Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 24347 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 24347 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 14/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato il 27/01/1967 a Biancavilla avverso l’ordinanza del 07/01/2025 del Tribunale di Catania, sezione per il
riesame.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME in sostituzione degli Avv.ti COGNOME NOME e NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Catania, sezione per il riesame, con l’ordinanza in epigrafe ha parzialmente annullato, limitatamente al reato di estorsione di cui al capo 8),
il provvedimento coercitivo emesso il 9 dicembre 2024 dal Giudice per le indagini preliminari, confermando viceversa la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME, indagato per i delitti di promozione e direzione del clan mafioso “COGNOME” di Adrano – articolazione della famiglia COGNOME di Catania – ex art. 416-bis cod. pen. (capo 1), finalizzato alla consumazione di estorsioni in danno degli esercizi commerciali della zona e al commercio di sostanze stupefacenti, nonché per il reato di spaccio di stupefacenti aggravato ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen. (capo 18).
Il Tribunale disattendeva GLYPH innanzitutto GLYPH l’eccezione di GLYPH nullità GLYPH del provvedimento coercitivo per l’asserito, ingiustificato differimento del colloquio con il difensore (siccome adeguatamente motivato con riferimento alle specifiche ed eccezionali ragioni di cautela derivanti dalla gravità dei delitti contestati e dal contesto mafioso, con il connesso rischio dì precostituzione di una comune strategia difensiva). Quindi, circa il ruolo sovraordinato dell’indagato di vertice organizzativo dell’associazione mafiosa di Adrano e lo spaccio organizzato di cocaina e marijuana, valorizzava la prova cautelare costituita prevalentemente dagli inequivoci contenuti delle plurime conversazioni telefoniche e ambientali intercettate, riportate ampiamente in motivazione, dalle connesse operazioni investigative e dalle riprese videofilmate dei contatti fra i sodali, dagli eseguit sequestri di stupefacenti, infine dalle concordi propalazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, che aveva rivestito un ruolo apicale nel sodalizio mafioso di Adrano.
Circa le esigenze cautelari, il Tribunale giustificava l’applicazione della misura coercitiva in forza del doppio regime presuntivo di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., quanto alla sussistenza delle stesse e all’adeguatezza esclusiva della misura applicata, che non era superata da altri e diversi elementi da cui dedurre l’idoneità di misure meno gravose a fronte del concreto e attuale pericolo di recidivanza.
Ha proposto ricorso per cassazione la difesa dell’indagato, ribadendo innanzitutto l’eccezione di nullità dell’interrogatorio di garanzia e de provvedimento coercitivo per l’ingiustificato differimento del colloquio dell’indagato col difensore ex art. 104, comma 3, cod. proc. pen., attesa l’insussistenza di specifiche ed eccezionali ragioni di cautela.
Il ricorrente ha poi denunziato la violazione di legge e il vizio di motivazione con riguardo all’inadeguatezza del quadro indiziario per il delitto di spaccio di sostanze stupefacenti di cui al capo 18), che a suo avviso non emergerebbe neppure dal tenore delle conversazioni captate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso, in rito, si palesa inammissibile perché manifestamente infondato.
L’interdizione dei colloqui della persona sottoposta a custodia cautelare con il difensore, se illegittimamente disposta dal pubblico ministero, determina una violazione del diritto all’assistenza difensiva e, quindi, una nullità a regime intermedio suscettibile di estendersi agli atti successivi che ne dipendono e, in particolare, all’interrogatorio di garanzia, a norma dell’art. 185, comma primo, cod. proc. pen. E però, il Tribunale di Catania, in funzione di giudice del riesame, ha puntualmente indicato le ragioni che avevano giustificato il differimento dei colloqui fra l’indagato e il suo difensore, ravvisate nella ragionevole esigenza di evitare che i diversi indiziati assoggettati alla misura potessero elaborare una comune strategia difensiva, in tal modo ostacolando la prosecuzione delle indagini ancora in corso con riguardo peraltro a un’associazione di stampo mafioso.
Tale apparato argomentativo appare coerente, in linea di diritto, con la costante giurisprudenza di legittimità (da ultimo, Sez. 3, n. 30196 del 08/03/2018, COGNOME, Rv. 273756; Sez. 2, n. 44902 del 30/09/2014, COGNOME, Rv. 260875; Sez. 6, n. 2941 del 21/10/2009, dep. 2010, Siracusa, Rv. 245806) e, dato il contenuto ampiamente discrezionale della valutazione richiesta, essa, laddove non sia manifestamente illogica ovvero in aperto contrasto con la pertinente normativa, non è sindacabile mediante ricorso per cassazione.
Parimenti inammissibile si palesa il secondo motivo di ricorso in punto di gravità del quadro indiziario per il delitto di spaccio di sostanze stupefacenti di cui al capo 18), siccome sprovvisto del requisito di specificità e avanzato per motivi non consentiti.
In linea di fatto, appare invero evidente l’assoluta genericità della doglianza difensiva, che attingendo al merito della decisione impugnata non ne contesta affatto e neppure si misura con l’ampio e convincente apparato argomentativo che la sorregge, laddove la prova cautelare è desunta motivatamente dagli inequivoci contenuti delle plurime conversazioni captate e dalle operazioni investigative, di video sorveglianza e di sequestro di stupefacenti eseguite dalla polizia giudiziaria, in merito alla sistematica attività di commercio di sostanze stupefacenti da immettere nel mercato territoriale di competenza del clan mafioso.
3. Alla stregua delle suesposte considerazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma ritenuta equa di tremila euro alla Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
1-ter, disp.
att. cod. proc. pen.
Così deciso il 14/05/2025