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Dipendente infedele: peculato o truffa aggravata?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14019/2024, ha affrontato il caso di un dipendente infedele di un servizio postale accusato di aver sottratto ingenti somme ai clienti. La Corte ha riqualificato il reato da peculato a truffa aggravata. La distinzione cruciale risiede nel possesso del denaro: non avendone la disponibilità diretta, ma avendolo ottenuto tramite artifici e raggiri, la condotta del dipendente integra il reato di truffa e non di peculato. La sentenza sottolinea che il modo in cui si ottiene il bene è decisivo per la corretta qualificazione giuridica del fatto.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dipendente infedele: quando l’appropriazione è truffa e non peculato

Il caso del dipendente infedele che si appropria dei fondi dei clienti è una problematica che tocca delicate questioni giuridiche. La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 14019 del 2024, è intervenuta per tracciare una linea di demarcazione netta tra il reato di peculato e quello di truffa aggravata, chiarendo come la modalità di acquisizione del denaro sia l’elemento decisivo per la corretta qualificazione del reato.

I fatti di causa

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un consulente di un noto operatore di servizi postali, condannato nei primi due gradi di giudizio per essersi appropriato di circa 209.000 euro appartenenti a diversi clienti. L’imputato, sfruttando la sua posizione e la fiducia dei risparmiatori, aveva posto in essere un complesso schema fraudolento. In particolare, aveva formato false richieste di rimborso anticipato di buoni fruttiferi dematerializzati, apponendo firme false degli intestatari. Successivamente, emetteva assegni postali, apparentemente a nome dei titolari dei buoni, ma in realtà intestati a soggetti terzi ignari, per poi monetizzarli a proprio vantaggio. A ciò si aggiungeva l’attivazione illecita di una carta di debito a nome di un cliente, sostituendosi illegittimamente a lui.

La questione giuridica del dipendente infedele: peculato o truffa?

La difesa dell’imputato ha incentrato il ricorso su un punto fondamentale: l’errata qualificazione giuridica del fatto come peculato. Per configurare il peculato (art. 314 c.p.), è necessario che il soggetto agente, pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio, abbia già il possesso o la disponibilità del denaro o del bene per ragioni del suo ufficio. La difesa sosteneva che il dipendente non avesse tale possesso, ma se lo fosse procurato con l’inganno. Di conseguenza, il reato corretto sarebbe quello di truffa aggravata (art. 640 c.p.), che si realizza quando il possesso del bene viene conseguito mediante “artifici o raggiri”.

La questione era ulteriormente complicata dal dibattito sulla qualifica dell’impiegato addetto ai servizi finanziari postali come “incaricato di pubblico servizio”, presupposto indispensabile per il reato di peculato.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il motivo di ricorso, ritenendo che la condotta del dipendente infedele dovesse essere riqualificata come truffa aggravata dall’abuso di prestazione d’opera. Il Collegio ha saggiamente evitato di addentrarsi nella complessa questione della qualifica pubblicistica dell’impiegato, concentrandosi invece sull’elemento dirimente: le modalità di acquisizione del possesso del denaro.

I giudici hanno chiarito che l’elemento distintivo tra peculato e truffa aggravata risiede proprio nel possesso. Si ha peculato quando l’agente ha già la disponibilità del bene e se ne appropria; si ha truffa, invece, quando l’agente, non avendo il possesso, se lo procura fraudolentemente.

Nel caso di specie, l’imputato non aveva la disponibilità giuridica o materiale delle somme depositate sui buoni fruttiferi. Egli aveva solo “contezza” della documentazione finanziaria dei clienti. Per impossessarsi del denaro, ha dovuto porre in essere una serie di atti fraudolenti: la creazione di false richieste di rimborso, l’apposizione di firme apocrife e l’emissione di assegni a terzi. È stata questa catena di inganni a consentirgli di ottenere la disponibilità delle somme. Questa condotta decettiva è la quintessenza del reato di truffa.

La Corte ha inoltre rigettato gli altri motivi di ricorso, confermando la condanna per il reato di sostituzione di persona e ritenendo corretta la mancata concessione delle attenuanti generiche, data la gravità e la pluralità dei fatti commessi.

Conclusioni

La sentenza in esame stabilisce un principio di diritto chiaro e di grande rilevanza pratica. Per distinguere tra peculato e truffa nel caso di un dipendente infedele, occorre analizzare se questi avesse già il possesso del bene sottratto in virtù del suo ruolo, o se abbia dovuto ricorrere a un’attività ingannatoria per ottenerlo. Se il possesso è preesistente, si tratta di peculato. Se, come nel caso di specie, il possesso è il risultato finale di un’azione fraudolenta, il reato è quello di truffa aggravata.

Questa riqualificazione non è una mera questione nominalistica, ma ha conseguenze concrete sulla determinazione della pena e sull’applicazione delle pene accessorie. La Corte ha quindi annullato la sentenza impugnata, rinviando gli atti a un’altra sezione della Corte d’Appello per la rideterminazione della pena in base alla nuova e corretta qualificazione giuridica dei fatti.

Un dipendente di un servizio postale che si appropria dei soldi dei clienti commette peculato o truffa?
Secondo questa sentenza, commette truffa aggravata se, per ottenere il possesso del denaro, deve compiere atti fraudolenti come creare false richieste di rimborso. Il peculato si configurerebbe solo se avesse già la disponibilità del denaro in ragione del suo servizio.

Perché la Corte di Cassazione ha cambiato la qualificazione del reato da peculato a truffa?
La Corte ha ritenuto decisiva la modalità con cui l’imputato si è procurato il denaro. Non avendone già il possesso, ma dovendo ottenerlo tramite artifici e raggiri (false firme, richieste di rimborso fittizie), la sua condotta integra gli elementi della truffa e non del peculato.

Il reato di sostituzione di persona può essere assorbito da quello di falso in scrittura privata?
No. La sentenza chiarisce che, da quando il reato di falso in scrittura privata è stato abrogato e trasformato in un illecito civile, non può più esserci un assorbimento, poiché manca il presupposto di due fattispecie penali concorrenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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