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Direttore responsabile e diffamazione: la Cassazione decide

Il direttore responsabile di un quotidiano è stato condannato per un articolo che insinuava il coinvolgimento di un imprenditore in un’indagine. La Cassazione, pur riaffermando l’incancellabile responsabilità penale del direttore responsabile che non può essere delegata tramite contratto, ha annullato la condanna. Il motivo è che la corte d’appello non ha adeguatamente dimostrato la falsità della notizia al momento della pubblicazione, rinviando il caso per una nuova valutazione sul diritto di cronaca.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Direttore Responsabile: Responsabilità Penale e Diritto di Cronaca

La figura del direttore responsabile di una testata giornalistica è cruciale nel bilanciamento tra libertà di stampa e tutela della reputazione individuale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato principi fondamentali su questo tema, distinguendo nettamente tra la responsabilità oggettiva del direttore e la legittimità dell’esercizio del diritto di cronaca. Analizziamo la decisione per comprendere meglio questi due aspetti.

I Fatti: Un Articolo Sotto Accusa

Il caso ha origine dalla pubblicazione di un articolo su un quotidiano locale. Il titolo in prima pagina recitava “Indagini anche sulla [Nome Concessionaria]”, seguito da un approfondimento in sesta pagina con il titolo “gli inquirenti vogliono vederci chiaro e valutano la posizione dei concessionari”. Accanto all’articolo, una fotografia mostrava il legale rappresentante della concessionaria in prossimità di un altro soggetto, indicato come inquisito per vari reati. A seguito della pubblicazione, il legale rappresentante della società sporgeva querela e il direttore responsabile del quotidiano veniva condannato in primo grado e in appello per il reato di omesso controllo (art. 57 c.p.) finalizzato a impedire la diffamazione.

La Difesa del Direttore Responsabile

In Cassazione, il direttore responsabile ha presentato diversi motivi di ricorso. Il principale argomento difensivo si basava su un contratto di fornitura di servizi editoriali. Secondo la difesa, questo contratto affidava la redazione, la stesura degli articoli e la scelta delle fotografie per l’edizione locale a una società concessionaria esterna. Di conseguenza, la responsabilità per la pubblicazione dell’articolo incriminato non sarebbe dovuta ricadere su di lui. Inoltre, l’imputato ha invocato l’esimente del diritto di cronaca, sostenendo che la notizia era di interesse pubblico e non diffamatoria.

L’Analisi della Corte di Cassazione e la Responsabilità del Direttore

La Corte di Cassazione ha diviso la sua analisi in due parti, giungendo a conclusioni opposte sui due principali motivi di ricorso. Per quanto riguarda la responsabilità del direttore responsabile, la Corte ha respinto categoricamente la tesi difensiva. Ha stabilito che le norme di legge che definiscono gli obblighi del direttore (come l’art. 57 del codice penale) sono di rango primario e non possono essere derogate da accordi contrattuali privati. Il direttore, assumendo l’incarico, accetta una posizione di garanzia che gli impone un obbligo di controllo su tutto ciò che viene pubblicato, al fine di prevenire la commissione di reati. Questa responsabilità non può essere trasferita a terzi.

Tuttavia, la Corte ha accolto il secondo motivo di ricorso, relativo all’esercizio del diritto di cronaca.

Le motivazioni

La Corte ha ritenuto che la motivazione della sentenza d’appello fosse insufficiente nel dimostrare la “falsità” della notizia pubblicata. I giudici di merito si erano limitati a sostenere che la notizia fosse falsa sulla base di non meglio precisati “accertamenti svolti dalla Procura”, senza però circostanziare questo dato. La Cassazione ha ricordato un principio fondamentale del diritto di cronaca giudiziaria: la verità di una notizia deve essere valutata in base alle informazioni disponibili al momento della pubblicazione. L’articolo parlava di un “probabile” coinvolgimento ipotizzato da un giudice, e la Corte d’Appello avrebbe dovuto specificare perché, in quel preciso momento, tale informazione dovesse considerarsi falsa. Ad esempio, avrebbe dovuto dimostrare che il giornalista o il direttore fossero a conoscenza di sviluppi successivi che scagionavano la persona offesa, ma avessero deciso ugualmente di pubblicare la notizia superata. In assenza di una motivazione chiara e dettagliata su questo punto, la condanna non poteva essere confermata.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di condanna. Il caso è stato rinviato a un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo esame. Questo nuovo giudizio dovrà concentrarsi specificamente sulla sussistenza dell’esimente del diritto di cronaca, verificando in modo approfondito e circostanziato se la notizia, al momento della sua pubblicazione, fosse veritiera o meno. La sentenza ribadisce un doppio principio: da un lato, la responsabilità del direttore responsabile è un pilastro inderogabile dell’ordinamento; dall’altro, una condanna per diffamazione a mezzo stampa richiede una prova rigorosa della falsità della notizia, non potendo basarsi su affermazioni generiche.

Un direttore responsabile può evitare la condanna per diffamazione se un contratto affida la redazione di un’edizione locale a un’altra società?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la responsabilità penale del direttore responsabile deriva da norme di legge inderogabili e prevale su qualsiasi accordo contrattuale privato. Egli mantiene una “posizione di garanzia” che gli impone un obbligo di controllo su tutti i contenuti pubblicati.

Quando una notizia tratta da un’indagine giudiziaria può essere considerata ‘vera’ ai fini del diritto di cronaca?
Secondo la sentenza, la verità della notizia deve essere riferita agli sviluppi delle indagini quali risultano al momento della pubblicazione dell’articolo. Per negare il diritto di cronaca, il giudice deve motivare in modo specifico perché l’informazione era falsa in quel preciso momento, non essendo sufficiente un generico riferimento a successivi accertamenti.

Cosa succede se la Corte di Cassazione ritiene che la motivazione di una sentenza d’appello sia insufficiente?
Se la motivazione è ritenuta carente o illogica su un punto decisivo, come in questo caso riguardo alla falsità della notizia, la Corte di Cassazione annulla la sentenza impugnata. Dispone poi un “rinvio” a un altro giudice di pari grado (un’altra sezione della Corte d’Appello) affinché riesamini il punto specifico con una motivazione più adeguata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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