Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 11735 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 11735 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a GENOVA il 21/12/1974
avverso la sentenza del 14/03/2024 della CORTE APPELLO di GENOVA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo udito il difensore
IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Genova confermava la sentenza con cui il tribunale di Savona, in data 22.11.2022, aveva condannato COGNOME Christian alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della costituita parte civile, in relazione al reato ex artt. 110, 595, co. 3, cod. pen., in rubrica ascrittogli, commesso in danno di COGNOME Paolo.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, lamentando, con due motivi di ricorso, 1) violazione di legge e vizio di motivazione, posto che il giudice di appello ometteva di eccepire la tardività della notifica del decreto di citazione a giudizio al difensore d’ufficio dell’imputato, eseguita il 12 febbraio del 2024, per l’udienza del 14 marzo del 2024, in contrasto con il disposto dell’art. 601, co. 3, c.p.p., come modificato dall’art. 34, co. 1, lett. g), n. 3), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, con decorrenza a partire dal 30 dicembre 2022, che impone di rispettare un termine non inferiore a quaranta giorni per comparire; 2) mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla riconducibilità all’imputato dei due articoli diffamatori, pubblicati con la dicitura, il primo, “scritto da ufficio di presidenza”, il secondo “i Banditi”, ufficio di cui, tuttavia, non faceva parte solo l’COGNOME, ma anche i signori COGNOME e COGNOME sicché non vi è alcuna certezza che l’autore degli scritti diffamatori sia stato il ricorrente.
Con requisitoria scritta, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dott. NOME COGNOME chiede che sulla questione processuale articolata con il primo motivo di ricorso, essendovi un contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità, il ricorso venga rimesso alle Sezioni Unite di questa Corte ovvero, in subordine, che venga accolto.
Con conclusioni scritte del 23.9.2024, pervenute a mezzo di posta elettronica certificata, il difensore dell’imputato rinuncia al primo motivo di impugnazione, essendo intervenute, dopo la proposizione del ricorso,
le Sezioni Unite Penali di questa Corte, che, con sentenza del 27.6.2024, hanno risolto il contrasto giurisprudenziale in materia, insistendo, di conseguenza, solo per l’accoglimento del secondo motivo di ricorso.
Con conclusioni scritte del 18.11.2024, pervenute a mezzo di posta elettronica certificata, il difensore della costituita parte civile chiede che la sentenza di appello sia integralmente confermata, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del grado, come da allegata nota spese.
Il ricorso va rigettato per le seguenti ragioni.
Con particolare riferimento al primo motivo di ricorso, a prescindere dalla rinuncia del difensore del ricorrente a coltivarlo, non può non rilevarsi che, come rilevato dallo stesso difensore, le Sezioni Unite hanno risolto la questione di diritto posta dal ricorrente nel senso della infondatezza della censura articolata, affermando il principio, secondo cui la disciplina dell’art. 601, comma 3, cod. proc. pen., introdotta dall’art. 34, comma 1, lett. g), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che individua in quaranta giorni il termine a comparire nei giudizi di appello, è applicabile ai soli atti di impugnazione proposti a far data dal 10 luglio 2024 (cfr. Sez. U, n. 42124 del 27/06/2024, Rv. 287095), laddove l’appello dell’imputato risulta pacificamente proposto prima di tale data.
Infondato appare il secondo motivo di ricorso, che, a ben vedere, si pone ai confini della inammissibilità, perché, come è noto, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482).
In ogni caso si tratta di un rilievo intrinsecamente infondato, perché caratterizzato, se così si può dire, da una manifesta illogicità.
La corte territoriale, invero, con motivazione dotata di intrinseca coerenza logica, ha evidenziato come la riconducibilità all’Abbondanza del contenuto degli articoli diffamatori si desume con certezza dalla
circostanza che, il primo, pubblicato il 7.2.2015, poi richiamato dal secondo, pubblicato il 10.2.2015, reca, in alto a sinistra, la dicitura “scritto da ufficio di presidenza, con chiaro e inequivoco riferimento all’ufficio di presidenza della testata giornalistica on line sulla quale gli articoli in questione sono stati pubblicati, i cui componenti, dunque, con tale dicitura, rivendicavano la paternità degli scritti diffamatori.
Ufficio di presidenza, si badi bene, presieduto dall’imputato, di cui erano componenti anche COGNOME NOME e COGNOME Enrico, la cui partecipazione a tale organo è circostanza non idonea a porre in dubbio la responsabilità di chi quell’organo presiedeva, ma, piuttosto pone il tema del loro concorso nel reato di cui si discute, come dimostrato dal fatto che, come si evince dalla sentenza oggetto di ricorso, per il medesimo reato l’azione penale è stata esercitata anche nei loro confronti a titolo di concorrenti con il ricorrente, essendosi proceduto a carico della Castiglion separatamente, mentre nella stessa sentenza di condanna dell’Abbondanza (gravato da recidiva reiterata, specifica, nel quinquennio) pronunciata in primo grado veniva dichiarato non doversi procedere nei confronti del COGNOME, per essere il reato estinto per sopravvenuto decorso del relativo termine di prescrizione (cfr. pp. 2-3 della sentenza oggetto di ricorso).
6. Al rigetto segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
L’imputato va, altresì, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla costituita parte civile, che si liquidano in complessivi euro 3.600, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 3.600,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 16.2.2024.