Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13799 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13799 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/03/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/06/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi;
lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per la parte civile, che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
La pronunzia impugnata è stata deliberata il 9 giugno 2023 dalla Corte di appello di Roma, che ha confermato la decisione del Tribunale della stessa città che aveva condannato anche agli effetti civili – NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di diffamazione ai danni di NOME COGNOME.
La diffamazione era avvenuta pubblicando un video sulla URL Facebook del “RAGIONE_SOCIALE” in cui offendevano la reputazione di COGNOME, rappresentando che egli si sarebbe impossessato, per pagare lavori di
ristrutturazione effettuati a casa propria, di 75.000 euro in contanti che COGNOME gli aveva consegnato al fine di pagare tangenti a esponenti RAGIONE_SOCIALE.
COGNOME era il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, cooperativa contro la quale COGNOME aveva intentato una causa di lavoro.
Nel video, COGNOME aveva introdotto l’intervento di COGNOME e ne aveva sottolineato alcuni passaggi.
Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati a mezzo dei comuni difensori di fiducia.
2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge quanto alla ritenuta tipicità della condotta, sia sul versante oggettivo che su quello soggettivo. Dopo un’introduzione sui alcuni principi in materia, i ricorrenti sostengono che l’espressione di cui al capo di imputazione possa essere considerata «una sorta di inesattezza marginale che alcuna rilevanza assume nell’ambito del racconto narrativo», giacché quest’ultimo, globalmente inteso, perseguiva il fine di abbassare i toni e di raggiungere determinati obiettivi comuni.
Circa il dolo della fattispecie, la Corte di appello avrebbe risposto alla doglianza formulata in sede di appello ragionando su una circostanza – la diffusione del video su Facebook – che riguardava l’elemento materiale della fattispecie.
2.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione di legge quanto alla posizione del solo COGNOME. Il ricorso ricorda che la difesa aveva invocato la sua assoluzione per non aver commesso il fatto, trascrive la risposta della Corte di appello e si diffonde sul tema del concorso di persone nel reato, concludendo che COGNOME non aveva fornito alcun contributo agevolatore alla condotta diffamatoria, neanche in termini del rafforzamento del proposito criminoso altrui.
2.3. Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione di legge e vizio di motivazione quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, cui la Corte distrettuale sarebbe giunta pur in presenza di indicatori positivi che ne avrebbero giustificato il riconoscimento, debitamente valorizzati nell’atto di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato e reiterativo, perché ritorna su due aspetti, già sottoposti al Giudice di appello e da quest’ultimo motivatamente disattesi.
1.1. L’uno è il profilo dell’oggettività della condotta, in tesi non dotata valenza diffamatoria in quanto si sostiene nei ricorsi le affermazioni s inserivano in un video da cui risultava una richiesta di “riconciliazione” con la persona offesa ed assumevano valenza marginale. Ebbene, le proposizioni difensive trascurano di considerare la ratio decidendi della pronunzia avversata, che ha escluso che la richiesta di riconciliazione finale – e, comunque, la restante parte del video – potesse sminuire la valenza screditante di un preciso passaggio delle dichiarazioni dei due imputati, ossia quello concernente l’accusa a COGNOME di essersi impossessato di una somma di denaro rilevante di proprietà della cooperativa, per soddisfare esigenze personali. Si tratta, con tutta evidenza, di un’argomentazione tutt’altro che manifestamene illogica, laddove non può certo dirsi una circostanza di contorno l’accusa, precisa, di avere sottratto ben 75.000 euro dalla cooperativa grazie alla condotta infedele del suo amministratore
1.2. L’altro argomento difensivo concerne il coefficiente soggettivo, che la Corte di appello non avrebbe adeguatamente affrontato, giustificandolo con la diffusione del video su Facebook, aspetto che attiene al versante oggettivo della condotta.
A questo proposito, si ritiene che la risposta della Corte di merito vada interpretata nel suo complesso, laddove, dopo aver affrontato il profilo dell’oggettiva portata diffamatoria della condotta, essa fa riferimento alla consapevole diffusione del video su Facebook e alla prevedibile propagazione indefinita delle affermazioni lesive della reputazione della parte lesa. A questo proposito, va ricordato che la giurisprudenza di questa Corte insegna che, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di diffamazione, non è richiesto l’animus iniurandi vel diffamandi, essendo sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, in quanto è sufficiente che l’agente, consapevolmente, faccia uso di parole ed espressioni RAGIONE_SOCIALEmente interpretabili come offensive, ossia adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere, senza un diretto riferimento alle intenzioni dell’agente (Sez. 5, n. 8419 del 16/10/2013, dep. 2014, Verratti, Rv. 258943; Sez. 5, n. 4364/13 del 12 dicembre 2012 Arcadi, Rv. 254390). Naturalmente – aggiunge il Collegio – il dolo della fattispecie deve riguardare anche la comunicazione a più persone, che deve essere anch’essa riconducibile alla volontà dell’autore del fatto, il che spiega il passaggio che la Corte distrettuale ha dedicato alla diffusione dell’informazione diffamatoria quando si è interrogata sul coefficiente soggettivo della condotta.
Da questa premessa discende che la Corte di appello, nel momento in cui ha chiarito che la diffusione del video è stata consapevole, che era del tutto
prevedibile la diffusione a terzi e che il messaggio che esso veicolava aveva un’oggettiva portata diffamatoria, ha soddisfatto il dovere argonnentativo sul punto.
Il secondo motivo di ricorso – che attiene specificamente alla posizione del COGNOME ed al suo coinvolgimento nel fatto GLYPH è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha risposto in maniera ineccepibile al corrispondente motivo di appello, sottolineando come l’azione fosse corale e frutto di una previa e piena condivisione tra i due imputati, dal momento che le dichiarazioni di COGNOME erano state precedute ed enfatizzate da un’introduzione, nella quale COGNOME:
aveva adoperato una metafora altamente eloquente della condivisione del messaggio diffamatorio, ossia quella del banchetto al ristorante cui anche NOME e NOME avevano partecipato e nel quale si erano “saziati”, condotta di cui aveva però risposto un “uomo solo” (cioè NOME);
aveva fatto riferimento a “dettagli scottanti” rimandando a quello che avrebbe, di lì a pochissimo, riferito COGNOME,
e, dopo le dichiarazioni di quest’ultimo, aveva sottolineato l’entità della somma di cui si sarebbe appropriato COGNOME.
Il terzo motivo di ricorso – che attiene al diniego delle circostanze attenuanti generiche GLYPH è manifestamente infondato in quanto la Corte di appello ha adeguatamente motivato sul punto, facendo riferimento agli indici di natura personale e fattuale che hanno imposto di non accedere al trattamento di favore (gravità e diffusività della condotta, intensità del dolo), rimarcando la neutralit – testualmente prevista dall’art. 62 bis, comma 3, cod. pen. dell’incensuratezza degli GLYPH imputati. Tale interpretazione è GLYPH ispirata alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il giudice, quando nega la concessione delle circostanze attenuanti generiche, non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma può limitarsi a fare riferimento a quelli rit decisivi o comunque rilevanti (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, COGNOME, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, COGNOME e altri, Rv. 248244).
All’inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna di ciascuna parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. (come modificato ex I. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a
GLYPH
ritenere i proponenti in colpa nella determinazione della causa di inammissib (Corte cost. 13/6/2000 n.186).
All’esito odierno del giudizio non consegue, invece, la condanna d ricorrenti alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, gi difensore di quest’ultima non ha svolto alcuna utile attività difensiva, limi a chiedere di dichiarare inammissibile il ricorso, senza l’illustrazione di sp ragioni a sostegno di tale richiesta. A questo riguardo, il Collegio intend seguito agli insegnamenti di Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 20 Sacchettino, Rv. 283886 (non massinnata sul punto), secondo cui, co riferimento al giudizio di legittimità celebrato con rito camerale non partec anche laddove previsto dalla normativa introdotta per contrastare l’emerge epidemiologica da Covid-19, la parte civile, pur in difetto di richie trattazione orale, ha diritto di ottenere la liquidazione delle spese pro purché abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scrit un’attività diretta a contrastare l’avversa pretesa a tutela dei propri in natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de ammende. Nulla per le spese di parte civile.
Così deciso il 12/03/2024.