La Differenza tra Estorsione e Truffa: L’Analisi della Cassazione
Capire la differenza estorsione truffa è fondamentale nel diritto penale, poiché definisce i confini tra due reati che, pur avendo elementi in comune, tutelano beni giuridici diversi e prevedono conseguenze differenti. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito con forza il criterio distintivo basato sull’effetto coercitivo della condotta dell’agente, dichiarando inammissibile il ricorso di un imputato che chiedeva la riqualificazione del reato da estorsione a truffa.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello che aveva confermato la condanna di un individuo per il reato di estorsione, previsto dall’art. 629 del codice penale. L’imputato, attraverso il suo difensore, sosteneva che i fatti dovessero essere ricondotti alla fattispecie di truffa (art. 640 c.p.), contestando l’erronea applicazione della legge penale da parte dei giudici di merito.
La Decisione della Corte e la differenza estorsione truffa
La Corte di Cassazione ha rigettato la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto il motivo di ricorso generico e non specifico, in quanto si limitava a riproporre censure già adeguatamente esaminate e respinte nei precedenti gradi di giudizio. La Corte ha confermato la correttezza della qualificazione giuridica operata dalla Corte d’Appello, che aveva correttamente individuato gli elementi costitutivi dell’estorsione.
Il Criterio dell’Effetto Coercitivo
Il punto focale della decisione, che chiarisce in modo netto la differenza estorsione truffa, risiede nel cosiddetto ‘discrimen’ tra le due fattispecie. La Corte sottolinea che l’elemento decisivo è l’effetto coercitivo della condotta sulla vittima. Nel caso dell’estorsione, la vittima è minacciata di un ‘male certo e concreto’. Questa minaccia non si limita a indurre in errore, come nella truffa, ma coarta la volontà della persona offesa, ponendola di fronte a un’alternativa ineluttabile: subire il male minacciato oppure accettare la richiesta ingiusta per ottenere un profitto.
Le Motivazioni
Nelle motivazioni, la Cassazione ha evidenziato come la Corte territoriale avesse già motivato in modo adeguato sulla corretta qualificazione del fatto. La condotta estorsiva dell’imputato e la sua incidenza sulla sfera volitiva della vittima erano state provate. La minaccia non era un semplice artificio per ingannare, ma un vero e proprio atto di costrizione che annullava la libertà di autodeterminazione della vittima. Questo effetto coercitivo, che si manifesta come un’alternativa inevitabile tra il danno minacciato e il profitto ingiusto per l’agente, è stato identificato come il criterio discretivo fondamentale, in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimità.
Le Conclusioni
L’ordinanza riafferma un principio cardine del diritto penale: la linea di demarcazione tra estorsione e truffa è netta e si basa sulla modalità con cui viene aggredito il patrimonio della vittima. Mentre la truffa agisce sulla volontà viziata dall’inganno, l’estorsione agisce sulla volontà coartata dalla minaccia. La decisione della Corte serve come un importante promemoria per gli operatori del diritto: quando la condotta criminale annulla la libertà di scelta della vittima attraverso la prospettazione di un male concreto, il reato da contestare è quello, più grave, di estorsione.
Qual è il criterio principale per distinguere il reato di estorsione da quello di truffa secondo questa ordinanza?
Il criterio principale è l’effetto coercitivo della condotta. Nell’estorsione, la vittima è soggetta alla minaccia di un male certo e concreto che la costringe ad agire contro la sua volontà, ponendola di fronte a un’alternativa ineluttabile tra subire il danno o cedere alla richiesta ingiusta.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto generico e privo di specificità. Esso si limitava a riproporre argomenti già correttamente valutati e respinti dalla corte di merito, la quale aveva fornito una motivazione giuridicamente corretta per la qualificazione del fatto come estorsione.
Cosa significa che la minaccia pone la vittima di fronte a un'”ineluttabile alternativa”?
Significa che la minaccia è talmente pressante da far percepire alla vittima di avere solo due scelte possibili: subire il male specifico che le viene prospettato oppure cedere alla richiesta ingiusta del reo. Questa assenza di una reale libertà di scelta è ciò che caratterizza la costrizione tipica dell’estorsione, a differenza dell’induzione in errore della truffa.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 184 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 184 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MARATEA il 29/04/1988
avverso la sentenza del 07/05/2024 della CORTE APPELLO di GENOVA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso, che contesta l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 629 comma primo e 640 comma secondo n. 2 cod. pen., è generico e privo di specificità perché meramente riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dai giudici di merito (si veda, in particolare, pag. 5 della sentenza impugnata, ove la Corte territoriale ha adeguatamente motivato in ordine alla corretta qualificazione giuridica dei fatti di cui al capo b) dell’imputazione ai sensi dell’art. 629 cod. pen., correttamente evidenziando il discrimen tra le due fattispecie: difatti, la condotta estorsiva dell’imputato e l’incidenza della stessa nella sfera vittima – minacciata di un male certo e concreto, il cui effetto coercitivo, posto come ineluttabile alternativa del profitto ingiusto o del male minacciato deve intendersi come utile criterio discretivo tra le due fattispecie, in ossequio a consolidata giurisprudenza di legittimità sul punto);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 03/12/2024
Il Consigliere stense e