Differenza tra Sequestro di Persona e Violenza Privata: L’Analisi della Cassazione
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su temi cruciali del diritto penale, delineando con chiarezza la differenza tra sequestro di persona e violenza privata. La decisione, che ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, offre spunti fondamentali per comprendere i confini tra diverse fattispecie di reato contro la libertà personale e il patrimonio.
I Fatti del Caso
Il ricorrente si era rivolto alla Suprema Corte dopo una condanna in appello per reati gravi: sequestro di persona, rapina aggravata e lesioni personali. I motivi del ricorso erano molteplici e miravano a una riqualificazione dei reati contestati. In particolare, la difesa sosteneva che i fatti dovessero essere inquadrati non come sequestro e rapina, ma come violenza privata ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Inoltre, venivano contestate la procedibilità d’ufficio del reato di lesioni e la mancata concessione dei lavori di pubblica utilità.
La differenza tra sequestro e violenza privata secondo la Corte
Il punto centrale dell’ordinanza riguarda la netta distinzione tra il delitto di sequestro di persona (art. 605 c.p.) e quello di violenza privata (art. 610 c.p.). La Corte di Cassazione, confermando la decisione dei giudici di merito, ha ribadito un principio di diritto consolidato:
* Sequestro di persona: Questo reato si configura quando viene lesa la libertà di movimento della persona offesa. L’elemento caratterizzante è la privazione della libertà fisica di spostarsi da un luogo all’altro.
* Violenza privata: In questo caso, ad essere lesa è esclusivamente la libertà psichica di autodeterminazione. La vittima viene costretta, con violenza o minaccia, a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la sua volontà, ma non viene privata della sua libertà di locomozione.
Nel caso di specie, i giudici hanno ritenuto che fosse stata comprovata la lesione della libertà di movimento della vittima, integrando così gli estremi del più grave reato di sequestro di persona.
Le Altre Questioni: Rapina, Lesioni e Lavori di Pubblica Utilità
L’ordinanza ha esaminato anche gli altri motivi di ricorso, ritenendoli tutti manifestamente infondati.
L’ingiusto profitto nella rapina
Per quanto riguarda la condanna per rapina aggravata del telefono della persona offesa, la Corte ha sottolineato che il concetto di “ingiusto profitto” (art. 628 c.p.) non è limitato a un vantaggio puramente economico. Esso può consistere in qualsiasi soddisfazione o godimento, anche non patrimoniale, che l’agente si prefigge di ottenere attraverso la sottrazione violenta della cosa mobile altrui.
La procedibilità d’ufficio per le lesioni aggravate
La Corte ha confermato la correttezza della procedibilità d’ufficio per il reato di lesioni. Tale scelta era giustificata dalla sussistenza dell’aggravante delle persone riunite (prevista dall’art. 585 c.p.), che rende l’azione penale obbligatoria da parte dello Stato, a prescindere dalla volontà della persona offesa di sporgere querela.
Il diniego dei lavori di pubblica utilità
Infine, è stata rigettata anche la doglianza relativa alla mancata concessione dei lavori di pubblica utilità (art. 168-bis c.p.). La Corte territoriale aveva correttamente negato tale beneficio in quanto la sua applicazione è esclusa per reati gravi come la rapina aggravata.
Le motivazioni della Decisione della Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché manifestamente infondato. I giudici di legittimità hanno evidenziato come la Corte d’Appello avesse fornito una motivazione coerente, logica e in linea con i principi di diritto e le risultanze processuali. Il ricorso, al contrario, si traduceva in una richiesta di rilettura dei fatti, un’operazione preclusa in sede di legittimità. In presenza di una “doppia conforme” (sentenza di primo grado confermata in appello), le motivazioni delle due sentenze si integrano, e l’imputato ha l’onere di confrontarsi specificamente con entrambe, cosa che nel caso di specie non è avvenuta in modo efficace.
Conclusioni
Questa ordinanza riafferma principi giuridici di fondamentale importanza. In primo luogo, consolida la distinzione tra sequestro di persona e violenza privata, legandola al bene giuridico tutelato: la libertà di movimento nel primo caso, la libertà di autodeterminazione psichica nel secondo. In secondo luogo, offre una visione ampia del concetto di “profitto” nel reato di rapina, estendendolo a qualsiasi utilità, anche non economica. Infine, ricorda come la presenza di determinate aggravanti, come quella delle persone riunite, incida sulla procedibilità del reato, rendendola d’ufficio. La decisione sottolinea l’impossibilità di trasformare il giudizio di Cassazione in un terzo grado di merito, ribadendo il suo ruolo di garante della corretta applicazione della legge.
Qual è la differenza sostanziale tra il reato di sequestro di persona e quello di violenza privata?
Secondo la Corte, il delitto di sequestro di persona lede la libertà di movimento fisico della vittima, mentre il delitto di violenza privata lede esclusivamente la libertà psichica di autodeterminazione del soggetto passivo.
L’ingiusto profitto nel reato di rapina deve essere necessariamente di natura economica?
No, la Corte ha ribadito che l’ingiusto profitto può consistere in qualsiasi soddisfazione o godimento che l’agente si riprometta di trarre dall’azione, anche non immediatamente e non di natura patrimoniale, a condizione che si impossessi della cosa altrui con violenza o minaccia.
Perché il reato di lesioni è stato considerato procedibile d’ufficio in questo caso?
Il reato di lesioni è stato ritenuto procedibile d’ufficio perché è stata riconosciuta l’aggravante delle persone riunite, prevista dall’articolo 585 del codice penale, che rende superflua la querela della persona offesa.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7876 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 7876 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 14/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MEZZOLOMBARDO il 08/02/1983
avverso la sentenza del 21/02/2024 della CORTE APPELLO di TRENTO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di lob NOME;
rilevato che il primo ed il secondo motivo di impugnazione, con cui il ricorrente lamenta erronea applicazione degli artt. 605, 628, 610 e 393 cod. pen. nonché vizio di motivazione in ordine alla mancata riqualificazione dei reati di sequestro di persona e rapina nei reati di violenza privata ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni, sono manifestamente infondati;
che la Corte di merito, con motivazione coerente con le risultanze istruttorie, ha correttamente esplicitato le ragioni della penale responsabilità del ricorrente in ordine al reato di sequestro di persona, a seguito di una valutazione degli elementi probatori che appare rispettosa dei canoni di logica e dei principi di diritto in tema di sequestro di persona (vedi pag. 10 e 11 della sentenza impugnata in ordine alla comprovata lesione della libertà di locomozione della persona offesa). I giudici di appello hanno correttamente dato seguito al principio di diritto secondo cui il delitto di sequestro di persona si differenzia dal delitto di violenza privata perché in esso viene lesa la viene lesa la libertà di movimento della persona offesa, mentre nella violenza privata viene lesa esclusivamente la libertà psichica di autodeterminazione del soggetto passivo (vedi Sez. 5, n. 44548 del 08/05/2015, T., Rv. 264685 – 01);
che il ricorrente, invocando una rilettura di elementi probatori estranea al sindacato di legittimità, chiede a questa Corte di entrare nella valutazione dei fatti e di privilegiare, tra le diverse ricostruzioni, quella a lui più gradita, senza confrontarsi con quanto motivato dalla Corte territoriale al fine di confutare le censure difensive prospettate in sede di appello e con le emergenze probatorie determinanti per la formazione del convincimento dei giudici di merito;
che i giudici di appello, con motivazione esaustiva e conforme alle risultanze processuali, che riprende le argomentazioni del giudice di primo grado come è fisiologico in presenza di una doppia conforme, hanno indicato la pluralità di elementi logico-giuridici idonei a dimostrare la penale responsabilità del ricorrente in ordine al reato di rapina aggravata del telefono di proprietà della persona offesa (vedi pagg. 11 e 12 della sentenza impugnata). La Corte territoriale ha, pertanto, fatto corretto uso del principio di diritto secondo cui l’ingiusto profitto del reato d rapina può consistere in qualsiasi soddisfazione o godimento che l’agente si riprometta di trarre, anche non immediatamente, dalla propria azione, a condizione che la condotta sia attuata impossessandosi con violenza o minaccia della cosa mobile altrui e sottraendola a chi la detiene (vedi Sez. 2, n. 28389 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 270180 – 01; Sez. 2, n. 23177 del 16/04/2019, COGNOME, Rv. 276104-01; Sez. 2, n. 37861 del 09/06/2023, COGNOME, Rv. 285190 – 01).
rilevato che il terzo motivo di impugnazione, con cui il ricorrente lamenta erronea applicazione degli artt. 582 e 585 cod. pen. nonché vizio di motivazione in ordine alla ritenuta procedibilità di ufficio del reato di lesioni, è manifestamente infondato. La Corte di merito ha, in proposito, correttamente affermato che il reato di lesioni è procedibile di ufficio laddove, come nel caso di specie, sia ritenuta sussistente l’aggravante delle persone riunite prevista dall’art. 585 cod. pen.
rilevato che il quarto motivo di impugnazione, con cui il ricorrente lamenta erronea applicazione dell’art. 168-bis, comma primo, cod. pen. nonché vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione dei lavori di pubblica utilità, è manifestamente infondato. La Corte territoriale, con motivazione esente da illogicità manifeste, ha rigettato la richiesta difensiva in considerazione della ritenuta sussistenza del reato di rapina aggravata e della conseguente inapplicabilità dell’art. 168-bis, comma primo, cod. pen. (vedi pag. 13 della sentenza impugnata);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 14 gennaio 2025
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