Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26678 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26678 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: Procuratore della repubblica presso il Tribunale di Lecce nel procedimento a carico di: NOME NOME nato a Galatina il 23/04/1986
avverso la sentenza del 16/05/2024 del Tribunale di Lecce
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, come da requisitoria scritta già depositata;
udito il difensore di parte civile, avv. COGNOME COGNOME che ha depositato note spese e conclusioni, alle quali si è riportato chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata;
udito il difen sore dell’imputato, avv. COGNOME COGNOME che si è associato alla richiesta del Procuratore generale chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, il Tribunale di Lecce ha assolto l’imputato dal reato di cui all’ art. 595, comma 3, cod. pen., ai sensi dell’articolo 530 comma 2 cod.proc.pen. per non essere stata raggiunta la prova della sussistenza del fatto.
All’imputato era stato contestato di avere offeso la reputazione di COGNOME NOME pubblicando su Facebook alcune foto ritraenti sacchi di spazzatura presenti su un terreno di sua proprietà, tra i quali si scorgeva anche la ricevuta di una ricarica di Postepay recante il codice fiscale della persona offesa. Le foto erano accompagnate da un post in cui si esprimeva soddisfazione per il fatto che l’autore dell’abbandono dei rifiuti fosse stato ‘ beccato ‘.
Il Tribunale ha motivato la decisione assolutoria considerando che: in sede di denuncia l’imputato non aveva fatto il nome della persona offesa indicando anzi il nome del presunto autore del fatto come NOME; in nessuno dei post pubblicati su Facebook era stato fatto il nome di NOME e soltanto due parenti erano risaliti all’intestatario del codice fiscale; non rispondeva a verità che ‘ in paese ‘ si parlasse della persona offesa come responsabile dell’abbandono dei rifiuti sul terreno dell’imputato.
Ha proposto appello il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecce chiedendo la riforma della sentenza e la declaratoria della penale responsabilità dell’imputato per il reato ascritto.
Deduce, in particolare che l’imputato si era presentato presso la stazione dei carabinieri, il giorno successivo alla pubblicazione del post sul profilo Facebook per consegnare la ricevuta Postepay recante il codice fiscale del COGNOME, pur senza sporgere alcuna denuncia, e che tale circostanza rendeva agevolmente individuabile la persona offesa; inoltre, il post pubblicato dall’imputato sul suo profilo Facebook era stato visionato da numerosi utenti, come anche dimostrato dai susseguenti commenti ingiuriosi ed altamente offensivi indirizzati contro la persona offesa, indicativi dell’intenzione dell’imputato di offenderne il decoro e l’onore.
La Corte di appello di Lecce, con ordinanza in data 17 ottobre 2024, ha disposto la trasmissione degli atti a questa Corte ex art. 568 ult. comma cod. proc. pen. rilevando l’inappellabilità della sentenza, ai sensi dell’art. 593, comma 3, cod.proc. pen., nel testo modificato dalla riforma Cartabia in vigore dal 30 dicembre 2022, in quanto concernente reato punito con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa.
Il Sostituto Procuratore generale ha concluso, con requisitoria scritta, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore di parte civile ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata.
Il difensore dell’imputato ha depositato memoria con la quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1. In via preliminare deve rilevarsi che «in materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare l’offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell’imputato» (Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019 – dep. 2020, COGNOME, Rv.3 278145 – 01; Sez. 5, n. 486 del 19/09/2014, COGNOME, Rv. 261284; cfr. pure Sez. 5, n. 41869 del 14/02/2013, Fabrizio, Rv. 256706). Questa Corte ha, altresì, già rilevato che: – «il bene giuridico tutelato dall’art. 595 cod. pen. è l’onore nel suo riflesso in termini di valutazione sociale (la reputazione intesa quale patrimonio di stima, di fiducia, di credito accumulato dal singolo nella società e, in particolare, nell’ambiente in cui quotidianamente vive e opera) di ciascuna persona, e l’evento è costituito dalla comunicazione e dalla correlata percezione o percepibilità, da parte di almeno due consociati, di un segno (parola, disegno) lesivo, che sia diretto, non in astratto, ma concretamente, a incidere sulla reputazione di uno specifico cittadino . Si tratta di evento, non fisico, ma, psicologico, consistente nella percezione sensoriale e intellettiva, da parte di terzi, dell’espressione offensiva» (Sez. 5, n. 39059 del 27/06/2019, COGNOME, Rv. 276961 -01). Inoltre, «ai fini della configurabilità del delitto di diffamazione, è necessario che le parole utilizzate siano attributive di qualità sfavorevoli alla persona offesa, ovvero che gettino, comunque, una luce negativa su quest’ultima» (Sez. 5, n. 17944 del 07/02/2020, COGNOME, Rv. 279116 – 01), ossia si sostanzino in un’affermazione che «contiene una carica dispregiativa» tale da essere avvertita nel «comune sentire» come espressione lesiva della reputazione (Sez. 5, n. 4448 del 16/10/2019 – dep. 2020, COGNOME, Rv. 278153 – 01), che può cogliersi anche quando il contesto determini il mutamento del significato apparente di una o più frasi, altrimenti non diffamatorie, attribuendo ad esse un contenuto allusivo percepibile dal soggetto medio.
Anche informazioni generiche, ma allusive a comportamenti di natura illecita e comunicate al pubblico, sono state ritenute idonee ad integrare l’offesa alla
reputazione, quando sia attribuita alla persona offesa la commissione di fatti illeciti non meglio specificati, anche privi di qualsiasi riferimento determinato, ma in maniera idonea ad ingenerare nel lettore medio la convinzione che il soggetto diffamato si sia reso autore di una qualsiasi condotta connotata da illiceità (Sez. 5, n. 47041 del 10/07/2019, Faelutti, Rv. 277742 -01; Sez. 5, Sentenza n. 4298 del 19/11/2015, dep. 2016,Rv. 266026; Sez. 5, Sentenza n. 37124 del 15/07/2008, Rv. 2422019 -01)
Nel caso in esame, a ll’imputato è stato contestato di avere offeso la reputazione di COGNOME NOME attraverso la pubblicazione di alcune foto sul suo profilo Facebook ritraenti sacchi di spazzatura, rinvenuti abbandonati sul terreno del medesimo imputato, compresi altri rifiuti, fra i quali era visibile una ricevuta relativa ad una ricarica Postepay , da cui era desumibile un codice fiscale (riconducibile ad una persona bene individuata). La pubblicazione delle fotografie era accompagnata da commenti fatti dal medesimo imputato, diretti a condannare il gesto dell’abbandono dei rifiuti, e dalla comunicazione dell’intenzione di presentare denuncia ai carabinieri per l’accaduto. Successivamente, il COGNOME presentava, a sua volta, querela per diffamazione ritenendo che l’imputato, con la pubblicazione delle suddette foto ritraenti una ricevuta con il suo codice fiscale, avesse offeso la sua reputazione.
L’assoluzione dell’imputato da parte del Tribunale è risultata fondata sul fatto che: l’imputato non av eva mai espressamente indicato il nome della persona offesa nemmeno quando si è presentato presso la caserma dei carabinieri per denunciare il rinvenimento dei rifiuti abbandonati; in quella medesima sede il medesimo aveva anzi rappresentato di avere visto l’autovettura, dalla quale erano stati abbandonati i rifiuti, indicandone il proprietario come tale COGNOME non essendo stata presentata denuncia alcuna, i carabinieri non hanno effettuato alcuna indagine volta ad accertare a chi corrispondesse il codice fiscale e gli stessi non sono stati in grado di riferire se, in paese, si parlasse del COGNOME come autore del gesto di abbandono di rifiuti; soltanto in una delle fotografie il codice fiscale ‘era più o meno visibile’ , mentre nelle altre foto non era leggibile.
2.1. Sulla base dell’ iter logico seguito dalla sentenza impugnata, le doglianze espresse dal Procuratore, secondo cui in tema di diffamazione non è necessario che la persona offesa risulti indicata nominativamente essendo sufficiente che sia indicata in modo tale da potere essere agevolmente individuata, non colgono nel segno.
L’imputato si è limitato a pubblicare sul suo profilo Facebook , per manifestare la sua protesta e disapprovazione, fotografie che hanno testimoniato un episodio di abbandono di rifiuti sul suo terreno. Ha, altresì, posto in risalto la
ricevuta di una ricarica di pagamento Postepay , dando enfasi a tale circostanza ed aggiungendo il commento che, attraverso tale ricevuta e la foto della targa dell’auto che aveva scaricato i suddetti rifiuti, sarebbe stato possibile risalire all’autore del gesto sconsiderato (‘ho tutte le prove, modello della tua auto con targa, e quindi conosco il tuo simpatico viso e poi mi hai lasciato la tua ricevuta della tua ricarica effettuata sulla tua Postepay con il tuo codice fiscale e numero del tuo conto corrente. Grazie di cuore paesano’) .
Le ragioni dell’assoluzione sono , tuttavia, legate alla circostanza della non completa leggibilità del codice fiscale riconducibile alla persona offesa, oltre al fatto che, dinanzi a i carabinieri, l’imputato non aveva riferito il nome della persona offesa ed alla mancanza di prova che, attraverso tale condotta, il gesto sconsiderato di abbandono dei rifiuti sia stato effettivamente fatto risalire alla persona offesa, o che ne sussistesse la riferibilità. Le superiori circostanze rendono priva di fondamento la doglianza espressa in ricorso relativa al numero indeterminato di persone che potrebbe avere visualizzato il post dal momento, che dallo stesso non era comunque individuato, né immediatamente individuabile, la persona offesa, stante la non perfetta visibilità del codice fiscale.
Le deduzioni svolte in ricorso appaiono, pertanto, inammissibili in quanto non riescono a scalfire la logicità della motivazione resa dal Tribunale, essendo slegate dal piano probatorio acquisito e non accompagnate dalla allegazione di elementi specifici idonei a confutare la correttezza della ricostruzione fattuale svolta.
Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del pubblico ministero
Così è deciso, 22/05/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME