caso in esame, l’omissione determinante è consistita nella mera, soltanto mediata, evocazione delle esigenze processuali, senza l’offerta di alcun elemento identificativo o specificativo delle medesime, così da far considerare sostanzialmente tautologico quell’accenno.
3.3. Beninteso, resta fermo che la disciplina degli artt. 18 Ord. pen. e 37 d.P.R. 30 giugno 2000, n. 203 (Reg. pen.), conferisce all’autorità giudiziaria procedente un ampio potere di interdizione quando venga richiesta di autorizzare colloqui con imputati detenuti.
Ciò, tuttavia, non elide l’obbligo in capo all’autorità stessa di fornire unapur essenziale e, se del caso, tale da non estrinsecare elementi processualmente riservati, ma – effettiva motivazione in merito alle esigenze dm sicurezza esterna o interna al sistema detentivo o alle esigenze di carattere processuale poste alla base del diniego.
La rilevata inesistenza di una reale motivazione ha, pertanto, viziato decisivamente l’atto portato al presente vaglio.
In considerazione dell’emerso vizio, il provvedimento impugnato va, in definitiva, annullato con rinvio al Tribunale di Lecce, ufficio del Giudice per le indagini preliminari, per il nuovo giudizio, da svolgersi con il dispiegamento di intatta libertà valutativa, ma da esitarsi con atto dotato di motivazione effettiva.
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P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Gip del Tribunale di Lecce.
Così deciso il 10 aprile 2024
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Il Presidente