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Diffamazione social: i limiti del diritto di critica

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per diffamazione social a carico di un utente che aveva accusato un assessore comunale di consumo e spaccio di droga. La sentenza sottolinea che il diritto di critica non può essere invocato se non si è proceduto a un’accurata verifica delle fonti, anche quando le accuse si basano su precedenti provvedimenti giudiziari. Viene inoltre chiarito che il termine per presentare querela per diffamazione online decorre da quando la vittima ha effettiva conoscenza del fatto.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diffamazione Social: Quando il Diritto di Critica Non Basta

La libertà di espressione sui social network è un tema centrale nel dibattito pubblico, ma dove si trova il confine tra critica legittima e reato? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 28621/2025) offre un’analisi cruciale sulla diffamazione social, ribadendo la necessità di un rigoroso onere di verifica delle fonti prima di pubblicare accuse online. Questo caso dimostra come, anche per i non giornalisti, il diritto di critica non sia un’autorizzazione a diffondere notizie non verificate, soprattutto se lesive della reputazione altrui.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine dalla condanna di un uomo per il reato di diffamazione a mezzo stampa, commessa attraverso la pubblicazione di post su due profili di un noto social network. Nei post, l’imputato accusava un assessore alla cultura di un importante comune italiano di essere dedito al “consumo e spaccio di cocaina” e lo definiva “cocainomane”. La condanna, emessa dal Tribunale e confermata dalla Corte d’Appello, è stata quindi impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione.

I Motivi del Ricorso

L’imputato ha basato il suo ricorso su tre motivi principali:

1. Violazione del diritto di cronaca e di critica: Sosteneva che i giudici di merito avessero erroneamente negato l’applicazione della scriminante del diritto di critica. A suo dire, le accuse si basavano su precedenti sentenze e, pertanto, dovevano essere considerate legittime.
2. Tardività della querela: L’imputato lamentava che la querela della persona offesa fosse stata presentata oltre i termini di legge, non essendoci prova del momento esatto in cui la vittima era venuta a conoscenza dei post.
3. Mancato riconoscimento delle attenuanti generiche: Criticava il diniego delle attenuanti, basato unicamente sui suoi precedenti penali, e la sproporzione della multa inflitta, pari a 15.000 euro.

La Decisione della Corte: l’Onere di Verifica nella Diffamazione Social

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le argomentazioni della difesa. La decisione si sofferma in particolare sul primo motivo, offrendo chiarimenti fondamentali sui limiti del diritto di critica nell’era della diffamazione social.

I giudici hanno stabilito che l’onere di verifica delle fonti non è stato assolto dall’imputato. Non è sufficiente basare le proprie affermazioni su precedenti sentenze se queste non vengono lette e interpretate correttamente. Nel caso specifico, le sentenze citate a supporto delle accuse non provavano la veridicità del fatto diffamatorio, ma riguardavano assoluzioni di terzi per motivi procedurali o per mancanza di prove certe. L’imputato, essendo peraltro laureato in giurisprudenza, avrebbe dovuto comprendere la reale portata di quei provvedimenti prima di lanciare accuse così gravi.

Per quanto riguarda la tardività della querela, la Corte ha ribadito un principio consolidato per i reati online: il termine per querelare (dies a quo) decorre dal momento in cui la persona offesa ha effettiva conoscenza del contenuto diffamatorio, non dalla data di pubblicazione. Essendo stato dimostrato che la vittima era stata informata dei post da terzi in un momento successivo, la querela è stata ritenuta tempestiva.

Infine, anche il motivo relativo alle attenuanti generiche è stato giudicato infondato, in quanto la Corte d’Appello aveva adeguatamente motivato la sua decisione.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte Suprema si fondano su un principio cardine: la libertà di manifestazione del pensiero, garantita dalla Costituzione, non può tradursi in un’aggressione indiscriminata all’onore e alla reputazione altrui. Il diritto di critica, per essere considerato una scriminante, deve rispettare tre limiti invalicabili: la veridicità del fatto storico narrato, l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto e la continenza espressiva (cioè l’uso di un linguaggio non gratuitamente offensivo).

La Corte sottolinea che l’obbligo di verificare la verità dei fatti è un dovere imprescindibile. Invocare una ‘scriminante putativa’ (ovvero credere erroneamente di agire nel lecito) richiede che l’accusatore sia fermamente e incolpevolmente convinto della verità di quanto afferma. In questo caso, una lettura attenta delle fonti citate avrebbe svelato l’infondatezza delle accuse, rendendo la condotta dell’imputato colpevole.

Le Conclusioni

Questa sentenza rappresenta un importante monito per tutti gli utenti dei social network. La facilità e l’immediatezza della comunicazione online non diminuiscono la responsabilità legale per ciò che si pubblica. Prima di condividere informazioni o muovere accuse, specialmente se gravi e lesive della dignità altrui, è fondamentale un’attenta e scrupolosa verifica delle fonti. La decisione riafferma che il diritto di critica è un pilastro della democrazia, ma il suo esercizio richiede rigore e rispetto delle regole, per evitare che la libertà di espressione degeneri in diffamazione social.

È possibile invocare il diritto di critica per giustificare un post offensivo su un social network?
Sì, ma solo a condizione che il fatto su cui si basa la critica sia vero, che vi sia un interesse pubblico alla sua conoscenza e che l’esposizione sia corretta e non gratuitamente offensiva. La sentenza sottolinea che è essenziale un’accurata verifica delle fonti prima della pubblicazione.

Quando inizia il termine per presentare querela per una diffamazione online?
Il termine di tre mesi per presentare la querela non inizia dalla data di pubblicazione del post, ma dal momento in cui la persona offesa viene effettivamente a conoscenza del contenuto diffamatorio.

Citare una precedente sentenza giudiziaria è sufficiente per provare la verità di un’accusa ed evitare una condanna per diffamazione social?
No, non è sufficiente. Secondo questa sentenza, è necessario che la sentenza citata provi in modo inequivocabile la verità del fatto che si intende riportare. Una sua errata interpretazione o un’assoluzione di terzi per motivi non legati alla veridicità dell’accusa non costituisce una valida giustificazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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