Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 30217 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 30217 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Capo D’Orlando (ME) il 16/08/1955 avverso la sentenza del 14/03/2025 della Corte d’appello di Messina; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo, previa esclusione dell’aggravante contestata, l’ annullamento con rinvio ai fini della rideterminazione del trattamento sanzionatorio, con declaratoria di inammissibilità nel resto; lette le conclusioni del difensore di parte civile, avv. NOME COGNOME che ha chiesto la conferma della sentenza impugnata e la condanna dell’imputato al pagamento delle spese e dei compensi del presente grado di giudizio; lette le conclusioni del difensore dell’imputato, avv. NOME COGNOME che ha chiesto accogliersi il ricorso e annullare senza rinvio la sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Patti, con sentenza in data 8 marzo 2024, ha riconosciuto la penale responsabilità di NOME per plurimi episodi di diffamazione aggravata dall’uso del mezzo di pubblicità , commessi dal 13 al 17 dicembre 2018, condannandolo al pagamento di una multa di 1.000 euro, oltre alle spese processuali e al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
L’accusa è scaturita dalla diffusione, tramite l’applicazione WhatsApp , di vignette satiriche e di un video contenenti affermazioni diffamatorie nei confronti di NOME COGNOME accusato di presunte operazioni illecite di speculazione edilizia e finanziaria, de ll’acquisto di terreni con denaro pubblico per 400.000,00 euro e de ll’ipotetica realizzazione di un resort in violazione di normative urbanistiche, coinvolgendo anche figure pubbliche e l’utilizzo di fondi comunali.
La Corte d’Appello di Messina, con sentenza in data 14 marzo 2025, ha rigettato il gravame dell’imputato, confermato il giudizio di primo grado.
La Corte territoriale ha ritenuto che la diffusione fosse avvenuta tramite WhatsApp , qualificando tale strumento come idoneo ad una larga diffusione e ha rilevato che il contenuto diffamatorio era di dominio pubblico a Capo d’Orlando. La tesi difensiva, secondo cui i messaggi sarebbero stati inviati a un unico destinatario (un amico milanese non specificato), è stata disattesa.
Avverso tale ultima sentenza, il COGNOME tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi.
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto vizi motivazionali e violazioni di legge lamentando mancasse la prova della comunicazione del contenuto diffamatorio a più persone, essenziale per integrare il reato, in quanto i messaggi incriminati, a contenuto satirico, erano stati inoltrati esclusivamente ad un unico suo amico di Milano, senza alcuna volontà di diffusione ulteriore. Ha criticato la sentenza d’appello per aver desunto l ‘invio da parte del Monastra dei messaggi dalla loro diffusione nel pubblico e dal loro stesso tenore (essendo molto articolati e non potendo ritenersi, pertanto, fossero destinati ad esser letti da una sola persona): con illegittimo ribaltamento dell’onere della prova.
3.2. Con il secondo motivo, sono stati eccepiti vizi motivazionali e violazione degli articoli 192, 533, 595, comma 3, cod. proc. pen., in relazione alla ritenuta aggravante del mezzo di pubblicità. Il ricorrente ha contestato che la diffusione tramite WhatsApp -strumento di comunicazione con il limitato numero di persone a cui si invia un dato messaggio -possa integrare tale aggravante, come già statuito da precedenti giurisprudenziali di questa Corte: tanto a differenza di altri social network , come Facebook , l’uso dei quali comporta che i relativi messaggi siano accessibili a un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone, rientrando nella nozione di “mezzo di pubblicità”.
3.3. Con il terzo motivo, è stata dedotta la violazione di norme processuali sulla competenza, atteso che, esclusa l’aggravante predetta, il reato sarebbe stato di competenza del Giudice di Pace.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
Il primo motivo (sulla carente motivazione con riferimento alla diffusione dei messaggi incriminati a più persone) è fondato.
La Corte d’appello di Messina, nel confermare la sentenza di primo grado, ha ritenuto la diffusione dei messaggi tramite WhatsApp a più persone, pur non supportata da prova diretta, desumibile dal tenore dei messaggi stessi, non destinati a un singolo individuo, dalla circostanza che questo unico destinatario non fosse stato indicato dall’imputato e dalla stessa provata diffusione dei messaggi tramite la stessa applicazione: ciò che confermerebbe ‘la sussistenza del diretto e volontario intento divulgativo in capo al COGNOME ‘ e della ‘comunicazione a più persone, manifestamente avviata dall’imputato stesso’ .
La motivazione della Corte di Appello risulta, su questo punto, certamente congetturale, al limite dell’apparenza.
Per quanto l’imputato abbia tenuto una condotta non collaborativa -ciò a cui, tuttavia, non era certamente tenuto -tanto non avrebbe potuto indurre, ex se , a ritenere confermata l’accusa sullo specifico punto in discussione. La Corte di appello ha, in tal modo, erroneamente invertito l’onere della prova, attribuendo all’imputato il compito di dare la prova negativa, ovvero di non aver diffuso i messaggi, presumendo, dai dati sopra richiamati e dalla stessa diffusione dei messaggi, che egli l’avesse voluta .
Dunque, la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di diffamazione in capo all’imputato (che richiede la comunicazione a più persone, diverse dall’offeso) non risulta adeguatamente motivata, se non facendo ricorso a mere congetture: e, cioè, che, per il tenore dei messaggi e data la loro effettiva diffusione, quest’ultima sia necessariamente ricollegabile direttamente o indirettamente, in quanto voluta dall’unico destinatario cui si ammette di aver inviato i messaggi all’odierno imputato . In tal modo, è s tato completamente eluso l’onere motivazionale circa l’effettiva dimostrazione di detto dato.
Al riguardo, non può parlarsi di massime di esperienza, ovvero di giudizi ipotetici a contenuto generale, indipendenti dal caso concreto, fondati su ripetute esperienze, ma autonomi da esse, e valevoli per nuovi casi, ma -si ripete -di mere congetture non fondate sull’ id quod plerumque accidit e, quindi, insuscettibili di verifica empirica e, come tali, sindacabili in questa sede (Sez. 5, n. 25616 del 24/05/2019, Rv. 277312-01; Sez. 1, n. 16523 del 04/12/2020, dep. 2021, Rv.
281385-01).
I motivi secondo e terzo -circa la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 595, comma 3, cod. pen. e circa la correlata eccezione di incompetenza -sono evidentemente assorbiti.
Tuttavia, è opportuno precisare che, per orientamento giurisprudenziale di legittimità oramai consolidatosi, la diffusione di un messaggio offensivo tramite l’applicazione WhatsApp non integra l’aggravante dell’uso di un «mezzo di pubblicità» (così, ad esempio: Sez. 1, n. 37618 del 19/05/2023, Rv. 285248-01; Sez. 5, Sentenza n. 43089 del 2/10/2024, non massimata; Sez. 1, n. 42783 del 11/9/2024, non massimata), salvo non si dimostri che il messaggio sia stato diffuso in un gruppo costituito da un numero ‘ quantitativamente apprezzabile ‘ di persone (sul punto, ad esempio, Sez. 5, n. 13979 del 25/01/2021, Chita, Rv. 281023-01, che ha ritenuto corretta l ‘ affermazione di sussistenza della detta aggravante in relazione alla diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook ). Tale orientamento si basa, evidentemente, sulla natura intrinseca di detto strumento di comunicazione, di per sé destinato tendenzialmente a scambi tra due soli soggetti, salvo il caso appena menzionato (nella specie non emerso, per quanto detto): laddove altri social network (come, ad esempio, Facebook o Instagram ), al contrario, sono “fisiologicamente” strutturati per consentire la diffusione di messaggi a più persone.
Al riguardo, ad ogni modo, lungi dal potersi stabilire regole certe in ragione del mezzo utilizzato -atteso che, in ipotesi, i social network da ultimo citati ben possono essere, di fatto, impostati in modo che un dato account abbia un numero chiuso, predeterminato e modesto di utenti in grado di visualizzarne i messaggi o per contro, come detto, un gruppo Whatsapp ben potrebbe essere costituito da una vasta platea di iscritti, tale da integrare quel numero ‘ quantitativamente apprezzabile ‘ necessario all ‘ uopo -si deve, pertanto, ribadire il principio secondo cui, laddove lo strumento utilizzato non abbia la potenziale visibilità da parte di un numero indeterminato di utenti o, almeno, ‘ quantitativamente apprezzabile ‘ , lo stesso non può ritenersi integrare l’aggravante di cui all’art. 595, comma 3, cod. pen.: la quale, naturalmente, deve anch’essa essere oggetto di prova da parte di chi muove l’accusa .
Infine, va ribadito che, in tema di riqualificazione in melius di un reato comportante la sua riconducibilità al novero di quelli attribuiti alla cognizione del giudice di pace, opera il principio della perpetuatio competentiae , non trovando applicazione il disposto dell’art. 48 d.lgs. 274/2000, qualora la competenza per
materia del giudice superiore sia stata correttamente individuata in base all’originaria imputazione e la riqualificazione derivi da una diversa valutazione di un elemento costitutivo del reato (Sez. U, n. 28908 del 27/09/2018, dep. 2019, Balais, Rv. 275869-01; Sez. 5, n. 13799 del 12/02/2020, COGNOME, Rv. 279158-01): principio che non può che valere anche in caso di esclusione di un’aggravante inizialmente contestata e determinante la competenza del giudice superiore.
La sentenza impugnata deve essere annullata, con conseguente rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Messina per un nuovo giudizio che si conformi ai principi di diritto qui enunciati e scevra dai citati vizi di motivazione.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per il giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Messina.
Così è deciso, 03/07/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente COGNOME
NOME COGNOME