Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 25956 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 25956 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: GIUSTIZIA
DIPARTIMENTO dell’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA e RAGIONE_SOCIALE DELLA
nei confronti di: COGNOME NOME nato a PARABITA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 24/11/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di SASSARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato
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RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 24 novembre 2023 il Tribunale di sorveglianza di Sassari ha respinto il reclamo proposto dal D.A.P. avverso l’ordinanza emessa in data 20 giugno 2023, con la quale il magistrato di sorveglianza, accogliendo un reclamo del detenuto NOME COGNOME, sottoposto al regime di cui all’art. 41-bis Ord.pen., aveva disposto che l’istituto penitenziario gli consentisse l’acquisto di lievito di birra e farina.
Il D.A.P. aveva giustificato il divieto, esteso a tutti i detenuti, con l pericolosità della farina che, dispersa nell’aria e a seguito di innesco, può dare vita ad una nube incendiaria o esplosiva, ma il magistrato di sorveglianza aveva ritenuto tale affermazione non provata né giustificata in concreto, stante l’assenza di un analogo divieto in altri istituti penitenziari, ed essendo consentito l’acquisto di alimenti con maggiore potere incendiario.
Il Tribunale ha, in primo luogo, giudicato corretta la qualificazione del reclamo come presentato ai sensi dell’art. 35-bis Ord.pen. attenendo esso al diritto del detenuto ad un’alimentazione sana. Quindi ha ritenuto infondato il reclamo del D.A.P., essendo il divieto irragionevole sia perché viene consentito l’acquisto di prodotti alimentari più idonei alla produzione di incendi, sia perché non è stato chiarito con quali agevoli modalità i detenuti potrebbero innescare un incendio una volta verificatasi la nube, sia perché il RAGIONE_SOCIALE ha escluso che sussista un reale rischio esplosivo della farina, stanti i beni e le attrezzature necessari per farla esplodere, sia infine perché tale acquisto è consentito in altri istituti penitenziari.
Avverso l’ordinanza hanno proposto ricorso la Casa circondariale di Sassari, il D.A.P. e il Ministero della Giustizia, per mezzo dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Cagliari, articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorso deduce il vizio di potere del giudice di sorveglianza, mancando i presupposti per qualificare il ricorso come reclamo ai sensi dell’art. 35-bis Ord.pen.
Il detenuto non faceva valere una lesione grave e attuale ad un diritto soggettivo, non essendo in discussione il suo diritto alla salute o ad una alimentazione sana, ma contestava solo un aspetto regolamentare dell’amministrazione carceraria.
2.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce la falsa applicazione del principio di non discriminazione.
Il divieto in questione è applicato anche ai detenuti comuni, per cui non può essere ritenuto illegittimo, trattandosi dell’espressione della potestà regolatoria dell’amministrazione.
2.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce la violazione dell’art. 41-bis, comma 2 quater, lett. a) e c), Ord.pen.
Il Tribunale ha erroneamente escluso che il divieto sia fondato su ragioni di sicurezza. Altri Uffici di sorveglianza hanno confermato tale divieto, per la pericolosità della farina, che è in grado di esplodere, oltre a poter essere usata per formare una colla, e che può essere facilmente incendiata, atteso che ai detenuti è stato consentito l’acquisto di accendini. Inoltre il prodotto che deve essere combinato con la farina per renderla esplosiva è la normale acqua ossigenata, ed è errato il paragone con l’olio, il cui acquisto è consentito perché esso, diversamente dalla farina, è indispensabile per cucinare. Lo stesso Ufficio di sorveglianza di Sassari, in precedenza, ha più volte rigettato ricorsi analoghi.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è fondato e deve essere accolto, con assorbimento degli altri motivi, attinenti al merito del provvedimento impugnato.
Le autorità ricorrenti sostengono che l’acquisto degli specifici generi alimentari richiesti, farina e lievito di birra, non costituisca un diritto per detenuto, con conseguente inapplicabilità del rimedio del reclamo giurisdizionale, applicato, invece, dal magistrato e dal tribunale di sorveglianza.
Il reclamo giurisdizionale al magistrato di sorveglianza, previsto dagli artt. 35-bis e 69, comma 6, lett. b), Ord.pen., ammette la tutela contro la «inosservanza da parte dell’amministrazione di disposizioni previste dalla presente legge e dal relativo regolamento, dalla quale derivi al detenuto o all’internato un attuale e grave pregiudizio all’esercizio dei diritti». Tale strumento di tutela presuppone, pertanto, la sussistenza in capo al detenuto di una posizione giuridica attiva qualificabile in termini di «diritto», meritevole di immediata protezione, e una condotta dell’amministrazione penitenziaria che si ponga in illegittimo contrasto con tale posizione soggettiva. Non ogni limitazione alla sfera dei diritti soggettivi del detenuto, anche di quello sottoposto al regime differenziato, adottata al fine di garantire l’ordine e la sicurezza interna dell’istituto, costituisce una violazione censurabile, in quanto i provvedimenti
dell’amministrazione penitenziaria che rispettino i canoni di ragionevolezza e proporzionalità impattano legittimamente sulla posizione soggettiva del detenuto, e rientrano nell’ambito della sua compressione lecita e autorizzata (vedi Sez. 1, n. 4030 del 04/12/2020, dep. 2021, Rv. 280532).
Peraltro il diritto soggettivo del detenuto, a cui è garantita la tutela, non deve essere confuso con le mere modalità di esercizio dello stesso, che sono inevitabilmente soggette a regolamentazione: solo la negazione o la grave compronnissione del diritto, in quanto tale, integra una lesione suscettibile di reclamo giurisdizionale, mentre le modalità di esercizio del diritto restano affidate alle scelte discrezionali dell’amministrazione penitenziaria, adottate in funzione delle esigenze di ordine e disciplina interne, che, se non risultino manifestamente irragionevoli, non sono sindacabili in sede giudiziaria. In più occasioni questa Corte ha affermato, infatti, che «è inammissibile il ricorso per cassazione proposto avverso un’ordinanza emessa dal magistrato di sorveglianza a seguito di un reclamo generico in ordine a provvedimenti che non incidono sui diritti soggettivi del detenuto, ma solo sulle modalità di esercizio di esso, che restano affidate alla discrezionalità dell’Amministrazione penitenziaria in funzione delle esigenze di ordine e disciplina interne» (Sez. 7, n. 373 del 29/05/2014, dep. 2015, Rv. 261549; Sez. 1, n. 767 del 15/11/2013, dep. 2014, Rv. 258398).
Nel caso di specie è necessario procedere alla corretta qualificazione dello strumento giuridico azionato dal detenuto, presentando un reclamo al magistrato di sorveglianza contro il divieto di acquisto di due specifici alimenti funzionali alla realizzazione e alla cottura di cibi, quali la farina e il lievito di birra.
La limitazione all’acquisto di uno specifico alimento, perché non inserito nel modello 72 e non autorizzato dal direttore del carcere, può legittimare il reclamo giurisdizionale solo in quanto costituisca la violazione di un diritto soggettivo, in questo caso il diritto alla salute e ad una sana alimentazione. Non risulta, però, che il detenuto abbia motivato il suo reclamo lamentando una violazione di tali diritti, affermando ad esempio la necessità di seguire, per ragioni di salute, uno specifico regime alimentare che preveda l’utilizzo, magari in forme particolari, degli alimenti richiesti.
Il Tribunale di sorveglianza, nel provvedimento impugnato, ha affermato che il divieto contestato viola il diritto ad un’alimentazione sana «presupposta nell’utilizzo di prodotti base (o materie prime) che consentano la preparazione in autonomia di alimenti o pietanze in luogo di quelle di più agevole approntamento esistenti nel mercato o addirittura in luogo di quei prodotti conservati “finiti”». Tale motivazione si basa su un presupposto in realtà indimostrato, circa la maggiore salubrità di un prodotto cucinato in proprio rispetto ad uno già
preparato, ed è palesemente inapplicabile ai due prodotti richiesti, che sono anch’essi di produzione industriale e devono necessariamente essere manipolati e modificati per realizzare cibi gradevoli da consumare. I due prodotti richiesti, poi, sono sicuramente presenti nei pasti forniti dall’amministrazione carceraria, quanto meno sotto forma di pane: il loro acquisto da parte del detenuto, pertanto, non è essenziale, neppure al fine di variare la propria dieta; si ricordi, peraltro, che il vitto fornito rispetta le tabelle nutrizionali ministeriali e perta deve essere ritenuto, in mancanza di prova contraria, tale da garantire una dieta completa ed equilibrata.
Il diritto alla salute e ad una sana alimentazione non può essere confuso con il soddisfacimento di una mera preferenza tra un cibo e l’altro, né con il piacere di cucinare in proprio il cibo anziché nutrirsi con il vitto del carcere. Mentre può costituire espressione del diritto alla salute e ad una sana alimentazione la richiesta di acquisto, ad esempio, di prodotti di facile digeribilità o ricchi di fibr di prodotti idonei per chi soffra di intolleranze alimentari, di prodotti privi d zucchero per soggetti predisposti al diabete, nessun vantaggio per la salute, neppure sotto il profilo di un’alimentazione più sana, può ravvedersi nell’utilizzo in proprio, previa cottura o meno, di farina e lievito, trattandosi di alimenti o ingredienti già ampiamente presenti, come detto, nel vitto fornito dal carcere e quindi nella dieta del detenuto.
Deve pertanto ritenersi che, in questo caso, non è posto in discussione il diritto del detenuto ad una alimentazione sana, quale espressione del suo diritto alla salute.
La questione risolta dai giudici della sorveglianza in senso favorevole al detenuto, quella di poter acquistare due specifici alimenti funzionali alla realizzazione di cibi, quali la farina e il lievito di birra, ha, pertanto, una natu esclusivamente organizzativa e rientra nella sfera di attribuzione esclusiva dell’amministrazione penitenziaria, che risulta avere imposto tale divieto, a tutti i detenuti, per ragioni di sicurezza non manifestamente irragionevoli, applicate anche in altri istituti penitenziari in base alle specifiche esigenze e caratteristiche di ognuno di essi.
Il magistrato di sorveglianza, pertanto, avrebbe dovuto preliminarmente procedere alla corretta qualificazione dello strumento giuridico azionato dal detenuto, verificando la non configurabilità, in relazione alla pretesa dedotta, di una situazione di diritto soggettivo, lesa dalla condotta tenuta dall’amministrazione penitenziaria, qualificando di conseguenza il reclamo da lui proposto come generico, ai sensi dell’art. 35, comma 1, n. 5, Ord. pen. (vedi Sez. 1, n. 28285 del 09/04/2021, Rv. 281998)
L’ordinanza GLYPH impugnata, quindi, è stata pronunciata in una materia eccedente i corretti confini della giurisdizione, e deve perciò essere annullata senza rinvio. Per gli stessi motivi deve essere annullata l’ordinanza n. 1431/2023, avente lo stesso oggetto, emessa dal magistrato di sorveglianza di Sassari in data 20 giugno 2023.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.
Così deciso il 17 aprile 2024
Il Consigliere estensore
GLYPH
Il Presidente