Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20241 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
PRIMA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20241 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, nel procedimento promosso con reclamo dal detenuto:
NOME nato a AVERSA il 24/11/1980
avverso l’ordinanza del 15/11/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato e di quello del Magistrato di sorveglianza;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 15/11/2024, il Tribunale di sorveglianza di Milano ha confermato il provvedimento con il quale il Magistrato di sorveglianza di Milano aveva disposto, accogliendo il reclamo dell’interessato in stato di detenzione, che l’Amministrazione penitenziaria consentisse a NOME COGNOME ristretto in regime di cui all’art. 41-bis ord. pen., di acquistare al sopravvitto un rasoio elettrico per capelli e barba con filo elettrico e non autoalimentato.
Il Ministero della Giustizia – Direzione dell’amministrazione penitenziaria ha proposto ricorso lamentando, con un unico motivo, violazione degli artt. 35-bis, comma 3, e 69, comma 6 lett. b), ord. pen., in relazione all’art. 606, comma 1 lett. b), cod. proc. pen., e contestuale carenza e contraddittorietà di motivazione in relazione all’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen.
Richiamando l’art. 10 circolare D.A.P. in data 02/10/2017, n. 3676/6126, che autorizza l’uso di rasoi e taglia barba autoalimentati con batterie intercambiabili, tramite acquisto esclusivamente consentito con il servizio sopravvitto, ha dedotto che il divieto di uso di rasoi con filo elettrico era ampiamente motivato da esigenze di sicurezza e rientrava tra le materie riservate alla discrezionalità esclusiva dell’amministrazione penitenziaria, perchØ atteneva alle sole modalità di esercizio di un diritto soggettivo.
Il Procuratore Generale, NOME COGNOME ha chiesto l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato e di quello del Magistrato di sorveglianza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł fondato e va accolto per quanto di ragione.
L’art. 69, comma 6, ord. pen. stabilisce che il Magistrato di sorveglianza, “provvede a norma dell’articolo 35-bis sui reclami dei detenuti e degli internati concernenti: b) l’inosservanza da parte dell’amministrazione di disposizioni previste dalla presente legge e dal relativo regolamento, dalla quale derivi al detenuto o all’internato un attuale e grave pregiudizio all’esercizio dei diritti”.
Come ha precisato la giurisprudenza di legittimità, «a fronte del reclamo proposto dal detenuto, il magistrato di sorveglianza Ł chiamato a procedere alla corretta qualificazione dello strumento giuridico azionato, verificando, preliminarmente, se sia configurabile, in relazione alla pretesa dedotta, una situazione di diritto soggettivo e se vi sia una correlazione tra tale posizione soggettiva e la condotta tenuta dall’Amministrazione penitenziaria» (Sez. 1, n. 28258 del 09/04/2021, Gallico, Rv. 281998 – 01).
Inoltre, «l’inerenza ad un diritto soggettivo della situazione oggetto del reclamo presentato dal detenuto ex art. 35-bis legge 26 luglio 1975, n. 354 non viene meno nel caso in cui siano riconosciuti all’amministrazione penitenziaria poteri conformativi delle modalità di esercizio di quel diritto, sicchØ in casi del genere la valutazione giudiziale deve investire la ragionevolezza dei limiti alla fruizione del diritto imposti dagli atti regolativi dell’amministrazione, e l’idoneità degli stessi ad incidere sugli aspetti essenziali del diritto, svuotandone il contenuto fondamentale». (Sez. 1, n. 32394 del
11/04/2024, Rv. 286716 – 01).
Il reclamo giurisdizionale al magistrato di sorveglianza, previsto dagli artt. 35- bis e 69, comma 6, lett. b) , ord. pen., ammette, quindi, la tutela delle posizioni giuridiche soggettive qualificabili in termini di “diritto”, incise da condotte dell’Amministrazione che violino disposizioni previste dalla legge penitenziaria, e dal relativo regolamento, dalle quali “derivi al detenuto o all’internato un attuale e grave pregiudizio”. Presupposti essenziali di tale strumento sono dunque costituiti dall’esistenza, in capo al detenuto, di una posizione giuridica attiva, non riducibile (o non riducibile ulteriormente) per effetto della carcerazione e direttamente meritevole di protezione, e dall’esistenza di una condotta, imputabile all’Amministrazione penitenziaria, che si ponga con tale posizione soggettiva in illegittimo contrasto (Sez. 1, n. 36865 del 08/06/2021, Ministero della Giustizia, Rv. 281907, in motivazione).
Questa Corte ha anche precisato, peraltro, che dalla condizione detentiva possano derivare limitazioni, anche significative, alla ordinaria sfera dei diritti soggettivi della persona, anche quale diretta conseguenza dell’adozione di misure e provvedimenti organizzativi dell’Amministrazione stessa volti a disciplinare la vita degli istituti, a garantire l’ordine e la sicurezza interna e l’irrinunciabile principio del trattamento rieducativo; misure e provvedimenti che, ove adottati nel rispetto dei canoni di ragionevolezza e proporzionalità, incidono legittimamente sulla posizione soggettiva del ristretto, andando ad integrarne l’ambito di autorizzata e lecita compressione (Sez. 1, n. 4030 del 04/12/2020, Ministero della Giustizia, Rv. 280532).
Il diritto soggettivo del detenuto, nel suo nucleo intangibile, cui Ł garantita protezione, non va, pertanto, confuso con le mere modalità di esercizio di esso, inevitabilmente assoggettate a regolamentazione (Sez. 1, n. 23533 del 07/07/2020, COGNOME, Rv. 279456; Sez. 1, n. 767 del 15/11/2013, COGNOME, Rv. 258398); soltanto la negazione del diritto in quanto tale integra lesione suscettibile di reclamo giurisdizionale, mentre le modalità di esplicazione del diritto restano affidate alle scelte discrezionali dell’Amministrazione penitenziaria, in funzione delle esigenze di ordine e disciplina interne, che, ove non manifestamente irragionevoli, ovvero sostanzialmente inibenti la fruizione del diritto, non sono sindacabili in sede giudiziaria (Sez. 7, n. 373 del 29/05/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 261549-01).
In applicazione di questi criteri, si Ł quindi, ad esempio affermato che «il provvedimento dell’amministrazione di diniego dell’autorizzazione all’acquisto di generi alimentari non previsti dal catalogo approvato dall’istituto (nella specie, lievito e farina) non può essere oggetto di reclamo giurisdizionale al magistrato di sorveglianza, non determinando la lesione di un diritto soggettivo del detenuto. (In motivazione la Corte ha chiarito che il diritto del detenuto ad una sana alimentazione Ł garantito dalla varietà dei prodotti inseriti nel catalogo e dalla loro idoneità a soddisfare i bisogni nutritivi, e che l’individuazione dei generi alimentari acquistabili, attenendo alle modalità di esercizio del diritto del detenuto, Ł rimessa alle scelte discrezionali dell’amministrazione penitenziaria e non Ł giustiziabile in sede giurisdizionale)» (Sez. 1, n. 23731 del 17/05/2024, Ministero, Rv. 286672 – 01).
3. Nel provvedimento impugnato e nel provvedimento da esso confermato si prende atto del fatto che l’art. 10 della circolare DAP del 02/10/2017 prevede l’autorizzazione all’uso di rasoi tagliabarbe con batterie, tramite acquisto col servizio sopravvitto dell’istituto; tuttavia, a fronte della richiesta del detenuto di acquistare unrasoio con filo e del diniego della Direzione della Casa di Reclusione di Milano Opera per ragioni di sicurezza, il reclamo del detenuto Ł stato accolto in ragione del fatto sarebbe stato dedotto il diritto soggettivo alla salute con il risvolto inerente la possibilità di cura dell’igiene personale e in considerazione dell’inutile afflittività che deriva dall’imporre l’uso di uno strumento meno agile di quello prescelto dal reclamante, senza che siano dedotte ragionevoli argomenti a fondamento delle prospettate esigenze di sicurezza.
Orbene i provvedimenti impugnati non fanno corretta applicazione dei canoni interpretativi sopra delineati.
Non Ł, difatti, configurabile la lamentata violazione di legge per la lesione del diritto alla salute derivante dalla impossibilità di attendere alla cura della persona, mancando il potere dell’Amministrazione di limitare l’uso di tali strumenti non diversi da altri, parimenti pericolosi, ma pur tuttavia ammessi.
Il provvedimento impugnato ha dedotto dal diritto alla salute certamente riconosciuto al detenuto un’inammissibile prerogativa di scelta delle concrete modalità di esecuzione delle attività di cura dell’igiene personale.
La facoltà di scegliere il tagliabarba con il cavo elettrico rispetto a quello con batteria integra un mero interesse di fatto, privo di tutela; invero, con l’impugnazione non si contesta che l’introduzione di tali strumenti Ł vietata, per ragioni di sicurezza, in tutti gli istituti, secondo le previsioni di una legittima misura precauzionale, connessa ai pericoli di folgorazione e alla necessità di controllare l’uso dell’energia elettrica negli istituti, e dalla quale non deriva alcuna lesione di diritti soggettivi, ma semplicemente una conformazione delle modalità di esercizio degli stessi nell’ambito dell’esercizio discrezionale dei poteri organizzativi dell’amministrazione.
Ne consegue che in tale fattispecie non può essere riconosciuto l’interesse del detenuto a far intervenire l’autorità giudiziaria ex art. 69, comma 6, lett. b), ord. pen., perchŁ non sussiste una situazione soggettiva tutelabile, nØ una concreta lesione di un diritto soggettivo; pertanto, avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza non poteva essere proposto reclamo al Tribunale di sorveglianza e neppure ricorso per cassazione (in tal senso anche Sez. 1, n. 32947 del 24/06/2022, Crea, n.m.; Sez. 1, n. 22967 del 30/04/2024, n.m.).
PoichØ il provvedimento del Tribunale di sorveglianza oggetto di ricorso per cassazione al pari di quello del Magistrato di sorveglianza da esso confermato sono intervenuti su materia sottratta al sindacato di cui all’articolo 35-bis ord. pen., ne consegue che entrambi vanno annullati senza
rinvio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e il provvedimento di primo grado.
Così Ł deciso, 04/02/2025 Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME