Estorsione o Concorrenza Illecita? La Cassazione Chiarisce la Differenza
Comprendere la differenza estorsione concorrenza illecita è cruciale nel diritto penale commerciale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto un’importante occasione per ribadire i confini tra queste due figure di reato, spesso oggetto di dibattito nelle aule di giustizia. La Suprema Corte ha delineato con precisione i criteri per distinguere una condotta estorsiva da una di illecita concorrenza, sottolineando come l’oggetto della violenza o minaccia sia l’elemento dirimente. Questo intervento chiarisce i presupposti per la configurabilità di ciascun delitto, fornendo una guida essenziale per operatori del diritto e imprenditori.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da due imprenditori, condannati in primo e secondo grado per il reato di tentata estorsione aggravata. La Corte d’Appello di Reggio Calabria aveva confermato la loro responsabilità penale. Avverso tale sentenza, i due imputati hanno proposto ricorso per Cassazione, affidandosi a due principali motivi di doglianza.
I Motivi del Ricorso e la Differenza Estorsione Concorrenza
Il primo e principale motivo del ricorso verteva sulla richiesta di riqualificazione del reato. Secondo la difesa, i fatti contestati non integravano una tentata estorsione, bensì il diverso delitto di illecita concorrenza con violenza o minaccia, previsto dall’art. 513-bis del codice penale. In sostanza, gli imputati sostenevano che la loro azione non fosse diretta a coartare la volontà della vittima per ottenere un ingiusto profitto, ma a interferire con la sua attività economica.
Il secondo motivo di ricorso denunciava invece l’omessa applicazione di una specifica disposizione relativa al delitto tentato (art. 56, terzo comma, cod. pen.), un rilievo tecnico volto a ottenere una mitigazione della pena.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili. Questa decisione non è entrata nel merito delle questioni sollevate, ma si è basata su un vizio procedurale fondamentale: i motivi addotti erano una mera riproposizione delle censure già presentate e correttamente respinte dalla Corte d’Appello. I giudici di legittimità hanno constatato che i ricorrenti non avevano mosso una critica puntuale e specifica alla sentenza impugnata, ma si erano limitati a esprimere un generico dissenso.
Le Motivazioni
La Corte ha colto l’occasione per consolidare l’orientamento giurisprudenziale sulla differenza estorsione concorrenza.
Il Criterio Distintivo Fondamentale
I giudici hanno spiegato che, sebbene entrambi i reati possano manifestarsi con condotte violente o minacciose, il loro campo di applicazione è distinto. Si configura il delitto di illecita concorrenza (art. 513-bis c.p.) quando la condotta violenta è tesa a sovvertire il normale svolgimento delle attività imprenditoriali, incidendo direttamente sul funzionamento dell’impresa e manipolando i meccanismi dell’attività economica concorrente. L’obiettivo è alterare le regole del mercato.
Si ha, invece, estorsione quando l’azione violenta si risolve in una coazione fisica e psichica dell’imprenditore. In questo caso, la violenza non mira a sabotare l’azienda, ma a piegare la volontà della persona offesa per costringerla a compiere un atto di disposizione patrimoniale che le causa un danno e procura al reo un ingiusto profitto. L’oggetto della coazione è la libertà di autodeterminazione della vittima.
Nel caso di specie, la ricostruzione dei fatti aveva dimostrato che l’azione era finalizzata a costringere l’imprenditore, non a manipolare la sua attività.
La Ripetitività dei Motivi come Causa di Inammissibilità
La Cassazione ha inoltre ribadito un principio cardine del processo di legittimità: il ricorso non può essere una semplice ripetizione degli argomenti già vagliati nei gradi di merito. È necessario che il ricorrente si confronti criticamente con le motivazioni della sentenza impugnata, evidenziandone le specifiche lacune o gli errori di diritto. Limitarsi a riproporre le stesse argomentazioni, senza attaccare il ragionamento del giudice d’appello, rende il ricorso inammissibile.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame offre due importanti lezioni. La prima, di natura sostanziale, chiarisce in modo netto la differenza estorsione concorrenza: l’elemento discriminante è l’obiettivo della condotta illecita. Se si mira a coartare la volontà dell’imprenditore per un profitto, è estorsione; se si punta a danneggiare i meccanismi operativi dell’impresa concorrente, è illecita concorrenza. La seconda lezione è di carattere processuale: un ricorso in Cassazione, per avere successo, deve essere tecnicamente ben articolato e non può limitarsi a ripetere argomenti già respinti, ma deve dimostrare in modo specifico perché la decisione precedente sia errata.
Qual è la principale differenza tra il reato di estorsione e quello di illecita concorrenza con violenza o minaccia?
La differenza risiede nell’oggetto dell’azione violenta. L’estorsione si configura quando la violenza o minaccia è diretta a coartare la volontà dell’imprenditore per ottenere un ingiusto profitto. L’illecita concorrenza, invece, si ha quando l’azione violenta mira a sovvertire il normale svolgimento dell’attività imprenditoriale, incidendo direttamente sui meccanismi di funzionamento dell’impresa concorrente.
Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi proposti erano una mera riproduzione di censure già presentate in appello e adeguatamente esaminate e respinte dalla Corte territoriale. I ricorrenti non si sono confrontati in modo critico e puntuale con le argomentazioni della sentenza impugnata, limitandosi a esprimere un dissenso generico.
Possono coesistere il reato di estorsione e quello di illecita concorrenza?
Sì, secondo i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità citata nell’ordinanza, è configurabile un’ipotesi di concorso formale tra i due reati. Essi rappresentano fattispecie differenti che possono essere commesse con la stessa azione, non trattandosi di un concorso apparente di norme.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 36827 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36827 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/10/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a CROTONE il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/02/2025 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letti i ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME, presentati con unico atto e comuni motivi, avverso la sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria che confermava la responsabilità degli imputati per il delitto di tentata estorsione aggravata;
considerato che il primo motivo, con cui si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata riqualificazione del reato ascritto in quello di illecita concorrenza con minaccia e violenza, è meramente riproduttivo di profili di censura già presentati in appello, adeguatamente esaminati e disattesi dalla Corte territoriale, con corrette argomentazioni logiche e giuridiche (pagg. 5 – 7 della impugnata sentenza) con cui il ricorrente non si rapporta in termini puntuali;
che, infatti, a fronte della incontrastata ricostruzione fattuale della vicenda, i giudici d’appello hanno argomentato la configurabilità di un’ipotesi di concorso formale tra reati e non di concorso apparente di norme in accordo con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui il delitto di estorsione può concorrere con quello di illecita concorrenza con violenza o minaccia, trattandosi di fattispecie differenti, la cui diversità si misura valutando le modalità con cui si esprime l’azione violenta, posto che integra il delitto di cui all’art. 513-bis cod. pen. la condotta tesa a sovvertire il normale svolgimento delle attività imprenditoriali attraverso comportamenti violenti che incidono direttamente sul funzionamento dell’impresa, mentre si configura il delitto di estorsione nel caso in cui l’azione violenta si risolva in coazione fisica e psichica dell’imprenditore e non si traduca in una manipolazione violenta e diretta dei meccanismi di funzionamento dell’attività economica concorrente (Sez. 5, n. 40803 del 15/07/2022, COGNOME, Rv. 283758 – 01);
ritenuto che anche il secondo motivo di ricorso, che denuncia l’omessa applicazione dell’art. 56, terzo comma, cod. pen., riproduce rilievi adeguatamente scrutinati e disattesi dalla Corte di merito sulla scorta di un apparato giustificativo giuridicamente corretto e sostenuto da pertinenti richiami alla giurisprudenza di legittimità (si vedano le pagg. 7 – 8 della impugnata sentenza), rispetto al quale i ricorrenti più che condurre una critica puntuale si limitano ad esprimere mero dissenso valutativo;
rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma il giorno 10 ottobre 2025
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Il Consigliere estensore
Il Presidente