Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22256 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
SECONDA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 2 Num. 22256 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/05/2025
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
R.G.N. 9379/2025
NOME COGNOME
SENTENZA
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOMECOGNOME nato ad AGROPOLI il 23/09/1989, avverso la sentenza del 15/10/2024 della Corte d’appello di Salerno; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 22/09/2023 il Tribunale di Salerno aveva riconosciuto NOME COGNOME responsabile dei reati di estorsione e lesioni personali aggravate, a lui ascritti e, pertanto, ritenute le circostanze attenuanti generiche ed il vincolo della continuazione tra le due violazioni di legge, l’aveva condannato alla pena di anni 3 e mesi 5 di reclusione ed euro 800 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali, con la conseguente pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici; il COGNOME era stato altresì condannato al risarcimento dei danni patiti dalla parte civile NOME COGNOME la cui concreta determinazione era stata rimessa al giudice civile;
la Corte d’appello di Salerno, in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermata per il resto, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del COGNOME in relazione al delitto di lesioni personali aggravate perchØ estinto per intervenuta prescrizione; ha di conseguenza rideterminato la pena in anni 3 e mesi 4 di reclusione ed euro 700 di multa;
ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore che deduce:
3.1 errata applicazione della legge penale con riguardo agli artt. 25, 27, 111 della Costituzione; 133, 392, 393 e 629 cod. pen., 192 cod. proc. pen.; mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione: segnala come, nel caso di specie, avrebbe dovuto ritenersi integrato il delitto di ragion fattasi piuttosto che quello di estorsione atteso che il COGNOME intendeva soltanto ottenere il ‘rimborso’ di quanto corrisposto per la difesa tecnica svolta nel processo a suo carico; osserva che, nel caso in esame, la famiglia del COGNOME aveva consegnato al professionista, per la fase del riesame, altri 2.800 euro rispetto ai 3.000 euro già corrisposti per la fase di convalida dell’arresto, in quanto il difensore aveva garantito la revoca della misura personale applicata al ricorrente, consentendogli di riprendere la sua attività lavorativa; sottolinea che la distinzione tra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di risultato andava calata nel concreto alla luce della convinzione dell’imputato, che ha conseguito il solo diploma di scuola media, di poter agire in giudizio al fine di tutelare le proprie ragioni e, inoltre, l’errore in cui Ł caduta la Corte d’appello nel dar rilievo alle modalità della condotta che, alla luce dell’arresto delle SS.UU. NOME, sono irrilevanti
ai fini della distinzione tra le due fattispecie delittuose.
La Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
La difesa della costituita parte civile ha trasmesso una memoria con le conclusioni scritte e la allegata nota spese insistendo per l’inammissibilità o per il rigetto del ricorso con conferma, in ogni caso, delle statuizioni civili.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł inammissibile perchØ articolato con una censura manifestamente infondata.
NOME COGNOME era stato tratto a giudizio e riconosciuto responsabile, nei due gradi di merito, del delitto di estorsione in quanto ‘… con violenza consistita nel percuotere con pugni al volto e ad altre parti del corpo l’Avv. NOME COGNOME con minaccia contestuale consistita nel profferire la seguente frase: ‘dammi subito i soldi altrimenti ti ammazzo’ costringeva il predetto NOME NOME a consegnargli l’assegno … dell’importo di euro 2.700 … così procurandosi un ingiusto profitto in danno del suddetto NOME COGNOME somma che il COGNOME pretendeva ingiustamente quale rimborso di onorari professionali in precedenza corrisposti all’Avv.to NOME dalla di lui madre per la difesa dello stesso COGNOME nonchØ dal fratello NOME e dal padre NOME, arrestati per produzione, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti’.
La ricostruzione della vicenda, quale restituita dalla lettura delle due sentenze di merito, Ł in realtà pacifica: l’Avvocato NOME COGNOME aveva riferito di aver ricevuto, dai congiunti del ricorrente, 2.800 euro per la difesa di NOME COGNOMEoltre che del padre del ricorrente e del fratello NOME) nella fase della convalida dell’arresto ed altri 3.000 euro per la fase del riesame; avendo il Tribunale rigettata l’istanza di revoca della misura (non custodiale) adottata nei confronti dell’odierno ricorrente, i familiari, e lo stesso COGNOME avevano sostenuto di aver corrisposto somme ingenti senza risultato.
Proprio su tale premessa, l’imputato si era presentato dal difensore e, accompagnato da tale COGNOME, lo aveva minacciato ed usato violenza nei suoi confronti tanto da costringerlo a consegnargli un assegno dell’importo di euro 2.700 che la difesa, con l’unico motivo, ritiene, diversamente dall’importazione dell’accusa e dei giudici di merito, frutto non già di estorsione ma, semmai, del delitto di ragion fattasi in quanto oggetto di una pretesa sia pur putativamente legittima proprio in quanto fondata sul mancato conseguimento del risultato che gli era stato garantito dal difensore il quale, per quella fase, era stato autonomamente retribuito.
Il rilievo Ł evidentemente errato in diritto.
Come Ł noto, infatti, la questione del criterio distintivo tra il delitto di estorsione quello di ragion fattasi (pur con violenza e/o minaccia), Ł stato affrontato e risolto dalle SS.UU. di questa Corte nel senso che le due fattispecie si differenziano tra loro in relazione all’elemento psicologico, da accertarsi secondo le ordinarie regole probatorie (cfr., Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Rv. 280027 – 02 secondo cui ‘… i delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alla persona e di estorsione, pur caratterizzati da una materialità non esattamente sovrapponibile, si distinguono essenzialmente in relazione all’elemento psicologico: nel primo, l’agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione non meramente astratta ed arbitraria, ma ragionevole, anche se in concreto infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nel secondo, invece, l’agente persegue il conseguimento di un profitto nella piena consapevolezza della sua ingiustizia’).
E, tuttavia, le SS.UU. hanno avuto cura di chiarire che, per potersi ritenersi integrata la fattispecie dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, “… la pretesa arbitrariamente coltivata
dall’agente deve … corrispondere esattamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, e non risultare in qualsiasi modo piø ampia, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione Ł la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato, e l’agente deve, quindi, essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli possa competere giuridicamente …”; piø specificamente, hanno spiegato che, “… pur non richiedendosi che si tratti di pretesa fondata, ovvero che il diritto oggetto dell’illegittima tutela privata sia realmente esistente, deve, peraltro, trattarsi di una pretesa non del tutto arbitraria, ovvero del tutto sfornita di una possibile base legale (…), poichØ il soggetto attivo deve agire nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto in ipotesi suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale avente, in astratto, apprezzabili possibilità di successo (…)”; ‘… detta verifica, come pure Ł stato già osservato, Ł preliminare: «i delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e di estorsione si distinguono in relazione al profilo della tutelabilità dinanzi all’autorità giudiziaria del preteso diritto cui l’azione del reo era diretta, giacchØ tale requisito – che il giudice Ł preliminarmente chiamato a verificare – deve ricorrere per la configurabilità del primo, mentre, se manca, determina la qualificazione del fatto alla stregua del secondo» (…)’.
In definitiva, dunque, proprio alla luce dell’arresto delle SS.UU., essere ribadito che, se Ł corretto individuare il criterio distintivo tra le due fattispecie nella finalità, perseguita dall’agente, di far valere un diritto ed esercitare una pretesa che egli ritenga legittimamente spettargli, Ł pur sempre necessario che tale convinzione riposi su una base oggettiva e non sia frutto di una affermazione del tutto soggettiva ed arbitraria.
In altri termini, la consapevolezza della bontà delle proprie ragioni deve attenere alla ragionevole prospettiva di poterle vittoriosamente far valere in giudizio e non può risolversi nella convinzione, puramente ed esclusivamente soggettiva, della loro stessa esistenza a fronte della obiettiva ed assoluta impossibilità di configurare una situazione giuridica soggettiva nemmeno astrattamene sostenibile in un ipotetico giudizio.
Declinando queste considerazioni nel caso di specie, correttamente i giudici di merito hanno escluso che la pretesa dell’odierno ricorrente nei confronti dell’Avvocato NOME potesse ottenere una qualsiasi cittadinanza e praticabilità in giudizio, non potendo perciò rilevare la soggettiva convinzione dell’imputato in assenza di una qualsivoglia ‘base legale’, con l’altrettanto corretta qualificazione giuridica della condotta tenuta dal COGNOME in danno del professionista in termini di estorsione.
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende, in assenza di elementi idonei ad escludere profili di colpa nell’attivare l’impugnazione.
Il COGNOME va altresì condannato alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla costituita parte civile liquidate, vista la notula ed alla luce delle vigenti tariffe professionali, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME COGNOME che liquida in complessivi euro 3.000, oltre accessori di legge.
Così Ł deciso, 09/05/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME