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Differenza estorsione concorrenza: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di due imprenditori condannati per tentata estorsione. I ricorrenti chiedevano di riqualificare il reato in illecita concorrenza. La Corte ha ribadito la fondamentale differenza tra estorsione e concorrenza illecita: la prima colpisce la volontà dell’imprenditore tramite coazione, mentre la seconda interferisce direttamente con i meccanismi dell’attività economica. Il ricorso è stato respinto anche perché mera riproposizione di motivi già disattesi in appello.

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Pubblicato il 23 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Estorsione o Concorrenza Illecita? La Cassazione Chiarisce la Differenza

Comprendere la differenza estorsione concorrenza illecita è cruciale nel diritto penale commerciale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto un’importante occasione per ribadire i confini tra queste due figure di reato, spesso oggetto di dibattito nelle aule di giustizia. La Suprema Corte ha delineato con precisione i criteri per distinguere una condotta estorsiva da una di illecita concorrenza, sottolineando come l’oggetto della violenza o minaccia sia l’elemento dirimente. Questo intervento chiarisce i presupposti per la configurabilità di ciascun delitto, fornendo una guida essenziale per operatori del diritto e imprenditori.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da due imprenditori, condannati in primo e secondo grado per il reato di tentata estorsione aggravata. La Corte d’Appello di Reggio Calabria aveva confermato la loro responsabilità penale. Avverso tale sentenza, i due imputati hanno proposto ricorso per Cassazione, affidandosi a due principali motivi di doglianza.

I Motivi del Ricorso e la Differenza Estorsione Concorrenza

Il primo e principale motivo del ricorso verteva sulla richiesta di riqualificazione del reato. Secondo la difesa, i fatti contestati non integravano una tentata estorsione, bensì il diverso delitto di illecita concorrenza con violenza o minaccia, previsto dall’art. 513-bis del codice penale. In sostanza, gli imputati sostenevano che la loro azione non fosse diretta a coartare la volontà della vittima per ottenere un ingiusto profitto, ma a interferire con la sua attività economica.
Il secondo motivo di ricorso denunciava invece l’omessa applicazione di una specifica disposizione relativa al delitto tentato (art. 56, terzo comma, cod. pen.), un rilievo tecnico volto a ottenere una mitigazione della pena.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili. Questa decisione non è entrata nel merito delle questioni sollevate, ma si è basata su un vizio procedurale fondamentale: i motivi addotti erano una mera riproposizione delle censure già presentate e correttamente respinte dalla Corte d’Appello. I giudici di legittimità hanno constatato che i ricorrenti non avevano mosso una critica puntuale e specifica alla sentenza impugnata, ma si erano limitati a esprimere un generico dissenso.

Le Motivazioni

La Corte ha colto l’occasione per consolidare l’orientamento giurisprudenziale sulla differenza estorsione concorrenza.

Il Criterio Distintivo Fondamentale

I giudici hanno spiegato che, sebbene entrambi i reati possano manifestarsi con condotte violente o minacciose, il loro campo di applicazione è distinto. Si configura il delitto di illecita concorrenza (art. 513-bis c.p.) quando la condotta violenta è tesa a sovvertire il normale svolgimento delle attività imprenditoriali, incidendo direttamente sul funzionamento dell’impresa e manipolando i meccanismi dell’attività economica concorrente. L’obiettivo è alterare le regole del mercato.
Si ha, invece, estorsione quando l’azione violenta si risolve in una coazione fisica e psichica dell’imprenditore. In questo caso, la violenza non mira a sabotare l’azienda, ma a piegare la volontà della persona offesa per costringerla a compiere un atto di disposizione patrimoniale che le causa un danno e procura al reo un ingiusto profitto. L’oggetto della coazione è la libertà di autodeterminazione della vittima.
Nel caso di specie, la ricostruzione dei fatti aveva dimostrato che l’azione era finalizzata a costringere l’imprenditore, non a manipolare la sua attività.

La Ripetitività dei Motivi come Causa di Inammissibilità

La Cassazione ha inoltre ribadito un principio cardine del processo di legittimità: il ricorso non può essere una semplice ripetizione degli argomenti già vagliati nei gradi di merito. È necessario che il ricorrente si confronti criticamente con le motivazioni della sentenza impugnata, evidenziandone le specifiche lacune o gli errori di diritto. Limitarsi a riproporre le stesse argomentazioni, senza attaccare il ragionamento del giudice d’appello, rende il ricorso inammissibile.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame offre due importanti lezioni. La prima, di natura sostanziale, chiarisce in modo netto la differenza estorsione concorrenza: l’elemento discriminante è l’obiettivo della condotta illecita. Se si mira a coartare la volontà dell’imprenditore per un profitto, è estorsione; se si punta a danneggiare i meccanismi operativi dell’impresa concorrente, è illecita concorrenza. La seconda lezione è di carattere processuale: un ricorso in Cassazione, per avere successo, deve essere tecnicamente ben articolato e non può limitarsi a ripetere argomenti già respinti, ma deve dimostrare in modo specifico perché la decisione precedente sia errata.

Qual è la principale differenza tra il reato di estorsione e quello di illecita concorrenza con violenza o minaccia?
La differenza risiede nell’oggetto dell’azione violenta. L’estorsione si configura quando la violenza o minaccia è diretta a coartare la volontà dell’imprenditore per ottenere un ingiusto profitto. L’illecita concorrenza, invece, si ha quando l’azione violenta mira a sovvertire il normale svolgimento dell’attività imprenditoriale, incidendo direttamente sui meccanismi di funzionamento dell’impresa concorrente.

Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi proposti erano una mera riproduzione di censure già presentate in appello e adeguatamente esaminate e respinte dalla Corte territoriale. I ricorrenti non si sono confrontati in modo critico e puntuale con le argomentazioni della sentenza impugnata, limitandosi a esprimere un dissenso generico.

Possono coesistere il reato di estorsione e quello di illecita concorrenza?
Sì, secondo i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità citata nell’ordinanza, è configurabile un’ipotesi di concorso formale tra i due reati. Essi rappresentano fattispecie differenti che possono essere commesse con la stessa azione, non trattandosi di un concorso apparente di norme.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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