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Diritti dei detenuti: no a lievito e farina in cella

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 29516/2025, ha stabilito che il divieto imposto a un detenuto di acquistare lievito e farina non lede i suoi diritti fondamentali. La Corte ha chiarito la distinzione tra il diritto soggettivo a una sana alimentazione, che deve essere sempre garantito, e la scelta specifica dei singoli prodotti, che rientra nella discrezionalità organizzativa dell’amministrazione penitenziaria per motivi di sicurezza. Questa decisione rafforza l’autonomia gestionale degli istituti di pena nel bilanciare i diritti dei detenuti con le esigenze di ordine e sicurezza interna.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diritti dei detenuti: la Cassazione nega l’acquisto di lievito e farina

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, è intervenuta per tracciare una linea di confine netta tra i diritti dei detenuti e la discrezionalità dell’amministrazione penitenziaria. Il caso specifico riguardava il divieto di acquistare lievito e farina, una restrizione che, secondo i giudici supremi, non viola un diritto soggettivo del recluso ma rientra nelle legittime scelte organizzative e di sicurezza dell’istituto di pena.

I Fatti del Caso: un reclamo per lievito e farina

Tutto ha origine dal reclamo di un detenuto, sottoposto al regime speciale previsto dall’art. 41-bis, contro la decisione del carcere di non consentirgli l’acquisto di lievito e farina. Inizialmente, il Tribunale di Sorveglianza aveva dato ragione al detenuto, ritenendo la limitazione illegittima e priva di una valida giustificazione legata a esigenze di sicurezza. Secondo il Tribunale, non era stato dimostrato che l’uso e la cottura di tali alimenti potessero creare una situazione di pericolo reale.

Il Ricorso dell’Amministrazione Penitenziaria

Contro questa decisione, la Casa Circondariale, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) e il Ministero della Giustizia hanno proposto ricorso per cassazione, basandosi su tre motivi principali:
1. Eccesso di potere giurisdizionale: L’amministrazione sosteneva che il detenuto si fosse limitato a una semplice lamentela su una regola interna, senza lamentare la lesione di un vero e proprio diritto soggettivo, come quello alla salute o a una sana alimentazione.
2. Violazione del principio di non discriminazione: La difesa evidenziava che la scelta di limitare certi acquisti era basata su criteri di sicurezza validi per tutti.
3. Errata interpretazione dell’art. 41-bis: Si contestava la decisione del Tribunale per aver sottovalutato la pericolosità intrinseca di sostanze potenzialmente infiammabili come lievito e farina all’interno di un istituto di pena.

La Decisione della Cassazione e i diritti dei detenuti

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando senza rinvio l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza. La decisione si fonda su un principio consolidato: il rimedio giurisdizionale a disposizione dei detenuti è attivabile solo per proteggere posizioni qualificabili come “diritti soggettivi” da cui derivi un “attuale e grave pregiudizio”.

Le Motivazioni: Diritto Soggettivo vs. Discrezionalità Amministrativa

Il cuore della motivazione della Suprema Corte risiede nella distinzione tra il diritto soggettivo alla salute e a un’alimentazione sana ed equilibrata, da un lato, e le modalità concrete di esercizio di tale diritto, dall’altro.

La Corte ha affermato che il diritto a una sana alimentazione è pienamente tutelato. Tuttavia, questo non si traduce in un diritto incondizionato del detenuto di acquistare qualsiasi genere alimentare desideri. La scelta specifica dei prodotti disponibili per l’acquisto (il cosiddetto “sopravvitto”) rientra nel potere discrezionale e organizzativo dell’amministrazione penitenziaria.

Questa discrezionalità permette alla direzione del carcere di bilanciare le esigenze dei detenuti con quelle, altrettanto fondamentali, di ordine e sicurezza interna. Il divieto di acquisto di lievito e farina è stato considerato una scelta organizzativa ragionevole e proporzionata, motivata da:
– La facile infiammabilità di tali sostanze, che rappresenta un potenziale rischio per la sicurezza.
– La non essenzialità di questi prodotti, dato che il detenuto può comunque usufruire del vitto fornito dall’amministrazione, conforme alle tabelle nutrizionali, e di una varietà di altri generi alimentari acquistabili, garantendo così una dieta completa ed equilibrata.

In sostanza, la scelta di quali alimenti inserire nel catalogo degli acquisti consentiti non lede un diritto soggettivo, ma ne regola le modalità di esercizio, degradando l’interesse del singolo a un mero interesse legittimo, non direttamente tutelabile in sede giurisdizionale se la scelta dell’amministrazione non appare palesemente irragionevole o sproporzionata.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ribadisce un importante principio dell’ordinamento penitenziario: l’amministrazione gode di un’ampia autonomia nella gestione della vita interna degli istituti, specialmente per quanto riguarda l’ordine e la sicurezza. I diritti dei detenuti, pur essendo fondamentali, possono subire delle limitazioni derivanti dallo stato di detenzione, a condizione che tali limitazioni siano ragionevoli, proporzionate e non intacchino il nucleo essenziale del diritto stesso. La decisione di vietare l’acquisto di specifici generi alimentari, se motivata da plausibili ragioni di sicurezza e se non compromette il diritto a una dieta sana, è una scelta legittima e non sindacabile dal giudice di sorveglianza.

Un detenuto può acquistare qualsiasi genere alimentare desideri?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che, sebbene il detenuto abbia un diritto soggettivo a un’alimentazione sana ed equilibrata, non ha un diritto assoluto di scegliere e acquistare qualsiasi prodotto. La selezione degli articoli disponibili rientra nel potere discrezionale dell’amministrazione penitenziaria per ragioni organizzative e di sicurezza.

Quando un detenuto può contestare con successo una regola del carcere davanti a un giudice?
Secondo questa sentenza, un detenuto può contestare efficacemente una regola solo quando questa viola un suo diritto soggettivo (come il diritto alla salute) e gli provoca un “attuale e grave pregiudizio”. Le semplici lamentele su scelte organizzative che non ledono diritti fondamentali non sono, di norma, ammesse al controllo giurisdizionale.

Perché il divieto di acquistare lievito e farina è stato ritenuto legittimo?
Il divieto è stato considerato legittimo perché basato su plausibili ragioni di sicurezza (la potenziale infiammabilità delle sostanze) e perché rientrava nelle scelte organizzative dell’istituto. Inoltre, la Corte ha ritenuto che lievito e farina non fossero essenziali per garantire una dieta completa, già assicurata dal vitto fornito dall’amministrazione e da altri prodotti acquistabili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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