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Diritti del detenuto: limiti all’acquisto di alimenti

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25957/2024, ha stabilito che il divieto imposto a un detenuto di acquistare farina e lievito non lede i suoi diritti fondamentali, qualora l’amministrazione penitenziaria garantisca già un’alimentazione sana ed equilibrata. La Corte ha chiarito la distinzione tra un diritto soggettivo (come quello alla salute) e le mere modalità del suo esercizio, che rientrano nella discrezionalità organizzativa dell’istituto per ragioni di ordine e sicurezza. Di conseguenza, la scelta di specifici ingredienti per cucinare in proprio non rientra tra i diritti del detenuto tutelabili con reclamo giurisdizionale.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diritti del detenuto: la Cassazione sui limiti all’acquisto di alimenti

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 25957 del 2024 offre un’importante chiave di lettura per comprendere il confine tra i diritti del detenuto e il potere discrezionale dell’amministrazione penitenziaria. La decisione affronta un caso apparentemente semplice – il divieto di acquistare farina e lievito – ma le cui implicazioni definiscono i limiti della tutela giurisdizionale all’interno delle mura carcerarie.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine dal reclamo di un detenuto presso l’istituto penitenziario di Sassari, al quale era stato negato il permesso di acquistare farina e lievito. Il magistrato di sorveglianza, in prima istanza, aveva accolto la richiesta del detenuto, ordinando all’istituto di consentire l’acquisto. Secondo il magistrato, il divieto ledeva il diritto a un’alimentazione sana.

L’Amministrazione Penitenziaria (DAP) aveva giustificato il divieto, esteso a tutti i detenuti, sulla base di ragioni di sicurezza: la farina, dispersa nell’aria, può creare una nube esplosiva. Nonostante ciò, il Tribunale di Sorveglianza aveva confermato la decisione del magistrato, ritenendo il divieto irragionevole, anche alla luce di una perizia del Nucleo Artificieri che escludeva un reale rischio esplosivo nelle condizioni date.

Contro questa ordinanza, l’Avvocatura dello Stato, per conto del DAP e del Ministero della Giustizia, ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo principalmente che la questione non riguardasse un diritto soggettivo del detenuto, ma una mera scelta organizzativa e regolamentare dell’istituto penitenziario.

La Decisione della Corte di Cassazione e i diritti del detenuto

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’amministrazione, annullando senza rinvio l’ordinanza impugnata. Il punto centrale della decisione è la corretta qualificazione della pretesa del detenuto. Secondo i giudici, il reclamo giurisdizionale, previsto dall’art. 35-bis dell’Ordinamento Penitenziario, è uno strumento di tutela attivabile solo quando viene leso un vero e proprio “diritto soggettivo” da un’azione dell’amministrazione.

Le Motivazioni

La Corte ha operato una distinzione fondamentale tra il diritto in sé e le modalità del suo esercizio. Il diritto alla salute e a una sana alimentazione è indiscutibilmente un diritto soggettivo del detenuto. Tuttavia, nel caso di specie, non era in discussione la qualità o la completezza del vitto fornito dall’istituto, che rispetta le tabelle nutrizionali ministeriali.

La richiesta di acquistare farina e lievito non era motivata da esigenze di salute specifiche (come intolleranze o patologie), ma dal desiderio di cucinare in proprio. Questa, secondo la Corte, non è un’espressione del diritto alla salute, ma attiene alle mere preferenze personali e alle modalità di consumo del cibo. Tali aspetti rientrano pienamente nella sfera di discrezionalità dell’amministrazione penitenziaria, che ha il compito di bilanciare le esigenze dei singoli con quelle, superiori, di ordine e sicurezza interna.

In altre parole, la scelta di vietare l’acquisto di determinati beni, se motivata da ragioni di sicurezza non manifestamente irragionevoli (come la potenziale pericolosità della farina o il suo uso per creare colle), è un atto gestionale legittimo. Non costituisce la negazione di un diritto, ma una sua regolamentazione. Pertanto, la questione non poteva essere oggetto di un reclamo giurisdizionale, ma al massimo di un reclamo generico al direttore dell’istituto.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce un principio chiaro: non ogni limitazione imposta dalla vita carceraria costituisce una violazione dei diritti del detenuto meritevole di tutela giurisdizionale. È necessario che la condotta dell’amministrazione incida direttamente su un diritto soggettivo fondamentale, come la salute, la dignità o la libertà religiosa. Le scelte che riguardano l’organizzazione interna e la sicurezza, se proporzionate e ragionevoli, restano affidate alla discrezionalità amministrativa. Questa decisione ribadisce che il giudice di sorveglianza non può sostituirsi all’amministrazione nelle scelte gestionali, ma deve limitarsi a intervenire solo in caso di effettiva e grave lesione dei diritti fondamentali della persona detenuta.

Un detenuto può sempre scegliere quali alimenti acquistare?
No. Secondo la sentenza, la possibilità di acquistare specifici alimenti non è un diritto assoluto. Se l’amministrazione penitenziaria fornisce già un vitto completo e nutrizionalmente adeguato, può legittimamente limitare l’acquisto di certi prodotti per ragioni di sicurezza e ordine interno, e questa decisione rientra nella sua discrezionalità organizzativa.

Quando un detenuto può presentare un reclamo al giudice riguardo al cibo?
Un detenuto può presentare un reclamo giurisdizionale (ai sensi dell’art. 35-bis Ord.pen.) quando il divieto di acquistare un alimento causa un pregiudizio grave e attuale a un suo diritto soggettivo, come il diritto alla salute. Ad esempio, se gli venisse negato l’acquisto di cibi necessari per una dieta speciale prescritta per motivi medici (es. celiachia, diabete).

Perché la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il divieto di acquistare farina e lievito?
La Corte lo ha ritenuto legittimo perché la richiesta del detenuto non era legata a un’esigenza di salute, ma a una preferenza personale (cucinare in proprio). Poiché il vitto fornito era già adeguato, la limitazione non ledeva il diritto alla sana alimentazione. La decisione di vietare tali prodotti rientrava quindi nel potere discrezionale dell’amministrazione per garantire la sicurezza, senza comprimere un diritto fondamentale del detenuto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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