Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 696 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 696 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/12/2023
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a Manduria il 16/12/1967 COGNOME NOME nato a Manduria il 1/3/1975 COGNOME NOME nato a Manduria il 27/3/1964 avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce in data 26/10/2022 visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; preso atto che i ricorrenti sono stati ammessi alla richiesta trattazione orale in presenza; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria con la quale il Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha chiesto l’inammissibilità dei ricorsi udita la discussione dell’avv. NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo
l’accoglimento dei ricorsi
RITENUTO :IEN FATTO
1.La Corte di appello di Lecce con la sentenza indicata in epigrafe ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, emessa in data 15/6/2016 dal Tribunale di Lecce, rideterminando la pena (che ha ridotto)con conferma, nel resto, della sentenza di primo grado.
Entrambi i giudici di merito hanno ritenuto provata la penale responsabilità degli odierni ricorrenti per il delitto di estorsione loro ascritto, ponendo fondamento della affermazione di responsabilità le dichiarazioni delle persone offese.
Avverso la sentenza di appellopropongono ricorso per cassazione, con un unico atto, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME i quali denunciano violazione di legge in relazione all’art. 629 c.p. nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
2.1. Ad avviso dei ricorrenti la Corte d’appello avrebbe trascurato i rilievi difensivi con i quali si evidenziava come’ tanto le persone offese, quanto il teste COGNOME avessero dato contezza del fatto che l’azione dei COGNOME costituiva una mera reazione all’utilizzo di diserbanti da parte delle persone offese le quali avevano causato l’avvelenamento di alcuni capi di bestiame dei Mancuso.
2.2. Da qui, secondo i ricorrenti, anche il vizio di violazione di legge dovuto all’erronea qualificazione giuridica del fatto in termini di estorsione e non di esercizio arbitrario delle proprie ragioni posto che i COGNOME avevano agito per tutelare una propria pretesa legittima, azionabile in sede giudiziaria, cioè quella di evitare che i vicino usassero diserbanti sui terreni utilizzati da ricorrenti per il pascolo delle proprie bestie e per il risarcimento del danno.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi sono inammissibili perché basati su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, oltre che volti a sollecitare alla Corte legittimità una diversa lettura dei dati processuali o un diverso giudizio di rilevanza delle fonti di prova, non consentiti.
Ed invero il giudice di merito con motivazione puntuale e giuridicamente corretta ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (pagg. 3, 4 e 5 della sentenza impugnata) spiegando che la ricostruzione dei fatti in termini di estorsione poggiava sulle dichiarazioni delle persone offese, peraltro non contrastate con l’atto di appello quanto alla materialità dei fatti ma solo in
ordine alla finalità dell’azione, le quali avevano concordemente affermato di essere state in più occasioni destinatarie di minacce e nel caso del De Pascalis anche di violenze fisiche da parte dei COGNOME per il fatto che questi ultimi, mandando al pascolo il proprio bestiame sui fondi delle persone offese, pretendevano che queste ultime abbandonassero i loro fondi così da consentire ai COGNOME di farvi pascolare liberamente i propri animali. Ha precisato la Corte d’appello (pag. 3) che la contestazione circa l’uso dei pesticidi,,non interessava i fondi dei COGNOME ma quelli delle persone offese pertanto nessuna pretesa essi potevano legittimamente vantare al riguardo ed il presunto avvelenamento degli animali, asseritamente dovuto all’utilizzo
Aggiunge l’autorevole consesso ” pur non richiedendosi che si tratti di pretesa fondata, ovvero che il diritto oggetto dell’illegittima tutela privata sia realment esistente, deve, peraltro, trattarsi di una pretesa non del tutto arbitraria, ovvero del tutto sfornita di una possibile base legale(Sez. 5, n. 23923 del 16/05/2014,
COGNOME, Rv. 260584; Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, COGNOME, Rv. 268362), poiché il soggetto attivo deve agire nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto in ipotesi suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale avente, in astratto, apprezzabili possibilità di successo (Sez. 2, n. 24478 del 08/05/2017, Salute, Rv. 269967)”, circostanze queste che, nel caso in esame, sono rimaste sfornite del pur minimo supporto probatorio avendo la Corte di merito più volte rimarcato che alcuna pretesa civilmente azionabile è stata ravvisata in capo agli imputati i quali, per effetto delle reiterate minacce, hanno conseguito l’ingiusto profitto di poter liberamente disporre dei fondi delle persone offese,costrette ad abbandonar&Y t. Lloro fondTlovvero a tollerare che gli imputati vi facessero pascolare liberamente il proprio bestiame.
5.Uniformandosi agli orientamenti sopra riportati, che il Collegio condivide, vanno dichiarate inammissibili le impugnazioni proposte; ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in C 3.000,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Roma, 1/12/2023
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
AkUtL.
Il Presidente
NOME