Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22170 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22170 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
SCRIVO COGNOME nato a SIDERNO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/10/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
•-,
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME, ritenuto che il primo ed il secondo motivo di ricorso, con cui si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancanza dell’elemento oggettivo del delitto di truffa ed alla mancata riqualificazione del fatto nel reato di cui all’art. 641 cod. pen. sono aspecifici in quanto meramente reiterativi di censure, già adeguatamente vagliate e disattese dalla Corte territoriale che ha escluso, con motivazione priva di illogicità e coerente con le risultanze istruttorie, le criticità ricostruttive evidenziate con l’atto di appello. I giudici di appello, co motivazione esaustiva e conforme alle risultanze processuali, che riprende le argomentazioni del giudice di primo grado come è fisiologico in presenza di una doppia conforme, hanno indicato la pluralità di elementi idonei a dimostrare la penale responsabilità del ricorrente in ordine al reato di truffa in quanto la condotta rubricata è connotata dalla predisposizione di artifici e raggiri idonei a trarre in inganno la persona offesa (vedi pagg. 5/6/7 della sentenza impugnata). La Corte d’appello, peraltro, ha fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo cui il delitto di truffa si distingue da quello di insolvenza fraudolenta perché nel primo caso la frode è attuata mediante simulazione di circostanze e di condizioni non vere, artificiosamente create per indurre altri in errore, mentre nell’insolvenza fraudolenta la frode è attuata con la dissimulazione del reale stato di insolvenza dell’agente (Sez. 5, n. 44659 del 21/10/2021, Rv. 282174-01);
considerato che il terzo motivo di impugnazione, con cui si lamenta la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche nonché l’eccessività del trattamento sanzionatorio, non è consentito in sede di legittimità in quanto mira ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione, sorretta da sufficiente motivazione, non è stata frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (vedi Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142 e Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro ed altro, Rv. 271243);
rilevato che la Corte territoriale ha correttamente disatteso il riconoscimento delle attenuanti generiche in considerazione della mancanza di elementi favorevoli ad una mitigazione della pena (pag. 13 della sentenza impugnata); questo Collegio condivide, infatti, il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità secondo cui è sufficiente un congruo riferimento all’assenza di elementi di segno positivo (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02 e Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281590);
rilevato, inoltre, che deve essere ribadito il principio di diritto secondo cui la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, nell’osservanza dei criteri stabiliti dagli artt. 133 e 133-bis cod. pen., è sufficiente che richiami la gravità del reato o
la capacità a delinquere dell’imputato con espressioni del tipo: «pena congrua», «pena equa» o «congruo aumento», essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena, diversamente dal caso di specie, sia di gran lunga superiore alla misura media edittale (cfr. Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243-01);
osservato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla somma di euro tremila alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 aprile 2024
Il Pres ente