Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 20225 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 20225 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a BENEVENTO il 16/05/1965
avverso la sentenza del 22/11/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME il quale ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso.
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n6)
Ritenuto in fatto
È oggetto di ricorso la sentenza del 22 novembre 2024, con cui la Corte d’appello di Napoli ha confermato la condanna nei confronti di NOME COGNOME imputato del delitto di cui all’art. 595, terzo comma, cod. pen., riqualificato, già primo grado, nel delitto di cui all’art. 57 cod. pen., alla pena della multa di eu 2.000 di multa e al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile, NOME COGNOME.
Secondo il capo d’imputazione, il NOME, in qualità di direttore responsabile della testata giornalistica “Roma” -edizione della Basilicata, del Cilento e di Vall della Lucania- offendeva la reputazione di NOME COGNOME, legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, tramite la pubblicazione di un articolo apparso sull’edizione della predetta testata del 18 giugno 2018. Il titol dell’articolo, di cui alla prima pagina del quotidiano, recitava “Indagini anche sull Consilinauto”; il medesimo articolo proseguiva in sesta pagina, con l’ulteriore intitolazione “gli inquirenti vogliono vederci chiaro e valutano la posizione dei concessionari dove sono stati acquistati i mezzi”, che figurava accanto a una fotografia, in cui apparivano, in contiguità, la persona offesa e un soggetto indicato come inquisito.
Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite dell’Avv. COGNOME affidando le proprie censure ai motivi di seguito esposti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 Col primo motivo, si eccepisce violazione di legge, con riferimento agli artt. 57 e 595 cod. pen., nonché vizio di motivazione e travisamento di prova per avere i giudici di merito erroneamente individuato l’imputato quale responsabile della incriminata pubblicazione, valorizzando, per un verso, le dichiarazioni del teste NOME COGNOME che aveva indicato il Clemente quale direttore responsabile e trascurando, dall’altro, il contenuto del contratto di fornitura di servizi editorial cui art. 2 prevedeva che la redazione, la stesura degli articoli, la scelta pubblicazione delle fotografie fossero determinate, per l’edizione lucana, dal concessionario (Agi) nella persona di NOME COGNOME . Né vi sarebbe prova che, ai sensi dell’art. 3 del suddetto contratto, il concessionario avesse trasmess al committente tutte le pagine per la realizzazione dell’edizione del quotidiano.
Con travisamento della prova, la Corte d’appello ha affermato che il NOME fosse, all’epoca dei fatti, direttore responsabile del Roma, senza considerare che l’articolo veniva pubblicato su l’edizione locale del quotidiano. Illegittima, conseguenza, è anche la disposta condanna del Clemente alle spese e al
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risarcimento del danno, che, alla luce dell’art. 10 del citato contratto, doveva gravare su altri.
2.2 Col secondo motivo, si deduce violazione di legge, vizio di motivazione e travisamento di prova in relazione gli artt. 595 e 51 cod. pen., per la mancata considerazione della scriminante del diritto di cronaca. Alla portata non certo diffamatoria nei confronti della persona offesa e della società della frase incriminata (di cui al titolo dell’articolo: “Indagini anche sulla Consilinauto”), si aggiunge il dato -rimarcato dalla Corte stessa- dell’indicazione, quale soggetto inquisito, di persona che non coincideva col ricorrente. La motivazione è inoltre illogica, là dove valorizza l’assenza di carichi pendenti della persona offesa, senza considerare che tale dato è di per sé neutro, posto che un indagato può anche non conoscere procedimenti a suo carico poi archiviati e che su taluni procedimenti corre l’obbligo, in caso alla Procura, di non comunicazione.
2.3 Col terzo motivo, si contesta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 132, 133, 62 bis e 57, cod. pen.
Sono pervenute le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME il quale ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
Il primo motivo è manifestamente infondato, in quanto aspecifico e, quindi, non idoneo ad assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (cfr. ex plur., Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710 – 01). La difesa non si confronta con quanto osservato dalla Corte d’appello a proposito delle fonti normative rilevanti in tema di doveri di controllo che incombono sul direttore responsabile della stampa periodica. Con motivazione logica ed esente dalle dedotte censure in diritto, la Corte distrettuale ha infatti evidenziato la priorità da accordare alle fonti di rango primario, vale a dire l’art. 3, I. 8 febbraio 1948 e l’art. 57 cod. pen, rispetto a quelle negoziali valorizzate dal ricorrente, posto che, nella gerarchia delle fonti, è indiscutibile la prevalenza della legge ordinaria rispetto alle norme contrattuali.
In motivazione si è operata, inoltre, corretta applicazione dei principi giurisprudenziali, elaborati da questa Corte, in tema di diffamazione a mezzo stampa e di obblighi del direttore responsabile; in particolare, si è precisato che quest’ultimo, assumendo la paternità di ciò che viene pubblicato, si pone, ex art. 57 cod. pen., in una posizione di garanzia, in virtù dell’obbligo di controllo diretto ad impedire che, con la pubblicazione, siano commessi reati (Sez. 5, n. 42309 del 02/05/2016, Clemente, Rv. 268460 – 01; Sez. 5, n. 6112 del 14/12/2018, dep.
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2019, COGNOME, Rv. 275497 – 01. A conferma di quanto fin qui puntualizzato, Sez. 5, n. 13069 del 16/02/2021, COGNOME, Rv. 280867 – 01, ha così statuito: «in tema di diffamazione a mezzo stampa, la mera presentazione delle dimissioni dall’incarico da parte del direttore responsabile non è di per sé causa di esonero da responsabilità per l’omesso controllo della pubblicazione ai sensi dell’art 57 cod. pen., rimanendo egli investito della posizione di garanzia fino al momento in cui non si sia esaurita la procedura di aggiornamento della registrazione prevista dall’art. 6, legge 20 gennaio 1948, n. 47». Gioverà altresì ricordare quanto statuito dalla Corte costituzionale, con sent. n. 198 del 1982: «l’identificazione del responsabile nel direttore, che per tale sua funzione è, più degli altri, in grado di seguire tutta l’attività del periodico, risponde a sufficienti criteri di razionalità. Invero tale scelta, come la Corte ebbe già occasione di affermare sin dalla sentenza n. 3 del 1956, rappresenta un momento di particolare rilievo nella evoluzione della legislazione sulla stampa facendo coincidere, a differenza del regime originario, che identificava il responsabile in un soggetto estraneo al periodico, il soggetto stesso con chi del periodico “è, in effetti, la guida e l’ispiratore»).
Sono, di conseguenza, del tutto irrilevanti le ulteriori e reiterative deduzioni che il ricorrente fa discendere dall’asserita prevalenza del contratto di fornitura di servizi editoriali, cui la Corte territoriale ha replicato in maniera analitica, con argomenti logid e conformi ai principi sopra indicati.
Il secondo motivo è fondato e assorbe il terzo. Questo Collegio ritiene non adeguatamente esplicate, in motivazione, le ragioni che hanno fondato l’esclusione dell’esimente di cui all’art. 51, primo comma, cod. pen.
Va precisato che, indubbiamente, risultano condivisibili i principi giurisprudenziali, valorizzati nell’impugnata sentenza, in tema di presupposti necessari al fine dell’applicazione dell’esimente del diritto di cronaca e, segnatamente, il presupposto della verità della notizia riportata dal cronista (v., ad es., Sez. 5, n. 44024 del 04/11/2010, P.c. in proc. COGNOME e altro, Rv. 249126 – 01: «l’esercizio del diritto di cronaca ha efficacia scri minante in riguardo al fatto diffamatorio a condizione che la notizia divulgata, oltre che socialmente rilevante e descritta con continenza espressiva, sia vera, il che implica che sia riportata in modo completo»).
Il Collegio ritiene, tuttavia, che l’asserita “falsità” (v. p. 7 della sentenza impugnata) di quanto prospettato per il tramite dei titoli dell’articolo, nonché dell’accostamento delle immagini della persona offesa COGNOME e di altra persona (COGNOME), indagata per truffa e altri reati, non risulti adeguatamente chiarita in motivazione.
La Corte scrive di un “dato risultato del tutto falso, ovvero che gli inquirenti stessero svolgendo anche sulla società dell’Auleta e che questa fosse coinvolta nelle vicende per le quali il COGNOME è sotto processo”; “la falsità di quanto prospettato è riscontrata dagli accertamenti svolti dalla Procura di Potenza”.
In buona sostanza, è sulla base esclusiva di tali osservazioni che si è ritenuta “non veritiera l’attribuzione alla parte offesa di un fatto in sé pregiudizievole per la sua reputazione” (p. 7 dell’impugnata sentenza). Il riferimento, operato dalla Corte d’appello, agli “accertamenti svolti dalla Procura” avrebbe dovuto essere ulteriormente approfondito e circostanziato, al fine corroborare la motivazione e di disattendere in maniera più puntuale il motivo d’appello.
A tal proposito, può ricordarsi che, in tema di diritto di cronaca giornalistica, il criterio della verità della notizia deve essere riferito agli sviluppi di indagine ed istruttori quali risultano al momento della pubblicazione dell’articolo (Sez. 5, n. 43382 del 16/11/2010, COGNOME, Rv. 248950 – 01; si veda anche Sez. 1, n. 36244 del 08/07/2004, COGNOME, Rv. 229841 – 01, secondo cui in tema di diffamazione a mezzo stampa, nell’ambito della cronaca giudiziaria la verità della notizia non può che essere riferita agli sviluppi di indagine quali risultano al momento della pubblicazione dell’articolo, così come la verifica di fondatezza della notizia, effettuata all’epoca dell’acquisizione di essa, non può che essere aggiornata al momento diffusivo, in ragione del naturale e non affatto prevedibile percorso processuale della vicenda; diversamente, nel caso in cui il giornalista riporti una notizia tratta da un procedimento penale risalente nel tempo e sul particolare onere di verificarne gli esiti giudiziali, onde accertare se la stessa si sia poi rivelata priva di fondamento, tanto da comportare l’assoluzione dell’accusato, v. Sez. 5, n. 21703 del 05/05/2021, Vrenna, Rv. 281211 – 01).
Considerato tale principio, e visto anche che, nell’articolo di stampa in parola, si riferisce di un’indagine giudiziaria e di un “probabile” coinvolgimento, ipotizzata “dal g.i.p. COGNOME“, del personale della concessionaria Consilinauto, sarebbe stato necessario che la Corte territoriale indicasse almeno un riferimento temporale, utile a dimostrare, ad esempio, come l’imputato, pur consapevole di indagini successive rispetto al momento della pubblicazione della notizia, non si fosse preoccupato di verificarne gli esiti. In mancanza di più precise indicazioni circa le ragioni della ritenuta falsità di quanto espresso nei due titoli incriminati, il Collegio non può condividere l’affermazione di responsabilità del ricorrente per il fatto contestato. Sul punto, pertanto, la gravata sentenza va annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per un nuovo esame in tema di eventuale sussistenza dell’esimente del diritto di cronaca.
3. Per le ragioni illustrate, il Collegio annulla l’impugnata sentenza con rinvio per nuovo esame e una più puntuale motivazione in tema di eventuale sussistenza
dell’esimente del diritto di cronaca ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
Il primo motivo, come già illustrato, deve ritenersi inammissibile.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
Così deciso in Roma, il 17/04/2025
Il consigliere estensore