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Diffamazione su social network: quando è aggravata?

Una donna viene condannata in via definitiva per il reato di diffamazione su social network. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14345/2024, ha dichiarato inammissibile il suo ricorso, confermando che la pubblicazione di post offensivi sulla bacheca di un profilo personale integra la fattispecie aggravata del reato. La Corte ha ribadito che la potenziale diffusione a un numero indeterminato di persone è sufficiente per configurare l’aggravante, respingendo le argomentazioni della ricorrente volte a una nuova valutazione dei fatti e del bilanciamento delle circostanze.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diffamazione su Social Network: la Cassazione conferma l’aggravante

La crescente diffusione dei social media ha reso la comunicazione istantanea e globale, ma ha anche aperto nuove frontiere per la commissione di reati contro la persona. Un caso emblematico è la diffamazione su social network, un tema su cui la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi con la recente sentenza n. 14345/2024, consolidando un orientamento ormai granitico. La pronuncia chiarisce, ancora una volta, perché offendere la reputazione altrui tramite un post pubblico costituisca un’ipotesi aggravata del reato.

I fatti del caso

La vicenda giudiziaria trae origine dalla condanna di una donna per il reato di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, terzo comma, del codice penale. L’imputata aveva pubblicato sulla bacheca del proprio profilo social una serie di post e fotografie dal contenuto offensivo nei confronti di un uomo. Quest’ultimo veniva descritto come “inquilino moroso, disonesto, ex spacciatore di coca” e autore di minacce di morte.

La persona offesa era stata un semplice intermediario in un contratto di locazione tra la stessa imputata e una terza persona. Nonostante i rapporti diretti tra le parti fossero cessati, l’imputata aveva dato sfogo alle sue rimostranze attraverso la piattaforma social, ledendo l’onorabilità e la reputazione della vittima.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano confermato la responsabilità penale della donna. Contro la sentenza di secondo grado, la difesa proponeva ricorso per cassazione, lamentando principalmente due aspetti: l’errata attribuzione dei post all’imputata e la mancata prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sull’aggravante contestata.

La questione giuridica: la diffamazione su social network è sempre aggravata?

Il nucleo del ricorso si concentrava sulla natura della pubblicazione sui social. La difesa sosteneva la mancanza di prova sulla diffusività del messaggio, tentando di sminuire la portata offensiva del gesto. Tuttavia, la questione centrale che la Cassazione ha affrontato è se la diffusione di un messaggio diffamatorio tramite la bacheca di un social network integri l’ipotesi di diffamazione aggravata dall’uso di un “qualsiasi altro mezzo di pubblicità”.

Secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, la risposta è affermativa. La bacheca di un social è, per sua natura, uno strumento con una capacità di diffusione potenzialmente illimitata, capace di raggiungere un numero indeterminato e apprezzabile di persone in un breve lasso di tempo. Questo lo equipara a mezzi di comunicazione tradizionali come la stampa, giustificando l’applicazione dell’aggravante.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato sotto ogni profilo. I giudici hanno specificato che le doglianze della ricorrente si risolvevano in una mera richiesta di rivalutazione del merito dei fatti, operazione preclusa in sede di legittimità. Il compito della Cassazione, infatti, non è quello di ricostruire la vicenda, ma di verificare la corretta applicazione della legge da parte dei giudici dei gradi precedenti.

Le motivazioni

Nel dettaglio, la Corte ha smontato le argomentazioni difensive punto per punto.

1. Paternità dei post e diffusività: La responsabilità dell’imputata era stata ampiamente provata dalle testimonianze della persona offesa e di altri testi, i quali avevano visto i post offensivi corredati da fotografie sul profilo riconducibile all’imputata. La Corte ha ribadito che la pubblicazione su una bacheca social integra l’aggravante di cui all’art. 595, comma 3, c.p., poiché il messaggio è accessibile a una moltitudine di soggetti, a prescindere dal numero effettivo di persone che lo abbiano letto. La potenzialità diffusiva è di per sé sufficiente.

2. Bilanciamento delle circostanze: Anche il secondo motivo di ricorso, relativo al mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche, è stato respinto. La Corte ha ricordato che il giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti e attenuanti rientra nella discrezionalità del giudice di merito. Tale valutazione è censurabile in Cassazione solo se viziata da palese illogicità o arbitrarietà. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva motivato la sua decisione di considerare le circostanze equivalenti (e non le attenuanti prevalenti) in base alla “concreta gravità del fatto e delle conseguenze obiettive”, una giustificazione ritenuta del tutto logica e congrua.

Le conclusioni

La sentenza n. 14345/2024 si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai stabile, che lancia un chiaro monito sull’uso responsabile dei social network. Pubblicare contenuti offensivi sulla propria bacheca non è una leggerezza, ma un reato che, a causa della vasta eco mediatica dello strumento, viene considerato più grave della diffamazione semplice. La decisione sottolinea come il giudice di merito abbia ampio potere discrezionale nel valutare la pena, e le sue decisioni, se logicamente motivate, difficilmente possono essere ribaltate in sede di legittimità. Di conseguenza, chi utilizza i social media per attaccare la reputazione altrui si espone a conseguenze penali significative, con una limitata possibilità di ottenere sconti di pena basati su circostanze attenuanti.

Pubblicare un post offensivo sulla bacheca di un social network costituisce diffamazione aggravata?
Sì, la sentenza conferma che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso la bacheca di un social network integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, terzo comma, c.p., in quanto l’offesa è arrecata con un “mezzo di pubblicità” capace di raggiungere un numero indeterminato di persone.

Perché il ricorso dell’imputata è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le argomentazioni presentate erano manifestamente infondate e miravano a una nuova valutazione dei fatti e delle prove. Questo tipo di riesame non è consentito nel giudizio di Cassazione, che si limita a verificare la corretta applicazione della legge.

La valutazione del giudice sul bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti può essere contestata in Cassazione?
Sì, ma solo in casi limitati. La decisione del giudice di merito sul bilanciamento delle circostanze è discrezionale e può essere contestata in Cassazione solo se risulta frutto di mero arbitrio o di un ragionamento manifestamente illogico. Nel caso specifico, la decisione di considerare equivalenti le circostanze è stata ritenuta logica e ben motivata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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