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Diffamazione su Facebook: la condanna è inevitabile

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per diffamazione su Facebook a carico di due persone che avevano pubblicato un video accusando il legale rappresentante di una cooperativa di essersi appropriato indebitamente di 75.000 euro. La Corte ha ritenuto i ricorsi inammissibili, sottolineando che per la diffamazione è sufficiente il dolo generico, ovvero la consapevolezza di diffondere affermazioni lesive, e che anche chi introduce e rafforza le dichiarazioni altrui concorre nel reato.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diffamazione su Facebook: Quando un Video Offensivo Porta alla Condanna

La pubblicazione di contenuti online richiede attenzione e responsabilità. Un recente caso esaminato dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 13799/2024) chiarisce i contorni del reato di diffamazione su Facebook, confermando la condanna di due persone per aver leso la reputazione di un soggetto attraverso un video. La sentenza offre spunti cruciali sul dolo, sul concorso di persone nel reato e sulla valutazione delle circostanze attenuanti.

I Fatti: Un’Accusa di Appropriazione Indebita in un Video Online

Due individui venivano condannati in primo e secondo grado per il reato di diffamazione. La condotta contestata consisteva nella pubblicazione di un video sulla pagina Facebook di un’associazione, nel quale accusavano il legale rappresentante di una cooperativa sociale di essersi appropriato indebitamente di 75.000 euro. Secondo la loro versione, tale somma era stata consegnata all’amministratore per pagare presunte tangenti, ma sarebbe stata invece utilizzata per lavori di ristrutturazione personali.

Nel video, uno degli imputati introduceva e sottolineava i passaggi salienti delle accuse mosse dall’altro, che aveva un contenzioso lavorativo con la cooperativa della vittima. Gli imputati, nel loro ricorso per Cassazione, sostenevano che le loro affermazioni fossero inserite in un contesto più ampio di ‘riconciliazione’ e che mancasse l’intento specifico di offendere.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili, confermando integralmente la decisione della Corte d’Appello. I giudici hanno ritenuto manifestamente infondati tutti i motivi di ricorso, fornendo importanti chiarimenti sulla configurabilità della diffamazione nell’era digitale.

Le Motivazioni: Analisi della Diffamazione su Facebook

Le motivazioni della sentenza sono un vademecum su come viene valutata la diffamazione su Facebook e sui social network in generale. Analizziamo i punti chiave.

L’Oggettività della Condotta e la Valenza Screidtante

La difesa aveva tentato di sminuire la gravità delle accuse, definendole ‘un’inesattezza marginale’ all’interno di un video che mirava alla riconciliazione. La Cassazione ha respinto questa tesi, evidenziando che l’accusa di essersi impossessato di 75.000 euro non può essere considerata un ‘dettaglio’. È un’affermazione precisa e grave, intrinsecamente lesiva della reputazione, la cui valenza diffamatoria non può essere annullata dal contesto generale del video.

Il Dolo nella Diffamazione: Basta la Consapevolezza

Un punto centrale della decisione riguarda l’elemento soggettivo del reato. Per la diffamazione non è richiesto l’animus iniurandi, ovvero il fine specifico di offendere, ma è sufficiente il dolo generico. Questo significa che basta la consapevolezza di pronunciare o scrivere frasi oggettivamente offensive e la volontà di comunicarle a più persone. La Corte ha specificato che il dolo può assumere anche la forma del ‘dolo eventuale’: l’agente deve essere consapevole che le sue parole sono socialmente interpretabili come offensive e deve accettare il rischio della loro diffusione. La pubblicazione volontaria di un video su Facebook, con la sua prevedibile e indefinita propagazione, integra pienamente questo requisito.

Il Concorso di Persone nel Reato di Diffamazione su Facebook

La Corte ha rigettato anche il motivo di ricorso di uno degli imputati, che sosteneva di non aver contribuito materialmente alla diffamazione. I giudici hanno invece sottolineato che l’azione era stata ‘corale’ e frutto di una ‘piena condivisione’. L’imputato non si era limitato ad essere presente, ma aveva introdotto le dichiarazioni dell’altro, le aveva enfatizzate usando metafore e aveva sottolineato l’entità della somma di denaro. Questo comportamento costituisce un contributo concreto al rafforzamento del proposito criminoso e, quindi, un pieno concorso nel reato.

Il Diniego delle Attenuanti Generiche

Infine, la Cassazione ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito di non concedere le circostanze attenuanti generiche. Tale diniego è stato motivato sulla base di indici negativi come la gravità e l’ampia diffusività della condotta e l’intensità del dolo. La Corte ha ribadito un principio consolidato: l’assenza di precedenti penali (incensuratezza) non è un elemento che obbliga il giudice a concedere le attenuanti, ma un fattore che può essere considerato neutro, specialmente di fronte a una condotta di particolare gravità.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ribadisce la serietà con cui l’ordinamento giuridico tratta la diffamazione su Facebook e sui social media. Le conclusioni pratiche sono chiare:
1. Irrilevanza del Contesto ‘Riconciliatorio’: Inserire un’accusa grave e specifica in un discorso più ampio con toni apparentemente pacifici non esclude il reato.
2. Consapevolezza della Diffusione: Chi pubblica contenuti online è responsabile della loro diffusione. La scelta di una piattaforma come Facebook implica l’accettazione del rischio che il messaggio raggiunga un numero indeterminato di persone, integrando il dolo richiesto per la diffamazione.
3. Responsabilità Condivisa: Anche chi non pronuncia direttamente la frase offensiva, ma ne introduce, commenta o rafforza il contenuto, concorre pienamente nel reato.
4. Attenuanti non Automatiche: L’assenza di precedenti penali non garantisce uno sconto di pena se la condotta è ritenuta particolarmente grave.

Cosa costituisce diffamazione attraverso un video su Facebook secondo questa sentenza?
Costituisce diffamazione la pubblicazione di un video contenente accuse precise e lesive della reputazione altrui, come l’appropriazione indebita di una somma di denaro. La natura diffamatoria di tali accuse non viene meno anche se inserite in un contesto più ampio che apparentemente mira a una ‘riconciliazione’.

Per essere condannati per diffamazione online è necessario avere l’intenzione specifica di offendere?
No, non è necessario l’intento specifico di offendere (animus iniurandi). È sufficiente il ‘dolo generico’, ovvero la consapevolezza di utilizzare espressioni oggettivamente offensive e la volontà di comunicarle a più persone. La pubblicazione volontaria su un social network, accettando il rischio della sua ampia diffusione, integra questo requisito.

Come viene valutata la responsabilità di chi partecipa a un video diffamatorio senza pronunciare direttamente le offese?
Anche chi non pronuncia le frasi offensive può essere ritenuto pienamente responsabile a titolo di concorso nel reato se fornisce un contributo alla condotta diffamatoria. In questo caso, l’aver introdotto, enfatizzato e sottolineato le dichiarazioni offensive dell’altro è stato considerato un contributo attivo e consapevole al rafforzamento del messaggio diffamatorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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