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Diritti del detenuto: farina e lievito in cella?

La Corte di Cassazione ha stabilito che il divieto per un detenuto di acquistare farina e lievito non lede i suoi diritti fondamentali. La richiesta non riguarda il diritto alla salute, ma rientra nelle scelte organizzative e di sicurezza dell’amministrazione penitenziaria. La sentenza chiarisce i confini tra i diritti del detenuto, tutelabili con reclamo giurisdizionale, e le decisioni discrezionali della direzione del carcere, che non sono sindacabili se non manifestamente irragionevoli.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diritti del detenuto: la Cassazione traccia il confine tra diritti e preferenze

La vita all’interno di un istituto penitenziario è scandita da regole precise, ma dove finisce la regolamentazione e dove inizia la lesione dei diritti del detenuto? Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato questo tema delicato, partendo da una richiesta apparentemente semplice: quella di un carcerato di poter acquistare farina e lievito. La decisione offre un’importante chiave di lettura per distinguere tra un diritto soggettivo tutelabile in tribunale e una mera preferenza personale, soggetta alla discrezionalità dell’amministrazione.

Il caso: la richiesta di acquistare farina e lievito

Un detenuto, sottoposto al regime speciale del 41-bis, si era visto negare dall’amministrazione penitenziaria il permesso di acquistare farina e lievito di birra. L’amministrazione aveva giustificato il divieto, esteso a tutti i carcerati, con ragioni di sicurezza: la farina, dispersa nell’aria, può creare una nube esplosiva o incendiaria. Il detenuto, tuttavia, ha contestato il divieto, presentando un reclamo al magistrato di sorveglianza.

La decisione dei giudici di merito

Sia il magistrato di sorveglianza prima, sia il Tribunale di Sorveglianza poi, avevano dato ragione al detenuto. Secondo i giudici, il divieto era irragionevole. Avevano osservato che ai detenuti era permesso acquistare altri prodotti potenzialmente più pericolosi e che il rischio di esplosione era stato escluso da una perizia del Nucleo Artificieri dei Carabinieri. La questione era stata inquadrata come una violazione del diritto del detenuto a una sana alimentazione, tutelato dall’articolo 35-bis dell’ordinamento penitenziario.

Il ricorso in Cassazione e l’ambito dei diritti del detenuto

L’amministrazione penitenziaria e il Ministero della Giustizia hanno impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, sostenendo un punto cruciale: la richiesta del detenuto non riguardava la lesione di un diritto fondamentale. Non si contestava il diritto alla salute o a un’alimentazione sana ed equilibrata (garantita dal vitto fornito dall’istituto), ma si discuteva solo di un aspetto regolamentare. Secondo i ricorrenti, la scelta di quali prodotti ammettere all’acquisto rientra nel potere discrezionale dell’amministrazione per garantire ordine e sicurezza.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’amministrazione, annullando senza rinvio le precedenti decisioni favorevoli al detenuto. Il ragionamento dei giudici di legittimità è stato netto e chiarificatore. Essi hanno spiegato che il reclamo giurisdizionale, previsto dall’art. 35-bis Ord.pen., è uno strumento a tutela dei “diritti” soggettivi del detenuto, non delle mere preferenze o delle modalità di esercizio di tali diritti.

Il diritto a una sana alimentazione, ha precisato la Corte, è certamente un diritto fondamentale. Tuttavia, la richiesta di acquistare farina e lievito per cucinare in proprio non costituisce una sua espressione diretta e necessaria. Il vitto fornito dal carcere rispetta le tabelle nutrizionali e garantisce una dieta completa. La possibilità di prepararsi un cibo diverso è una preferenza, non un diritto. Il diritto alla salute sarebbe stato leso, ad esempio, se il detenuto avesse avuto bisogno di un regime alimentare specifico per motivi di salute e gli fosse stato negato.

La decisione di vietare l’acquisto di determinati beni per ragioni di sicurezza, anche se opinabili, rientra pienamente nella sfera di attribuzione esclusiva dell’amministrazione penitenziaria. Finché tali scelte non sono manifestamente irragionevoli o sproporzionate, esse non possono essere contestate davanti al giudice di sorveglianza tramite lo strumento del reclamo giurisdizionale.

Conclusioni

Questa sentenza traccia una linea di demarcazione fondamentale per la tutela dei diritti del detenuto. Si conferma che i diritti fondamentali, come quello alla salute, sono pienamente tutelati e possono essere difesi in sede giurisdizionale. Tuttavia, le scelte organizzative e regolamentari dell’amministrazione penitenziaria, finalizzate a mantenere l’ordine e la sicurezza, godono di un’ampia discrezionalità. La preferenza di un detenuto di cucinare in proprio non assurge al rango di diritto soggettivo, e il divieto di acquistare specifici ingredienti, se motivato da ragioni di sicurezza, è legittimo e non sindacabile dal giudice, a meno che non si traduca in una violazione concreta e grave di un diritto primario.

L’acquisto di specifici alimenti in carcere, come farina e lievito, costituisce un diritto soggettivo del detenuto?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che non si tratta di un diritto soggettivo, come quello alla salute o a una sana alimentazione, ma di una questione che rientra nella discrezionalità organizzativa e di sicurezza dell’amministrazione penitenziaria.

Quando un detenuto può presentare un reclamo giurisdizionale al magistrato di sorveglianza?
Un detenuto può utilizzare il reclamo giurisdizionale (art. 35-bis Ord.pen.) solo quando lamenta la violazione di un “diritto”, ovvero una posizione giuridica protetta, che causa un pregiudizio attuale e grave. Non può essere usato per contestare le mere modalità di esercizio dei diritti o le scelte regolamentari dell’amministrazione.

Perché la Corte ha annullato la decisione che consentiva l’acquisto di farina e lievito?
La Corte ha annullato la decisione perché il giudice di sorveglianza ha erroneamente qualificato la richiesta del detenuto come la lesione di un diritto. Ha invece ritenuto che il divieto imposto dall’amministrazione, basato su ragioni di sicurezza non manifestamente irragionevoli, rientrasse nei suoi poteri organizzativi e non potesse essere sindacato dal giudice in quella sede.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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