Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26136 Anno 2024
L/t
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26136 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a TEANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/05/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto annullarsi con rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla determinazione del trattamento sanzioNOMErio, risultando inammissibile il ricorso nel resto;
lette le conclusioni depositate dall’AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIOCOGNOME, nell’interesse delle parti civili, con le quali il difensore ha chiesto confermarsi la sentenza impugnata e ha chiesto condannarsi il ricorrente alla rifusione delle spese come da nota depositata.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Napoli, con la sentenza emessa il 29 maggio 2023, confermava la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che aveva accertato la responsabilità penale di NOME COGNOME in ordine al delitto di diffamazione in danno di NOME COGNOME e NOME COGNOME, rappresentanti legali di due società fornitrici di servizi e beni al comune di Teano, in sintesi alludendo
l’imputato a mezzo post su facebook ad accordi collusivi fra il sindaco e i due imprenditori privati, definiti ‘ditte amiche’.
Il COGNOME veniva condanNOME alla pena detentiva di mesi nove di reclusione e nel doppio grado e al risarcimento del danno nella misura di euro 2500,00 in favore di ciascuna delle parti civili.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di un unico articolato motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il motivo di ricorso deduce violazione di legge e vizio di motivazione.
Dopo una attenta ricostruzione della sentenza di primo grado e delle censure di appello, il ricorrente nelle ultime pagine del ricorso censura la sentenza impugnata in ordine a tre profili.
Il primo attiene alla individuazione del COGNOME come autore dei post diffamatori, rilevando come il ragionamento della Corte territoriale non avrebbe contemplato la circostanza che l’attribuzione del nome a un profilo facebook è consentita a qualunque utente del soda! network, come anche l’uso dello stesso. Ne consegue che il profilo ben poteva essere stato oggetto di uso, per la condotta contestate, da parte di terzi, da individuarsi anche in altri familiari del COGNOME.
In secondo luogo, il ricorrente censura la ritenuta diffamatoria qualità delle affermazioni contestate.
In terzo luogo, non vi sarebbe stata risposta da parte della Corte di appello in ordine alla pena detentiva e alla ragione della stessa, a fronte della sentenza della Corte costituzione del 22 giugno 2021.
Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell’art. 23 comma 8, d.l. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell’art. 7, comma 1, dl. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall’articolo 94 del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall’art. 5-duodecies d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199, nonché entro il 30 giugno 2024 ai sensi dell’art. 11, comma 7, del d.l. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito in legge 23 febbraio 2024, n. 18.
Il Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte – ai sensi dell’art. 23 comma 8, d.l. 127 del 2020 – e ha ritenuto manifestamente infondati i motivi
tutti, ad eccezione di quella relativo alla pena detentiva, per la quale ha chiesto annullarsi con rinvio la sentenza impugnata.
Il difensore delle parti civili ha concluso come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è parzialmente fondato.
Quanto alle prime due doglianze di ricorso le stesse sono infondate.
2.1 In ordine al tema della individuazione dell’autore della diffamazione, la Corte di appello ha ritenuto essere idonea la prova quanto all’attribuzione dello scritto pubblicato attraverso il profilo facebook a COGNOME.
Ciò per il riferimento nominativo all’imputato del profilo e per l’effigie fotografica dello stesso, risultante dalla testimonianza di una delle persone offese, oltre che per la circostanza che lo stesso COGNOME esibiva i post incriminati e, comunque, il contenuto dei post risultava coincidente con il contenuto di un esposto presentato da COGNOME in forma cartacea.
E bene, tale valutazione non risulta né contraddittoria né manifestamente illogica, anzi essendosi la Corte territoriale posta in linea con l’orientamento, condiviso da questo Collegio, per cui è attribuibile il profilo facebook anche su base indiziaria, a fronte della convergenza, pluralità e precisione di dati quali il movente, l’argomento del forum su cui avviene la pubblicazione, il rapporto tra le parti, la provenienza del post dalla bacheca virtuale dell’imputato, con utilizzo del suo nickname, anche in mancanza di accertamenti circa la provenienza del post di contenuto diffamatorio dall’indirizzo IP dell’utenza telefonica intestata all’imputato medesimo. Si è, inoltre, attribuito rilievo, assieme agli elementi indiziari sopra sottolineati, anche all’assenza di denuncia di cd. furto di identità da parte dell’intestatario della bacheca sulla quale vi è stata la pubblicazione dei post incriminati (cfr., Sez. 5, n. 45339-18 del 13/07/2018, COGNOME, n.m.; Sez. 5, n. 8328 del 13/07/2015, dep. 2016, COGNOME, n.m.).
Pertanto, corretta è la decisione della Corte di appello, in quanto in linea con questi criteri logici e connessa a condivise massime di esperienza, che comprovano la provenienza del post da COGNOME, che anche ha omesso di denunciare l’uso illecito eventualmente compiuto da parte di terzi.
Anche l’argomento difensivo dell’uso da parte di altri familiari, oltre che superato dalla coincidenza dell’esposto presentato da COGNOME (e non dai suoi familiari), comunque resta una ipotesi astratta: a tal proposito basti qui richiamare il principio per cui la regola di giudizio compendiata nella formula “al di là di ogni ragionevole dubbio” imponga di pronunciare condanna a condizione che il dato
probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (ex multis Sez. 2, n. 2548/15 del 19 dicembre 2014, Pg in proc. Segura, Rv. 262280). Naturalmente il dubbio deve essere “ragionevole”; tale non è quello che si fonda su un’ipotesi alternativa del tutto congetturale e priva di qualsiasi conferma e la ragionevolezza non può che risultare dalla motivazione, atteso che un dubbio non motivato è già di per sè “non ragionevole” (Sez. 4 n. 48320 del 12 novembre 2009, Durante, Rv. 245879 e in motivazione). Come è nel caso in esame.
2.2 Quanto al secondo argomento di censura, lo stesso è generico, in quanto non si confronta con la motivazione della Corte di appello, che individua nelle espressioni utilizzate il contenuto diffamatorio, in quanto allusivo e suggestivo, in ordine ad illecite cointeressenze fra l’amministratore comunale e le imprese private aggiudicatarie degli appalti, assegnati anche con somma urgenza.
A fronte di censure generiche, che non si confrontano con il tenore delle espressioni e con la valutazione della Corte di appello, ciò che va qui richiamato è che, rispetto alla natura allusiva delle espressioni menzionate, la sentenza impugnata faccia buon governo dei principi in materia, in quanto le notizie e le valutazioni esternate con espressioni dubitative o interrogative, come è nel caso in esame, se non corrispondenti al vero, possono ledere l’altrui reputazione quando le frasi utilizzate nel contesto della comunicazione, in quanto insinuanti e suggestive, siano idonee ad ingenerare nel lettore il convincimento dell’effettiva rispondenza a verità del fatto adombrato (fattispecie relativa ad un articolo di stampa nel quale, sia pure in termini ipotetici, si veicolava il messaggio che un sindaco avesse potuto avallare una speculazione privata illecita mercificando la propria funzione; cfr. Sez. 5, n. 8 del 12/11/2019, dep. 2020, Parovel, Rv. 278318 – 01; mass. conf. N. 45910 del 2005 Rv. 233039 – 01, N. 41042 del 2014 Rv. 260772 – 01).
Per altro verso, rispetto all’invocato diritto di critica politica, pur non risultan lo stesso oggetto di specifica censura, è argomento connesso con la natura diffamatoria delle espressioni: la sentenza impugnata è in sintonia con il principio per cui, ai fini della configurabilità dell’esimente dell’esercizio del diritto di cri politica, è necessario che comunque l’elaborazione critica non sia avulsa da un nucleo di verità, né che l’agente manipoli le notizie o le rappresenti in modo incompleto, in maniera tale che, per quanto il risultato complessivo contenga un nucleo di verità, ne risulti stravolto il fatto, inteso come accadimento di vita puntualmente determiNOME, riferito a soggetti specificamente individuati (Sez. 5,
n. 7798 del 27/11/2018, dep. 2019, Maritan, Rv. 276026 – 01), né che si trascenda in attacchi personali finalizzati ad aggredire la sfera morale altrui (Sez. 5, n. 31263 del 14/09/2020, COGNOME, Rv. 279909 – 01: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta l’esclusione dell’esimente, sia pure nell’ampia visione convenzionale del diritto alla libertà di espressione in contesti di critica politica, nel caso di un articolo di stampa che attribuiva ad un sindaco, senza alcun appiglio oggettivo e mediante travisamento o manipolazione dei fatti storici, il sospetto di mafiosità, per la gestione familistica e clientelare dell’amministrazione comunale; conf. Sez. 5, n. 57005 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274625 01 Sez. 5, n. 8721 del 17/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272432 – 01; Sez. 5, n. 36838 del 20/07/2016, COGNOME, Rv. 268568 – 01).
Il che è quanto accade nel caso in esame, secondo questa Corte, premesso che, in materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare l’offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione, perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta, contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell’imputato (Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014, Demofonti, Rv. 261284; Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278145).
Difetta il principio di verità, nel caso in esame, il nucleo di verità che deve supportare l’esercizio del diritto di critica politica, oltre a essere il contenuto d post non continente e complessivamente diffamatorio.
3. Quanto alla terza doglianza, relativa al trattamento sanzioNOMErio, è invece fondata.
Va richiamato l’intervento della Corte costituzionale che, con la sentenza n. 150 del 2021, dichiarava costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 21 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 10 CEDU, l’art. 13 della legge n. 47 del 1948 al quale faceva rinvio, l’art. 30, comma 4, della legge 6 agosto 1990, n. 223.
La norma censurata /ex specialis rispetto alle due aggravanti previste dall’art. 595 cod. pen., secondo e terzo comma – prevedeva una circostanza aggravante per il delitto di diffamazione, integrata nel caso in cui la condotta sia commessa col mezzo della stampa e consista nell’attribuzione di un fatto determiNOME; in tal caso la pena prevista era quella della reclusione da uno a sei anni e della multa non inferiore a euro 258,00, da applicare in via cumulativa, a meno che non sussistessero, nel caso concreto, circostanze attenuanti giudicate prevalenti o, almeno, equivalenti all’aggravante in esame.
La Corte costituzionale rilevava come tale disposizione fosse incompatibile con il diritto a manifestare il proprio pensiero e la necessaria irrogazione della sanzione detentiva (indipendentemente poi dalla possibilità di una sua sospensione condizionale, o di una sua sostituzione con misure alternative alla detenzione rispetto al singolo condanNOME) fosse da ritenersi ormai incompatibile con l’esigenza di non dissuadere, per effetto del timore della sanzione privativa della libertà personale, la generalità dei giornalisti dall’esercitare la propria crucial funzione di controllo sull’operato dei pubblici poteri.
Aggiungeva la Corte costituzionale che la dichiarazione di illegittimità costituzionale non crea alcun vuoto di tutela al diritto alla reputazione individuale contro le offese arrecate a mezzo della stampa, che continua a essere protetto dal combiNOME disposto del secondo e del terzo comma dello stesso art. 595 cod. pen., il cui alveo applicativo si sarebbe riespanso in seguito alla presente pronuncia.
Veniva anche dichiarato costituzionalmente illegittimo, quindi, in via consequenziale, l’art. 30, comma 4, della legge n. 223 del 1990, il quale prevedeva che nel caso di reati di diffamazione commessi attraverso trasmissioni consistenti nell’attribuzione di un fatto determiNOME, si applicano ai sogcletti di cui al comma 1 le sanzioni previste dall’art. 13 n. 47 del 1948, in quanto quest’ultimo è stato già dichiarato costituzionalmente illegittimo.
E bene, l’impatto della pronuncia della Corte costituzionale riguarda anche il caso della diffamazione con altro mezzo di pubblicità
Infatti, Sez. 5, n. 28340 del 25/06/2021, Boccia, Rv. 281602 – 01 ha chiarito in modo condivisibile che l’applicazione della pena detentiva per il delitto di diffamazione a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, a seguito della sentenza n. 150 del 2021 della Corte costituzionale, è subordinata alla verifica della “eccezionale gravità” della condotta, che, secondo un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, si individua nella diffusione di messaggi diffamatori connotati da discorsi d’odio e di incitazione alla violenza ovvero in campagne di disinformazione gravemente lesive della reputazione della vittima, compiute nella consapevolezza della oggettiva e dimostrabile falsità dei fatti ad essa addebitati.
Pertanto, è stata ritenuta legittima, in relazione all’art. 10 Cedu, secondo un’interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente orientata della norma, l’irrogazione di una pena detentiva, ancorché sospesa, per il delitto di diffamazione commesso, anche al di fuori di attività giornalistica, mediante mezzi comunicativi di rapida e duratura amplificazione (nella specie “Internet”), ove ricorrano «circostanze eccezionali» connesse alla grave lesione di diritti fondamentali, come nel caso di discorsi di odio o di istigazione alla violenza (cfr. Sez. 5, n. 13993 del 17/02/2021, Scaffidi, Rv. 281024 – 01).
Sul punto, pur a fronte di un motivo specifico di appello’ la Corte territoriale non ha fornito alcuna risposta puntuale, in ordine alla ragione della opzione per la pena detentiva in luogo di quella pecuniaria e della sussistenza delle eccezionali ragioni che la giustificano, cosicché occorre, come anche richiesto dalla Procura AVV_NOTAIO, annullare con rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzioNOMErio, dovendo la Corte del rinvio provvedere alla delibazione richiesta secondo i principi di diritto indicati, con una valutazione di merito non consentita a questa Corte di legittimità.
Ne consegue che per la fondatezza del terzo motivo in relazione ai capi della sentenza riguardanti la responsabilità dell’imputato, va verificato il verificarsi della estinzione delle condotte per prescrizione.
Tenendo in conto le cause di sospensione del decorso del termine, pari a 240 giorni, le condotte contestate come consumate fino al 8 gennaio 2016 sono estinte per prescrizione.
Pertanto, vanno dichiarate estinte agli effetti penali le condotte fino al 8 gennaio 2016 e nella determinazione della pena la Corte del rinvio dovrà tenere in conto anche dell’ambito più limitato di condotte in continuazione, a seguito della dichiarazione parziale di estinzione dei reati.
Diversamente per le condotte successive, l’annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione per motivi che non riguardano l’affermazione di responsabilità dell’imputato – come è nel caso in esame il trattamento sanzioNOMErio – determina il passaggio in giudicato della sentenza sul punto e conseguentemente comporta che nel successivo giudizio di rinvio non decorrono ulteriormente i termini di prescrizione (Sez. 5, n. 51098 del 19/09/2019 – dep. 18/12/2019, M, Rv. 27805001, nel caso in cui la Corte ha annullato la sentenza della Corte di appello per non avere valutato, in un processo per il delitto di lesioni personali, i motivi di appello concernenti la configurabilità della provocazione, il trattamento sanzioNOMErio e le statuizioni civili).
Ne consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per i reati estinti per prescrizione, l’annullamento con rinvio quanto al trattamento sanzioNOMErio, il rigetto agli effetti civili del ricorso.
A fronte di tale ultima statuizione, risultando infondati i motivi di ricorso inerenti la responsabilità, il ricorrente va condanNOME perché soccombente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa in favore delle parti civili nella misura di euro 3167,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, limitatamente ai fatti commessi sino al 30.1.2016, perché i reati sono estinti per prescrizione e rigetta per tali fatti il ricorso agli effetti civili.
Annulla la sentenza impugnata per i fatti successivi al 30.1.2016 limitatamente al trattamento sanzioNOMErio e rinvia per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida in complessivi euro 3167,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, 05/04/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente