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Dirigente di fatto: responsabilità penale e civile

La Corte di Cassazione ha analizzato il caso di due fratelli, ritenuti responsabili come ‘dirigente di fatto’ per un grave incendio in un’azienda chimica. Pur dichiarando il reato estinto per prescrizione, la Corte ha confermato la loro responsabilità civile e il conseguente obbligo di risarcimento del danno. La sentenza distingue nettamente la figura del dirigente di fatto ai sensi della normativa sulla sicurezza sul lavoro da quella di ‘gestore’ secondo la direttiva Seveso, ritenendo provata solo la prima.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dirigente di Fatto: Quando la Responsabilità Sopravvive alla Prescrizione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riacceso i riflettori su una figura chiave del diritto penale del lavoro: il dirigente di fatto. Il caso, scaturito da un devastante incendio in uno stabilimento chimico, dimostra come la responsabilità per un evento dannoso possa persistere ai fini civili anche quando il reato è dichiarato estinto per prescrizione. La Corte ha colto l’occasione per delineare con precisione i confini di questa figura, distinguendola da quella, ancora più gravosa, del ‘gestore’ ai sensi della normativa Seveso.

I Fatti: Un Incendio dalle Conseguenze Devastanti

La vicenda ha origine il 30 maggio 2016, quando un incendio di vaste proporzioni divampa in un capannone industriale adibito allo stoccaggio di prodotti chimici. L’evento degenera rapidamente, provocando una serie di violente esplosioni che causano il ferimento di numerosi vigili del fuoco e operatori intervenuti, oltre a ingenti danni alle proprietà circostanti. Le indagini si concentrano sulla gestione della sicurezza all’interno dello stabilimento, formalmente amministrato dal padre dei due imputati, poi deceduto. L’accusa, tuttavia, sostiene che i due figli operassero a tutti gli effetti come dirigenti, impartendo disposizioni ai dipendenti sulla manipolazione e lo stoccaggio dei materiali pericolosi.

Il Percorso Giudiziario e i Motivi del Ricorso

Dopo la condanna in primo e secondo grado, la difesa presenta ricorso in Cassazione basandosi su quattro motivi principali. In primo luogo, eccepisce la nullità dell’utilizzo di una consulenza tecnica redatta da un ausiliario del consulente del Pubblico Ministero. In secondo luogo, contesta la qualifica di dirigente di fatto attribuita agli imputati, sostenendo la mancanza di prove circa un loro potere decisionale effettivo e, a maggior ragione, la loro riconducibilità alla figura di ‘gestore’ ai sensi del D.Lgs. 105/2015 (legge Seveso). Infine, la difesa critica la ricostruzione della causa dell’incendio, ritenendola contraddittoria e lamentando la mancata considerazione di ipotesi alternative, come l’innesco doloso.

La Decisione della Cassazione: tra Prescrizione e Responsabilità Civile

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, giunge a una soluzione complessa. In via preliminare, rileva che i reati contestati sono ormai estinti per prescrizione, maturata dopo la sentenza d’appello. Tuttavia, la presenza di parti civili costituite impone alla Corte di esaminare nel merito il ricorso, al fine di decidere sulle statuizioni civili (il risarcimento del danno). È in questa analisi che emergono i principi di diritto più significativi.

La Figura del Dirigente di Fatto e la sua Responsabilità

La Corte conferma pienamente la valutazione dei giudici di merito riguardo al ruolo di dirigente di fatto ricoperto dagli imputati. In base al principio di effettività, sancito dall’art. 299 del D.Lgs. 81/2008 (Testo Unico sulla Sicurezza), la posizione di garanzia e le relative responsabilità non derivano dalla nomina formale, ma dall’esercizio concreto dei poteri tipici del dirigente. Le testimonianze avevano dimostrato come i due fratelli fossero costantemente presenti in azienda, gestissero i rapporti con i dipendenti, indicassero le modalità di stoccaggio e lavorazione delle sostanze chimiche, di fatto affiancando e rappresentando la figura paterna. Tale ruolo operativo li rendeva destinatari degli obblighi di prevenzione, la cui violazione è stata posta a fondamento della loro colpa.

La Distinzione Cruciale: ‘Dirigente di Fatto’ vs ‘Gestore Seveso’

Il punto più innovativo della decisione risiede nella distinzione operata dalla Corte tra la figura del ‘dirigente’ e quella di ‘gestore’ (o ‘operatore’) ai sensi della normativa Seveso. Se le prove erano sufficienti a dimostrare l’esercizio di fatto di poteri dirigenziali (attuazione delle direttive del datore di lavoro), non lo erano per qualificarli come ‘gestori’. Quest’ultima figura, infatti, implica un potere superiore: ‘detenere o gestire’ l’impianto, oppure avere un ‘potere economico o decisionale determinante’ per l’esercizio tecnico dello stesso. Secondo la Corte, il ruolo svolto dagli imputati era di esecuzione e organizzazione, ma non di decisore ultimo, ruolo che rimaneva in capo al padre. Di conseguenza, la loro responsabilità non poteva essere fondata sulla violazione degli obblighi specifici previsti dalla legge Seveso a carico del gestore.

La Validità della Consulenza Tecnica e dell’Ausiliario

La Corte ha rigettato anche il motivo di ricorso relativo alla consulenza tecnica. I giudici hanno chiarito che il consulente del PM può legittimamente avvalersi di ausiliari per compiere operazioni specifiche, specie se richiedono competenze o strumenti particolari (nel caso di specie, un software di calcolo per esplosioni). L’importante è che il consulente nomitato faccia proprie le conclusioni dell’ausiliario, le verifichi e le ponga a fondamento del proprio elaborato, come avvenuto nel caso in esame, garantendo così il pieno contraddittorio tra le parti.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si fondano sul consolidato ‘principio di effettività’, secondo cui, in materia di sicurezza sul lavoro, la responsabilità penale grava su chiunque eserciti di fatto i poteri direttivi, a prescindere da un’investitura formale. La sentenza sottolinea che la frequente presenza in azienda, la gestione dei dipendenti e l’impartire di ordini operativi sono elementi sufficienti per integrare la figura del dirigente di fatto. Tuttavia, la Corte precisa che ogni figura di garante ha un perimetro di responsabilità definito dalla norma. Mentre la responsabilità come dirigente derivava dalla gestione operativa della sicurezza, quella di ‘gestore Seveso’ avrebbe richiesto la prova di un potere decisionale apicale, economico e tecnico, che nel caso di specie non è emersa. Infine, pur dichiarando la prescrizione, la Corte ha ritenuto le prove di colpa sufficientemente solide per confermare la condanna al risarcimento dei danni, poiché l’annullamento per prescrizione non equivale a un’assoluzione nel merito che possa travolgere le statuizioni civili.

Le Conclusioni

La sentenza offre due importanti lezioni. La prima è che la prescrizione del reato non cancella automaticamente le conseguenze civili dell’illecito: se la responsabilità è accertata in modo convincente, l’obbligo di risarcire le vittime rimane. La seconda, più tecnica, riguarda la necessità di un accertamento rigoroso per ogni specifica posizione di garanzia. Essere un dirigente di fatto comporta enormi responsabilità, ma queste non possono essere estese automaticamente a quelle, ancora più specifiche e onerose, previste da normative di settore come la Seveso, se non viene provato l’esercizio effettivo dei poteri che tale normativa individua come presupposto per l’attribuzione della qualifica di ‘gestore’.

Chi è il ‘dirigente di fatto’ e quali sono le sue responsabilità in materia di sicurezza sul lavoro?
Secondo la Corte, il ‘dirigente di fatto’ è colui che, pur senza una nomina formale, esercita in concreto i poteri tipici di un dirigente, come organizzare e dirigere le attività lavorative. In base al principio di effettività (art. 299, D.Lgs. 81/2008), questa persona assume tutte le responsabilità e gli obblighi di prevenzione previsti dalla legge per la figura dirigenziale.

L’estinzione del reato per prescrizione elimina anche l’obbligo di risarcire i danni?
No. Come chiarito dalla sentenza, in presenza di una condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, il giudice penale, pur dichiarando la prescrizione del reato, deve valutare nel merito i motivi di ricorso. Se questi non sono fondati e non emerge un’evidente innocenza dell’imputato, la condanna al risarcimento dei danni per le parti civili viene confermata.

Qual è la differenza tra ‘dirigente di fatto’ e ‘gestore’ secondo la Direttiva Seveso?
Il ‘dirigente di fatto’ è colui che attua le direttive del datore di lavoro, organizzando l’attività lavorativa. Il ‘gestore’ (ai sensi del D.Lgs. 105/2015, c.d. Legge Seveso) è una figura con poteri superiori: è chi ‘detiene o gestisce’ lo stabilimento o a cui è stato delegato il ‘potere economico o decisionale determinante’ per l’esercizio tecnico dell’impianto. La Corte ha stabilito che la prova di essere dirigente di fatto non implica automaticamente la qualifica di gestore, per la quale è necessario dimostrare un potere decisionale apicale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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