Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1797 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1797 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/12/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE presso la CORTE DI APPELLO DI FIRENZE nel procedimento a carico di:
COGNOME nato il 25/05/1995 a FIRENZE (CUI 04TEMR)
avverso la sentenza in data 23/04/2024 della CORTE DI APPELLO DI FIRENZE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostitu Procuratore generale COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
letta la nota fatta pervenire dall’Avvocato NOME COGNOME che, nell’interesse di COGNOME, ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Firenze impugna la sentenza in data 23/04/2024 della Corte di appello di Firenze, che -decidendo sugl appelli proposti dal Procuratore della Repubblica e dall’imputato- ha confermato la sentenza in data 18/01/2023 del Gup del Tribunale di Firenze, che aveva
condannato COGNOME NOME per il reato contestato al capo A), riqualificato quale truffa aggravata e lo aveva assolto per il tentativo di truffa contestato al capo B).
Deduce:
Violazione di legge in relazione all’art. 629 cod. pen. per la qualificazione del capo A) quale truffa.
Il ricorrente sostiene che il fatto andava più correttamente qualificato quale estorsione e non quale truffa vessatoria.
A tale proposito osserva che la persona offesa pagava la somma richiesta da COGNOME «non perché credeva, erroneamente, di essere responsabile di un danno cagionato allo scooter dell’indagato, ma perché era impaurita, avendo l’uomo minacciato di denunciare lesioni al braccio, in realtà inesistenti, cagionatogli dalla donna».
Rimarca, dunque, come in tale condotta siano evincibili tutti gli elementi costitutivi dell’estorsione, visto che la richiesta di denaro era accompagnata dalla minaccia di chiamare le forze dell’ordine ove non fosse stata corrisposta la somma richiesta, non dovuta.
Aggiunge che non si può ricondurre la fattispecie all’ipotesi in cui taluno minacci di far valere le proprie pretese per le vie legali, giacché, a tal fine, è necessario che la possibilità di adire il giudice sia dotata della concretezza e non deve essere il frutto di una mera opinione soggettiva, tanto più quando -come nel caso in esamesia sostanzialmente minacciata la possibilità di calunniare la vittima del reato.
Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di esclusione della recidiva.
A tale riguardo il pubblico ministero ricorrente premette che la Corte di appello ha confermato l’esclusione della recidiva in ragione della “risalenza dei fatti preg ressi”.
Secondo il ricorrente la Corte di appello ha omesso di considerare il secondo motivo di appello, con il quale venivano segnalati i numerosi procedimenti penali pendenti a carico di Bruzzese, così come annotati nel SICP, che dimostrano l’esistenza di una significativa prosecuzione di un percorso delinquenziale già avviato, tale da dimostrare come il fatto per cui viene giudicato costituisca sintomo di una maggiore pericolosità.
Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche per il pagamento della somma di cinquecento euro in favore della persona offesa.
Secondo il ricorrente il pagamento di detta somma non era idoneo a giustificare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, attesa la sua irrisorietà; aggiunge che i giudici non hanno considerato che quel pagamento non
comprendeva il danno morale e, comunque, era strumentale al riconoscimento del beneficio, così risultando accompagnato da intenti utilitaristici che hanno valenza negativa e, dunque, ostativa al riconoscimento delle attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è fondato.
1.1. La sentenza di primo grado e la Corte di appello riportano i contenuti della querela esposta da COGNOME Sofia, la quale, ha raccontato che stava guidando la sua autovettura quando con lo specchietto retrovisore notava un uomo -poi identificato in Bruzzese- che le faceva segno di fermarsi, così che -in effetti- si fermava sul lato destro della carreggiata. L’uomo, quindi, le si avvicinava e le faceva notare che lo aveva investito sorpassandolo con la sua autovettura mentre era alla guida del suo scooter. A dimostrazione dell’evento, le faceva notare dei graffi sull’autovettura e i danni riportati dallo scooter.
Si legge a questo punto nella querela riportata nella sentenza: «il conducente dello scooter le avrebbe detto di essere carrozziere e che sapeva valutare sul posto il danno arrecato al suo mezzo, che ammontava a circa 500 euro. Inoltre, lo stesso, mostrando un tutore sul braccio sx, riferiva che avrebbe denunciato la COGNOME per lesioni e le avrebbe fatto togliere la patente se quest’ultima avesse avuto l’intenzione di chiamare le forze dell’ordine e non di risolvere direttamente sul posto». La donna, quindi, intimorita, pagava la somma richiesta.
1.2. Così ricostruito il fatto, sulla base di quanto narrato dalla vittima sulla querela integralmente riportata sia nella sentenza di primo grado che in quella d’appello, dove pure si riconosceva che l’incidente era stato simulato dall’agente, i giudici hanno ritenuto che la fattispecie versasse nel paradigma della truffa c.d. vessatoria, perché la minaccia di denunciare la donna per lesioni ovvero di farle ritirare la patente non erano diretta conseguenza dell’agire dell’imputato, necessitando di un successivo accertamento giudiziale quanto alla sussistenza del reato, ovvero di un accertamento amministrativo, quanto al ritiro della patente.
1.3. A fronte di ciò, il pubblico ministero ricorrente ha evidenziato che COGNOME non aveva patito alcuna lesione nel (falso) incidente in questione, visto che mostrava alla donna un tutore al braccio che -evidentemente- era stato apposto per lesioni preesistenti e non era stato provocato dall’odierna persona offesa.
Il fatto che COGNOME chiedesse la somma di denaro prospettando la denuncia per un reato inesistente nei confronti di una persona che sapeva essere innocente, evidenzia come la sua pretesa economica fosse ingiusta, in quanto accompagnata dalla minaccia di calunniare la donna nel caso di mancato pagamento della somma richiesta, ancorché consapevolmente non dovuta e sulla base di un fatto inesistente.
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A fronte di tale evenienza, la giurisprudenza di legittimità ha più volte avuto modo di precisare che integra il reato di estorsione la pretesa azionata in giudizio per scopi eccentrici rispetto a quelli per i quali il diritto è riconosciuto o tutelato, comunque non dovuti nell’an o nel quantum, onde conseguire un profitto contra ius.
In altri termini, integra gli estremi del reato di estorsione la minaccia di prospettare azioni giudiziarie al fine di ottenere somme di denaro non dovute o manifestamente sproporzionate rispetto a quelle dovute, qualora l’agente ne sia consapevole, potendosi individuare il male ingiusto ai fini dell’integrazione del più grave delitto nella pretestuosità della richiesta (Sez. 2, n. 19680 del 12/4/2022, COGNOME, Rv. 283199 – 02; Sezione 6, n. 47895 del 19/6/2014, Vasta, Rv. 261217 01).
Da ciò discende che il pubblico ministero ricorrente ha fondatamente dedotto che il fatto in esame andava più correttamente qualificato quale estorsione, in quanto COGNOME pretendeva una somma non dovuta, ottenuta dietro la minaccia di un male ingiusto, costituito dalla prospettiva di calunniarla ove non avesse pagato.
Va evidenziato che l’estorsione è aggravata dall’approfittamento della minorata difesa, ai sensi dell’art. 61, comma primo, n. 5, cod. pen..
Tale aggravante, invero, era già stata riconosciuta dal tribunale e l’imputato aveva proposto appello sul punto, con specifico motivo di gravame disatteso dalla Corte di appello.
Tale punto della sentenza di appello non è stato impugnato con ricorso per cassazione, con la conseguenza che la relativa statuizione ha acquisito la forza del giudicato in relazione alla sussistenza di tale aggravante.
Va, dunque, concluso che il fatto contestato all’imputato va riqualificato ai sensi degli artt. 629 e 61, comma primo, n. 5, cod. pen., con conseguente annullamento della sentenza impugnata sul punto.
2. Anche il secondo motivo di ricorso è fondato.
La Corte di appello e il giudice di primo grado hanno escluso la recidiva osservando come le precedenti condanne riportate da COGNOME fossero risalenti al 2018, in quanto riportate con una sentenza della Corte di appello di Bologna, irrevocabile il 26.10.2018 (per una truffa commessa lo stesso anno) e con una sentenza del Tribunale di Firenze, irrevocabile il 19.09.2017 (per una truffa commessa nel 2013).
Il pubblico ministero, però, con l’atto di appello aveva evidenziato che COGNOME aveva riportato un’altra condanna, con sentenza del Tribunale di Firenze del 2022, per truffe commesse da maggio a luglio 2019 e, quindi, ben più recenti di quelle prese in considerazione dai giudici di merito per ritenere la risalenza nel tempo dei precedenti penali dell’imputato.
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Tale dato oggettivo non è stato preso in considerazione dalla Corte di appello, la cui motivazione, perciò, si fonda su di una situazione processuale che non trova rispondenza in atti e che, perciò, merita anche per questa ragione l’annullamento sollecitato con il ricorso, con rinvio per nuovo giudizio circa la sussistenza della recidiva.
Il terzo motivo di ricorso risulta assorbito, in quanto la rivalutazione delle circostanze attenuanti generiche viene condizionato dalla riqualificazione giuridica del fatto e dall’esito del nuovo giudizio sulla sussistenza della recidiva.
La sentenza impugnata, dunque, previa qualificazione del fatto quale estorsione aggravata dall’approfittamento delle condizioni di minorata difesadella vittima, va annullata con rinvio a diversa sezione della Corte di appello di Firenze per nuovo giudizio in punto di trattamento sanzionatorio.
P.Q.M.
Qualificato il fatto ex artt. 629 e 61, comma primo, n. 5, cod. pen., annulla la sentenza impugnata con rinvio per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.
Così è deciso, 17 dicembre 2024