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Diffamazione online: la responsabilità del presidente

La Cassazione conferma una condanna per diffamazione online. L’imputato, presidente di un organo editoriale, è stato ritenuto responsabile per articoli diffamatori firmati dall’ufficio di presidenza, nonostante la presenza di altri membri. La Corte ha rigettato sia le eccezioni procedurali sui termini di notifica che le contestazioni sulla riconducibilità dei fatti all’imputato.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diffamazione online: Quando il Presidente è Responsabile per gli Articoli dell’Organo

In un’era digitale dove le parole viaggiano veloci, la diffamazione online rappresenta un campo minato di responsabilità legali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione Penale ha affrontato un caso emblematico, chiarendo i confini della responsabilità individuale all’interno di organi collegiali, come un ufficio di presidenza di una testata giornalistica. La Corte ha stabilito che la posizione di vertice comporta una responsabilità diretta per i contenuti diffamatori pubblicati, anche se firmati collettivamente.

I Fatti di Causa: Dalla Condanna alla Cassazione

Il caso nasce dalla condanna di un individuo, presidente di un ufficio di presidenza di una testata online, per il reato di diffamazione aggravata in concorso. La condanna, emessa dal Tribunale e confermata in Appello, riguardava due articoli ritenuti lesivi della reputazione di un’altra persona. L’imputato ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, basandolo su due motivi principali: uno di natura procedurale e uno di merito.

I Motivi del Ricorso: Tra Vizi Procedurali e Onere della Prova

Il ricorrente ha sollevato due questioni distinte per cercare di ottenere l’annullamento della sentenza di condanna.

La Questione sul Termine a Comparire

Il primo motivo di ricorso riguardava un presunto vizio procedurale. Secondo la difesa, la notifica del decreto di citazione per il giudizio d’appello non aveva rispettato il nuovo termine di quaranta giorni introdotto dalla Riforma Cartabia (d.lgs. 150/2022). Si trattava di una questione tecnica ma di fondamentale importanza per la validità del processo.

La Riconducibilità degli Articoli Diffamatori

Il secondo motivo, di natura sostanziale, contestava la riconducibilità degli scritti diffamatori all’imputato. La difesa sosteneva che gli articoli erano stati pubblicati con la dicitura “scritto da ufficio di presidenza”, un organo di cui facevano parte anche altre persone. Di conseguenza, mancava la certezza assoluta che l’imputato fosse l’effettivo autore dei contenuti, rendendo la condanna ingiusta.

La Diffamazione online e l’Analisi della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i motivi di ricorso, confermando la condanna e fornendo importanti chiarimenti su entrambe le questioni sollevate.

La Soluzione Procedurale delle Sezioni Unite

Sul primo punto, la Corte ha osservato che la difesa aveva rinunciato al motivo. Tuttavia, ha colto l’occasione per ribadire un principio di diritto stabilito dalle Sezioni Unite Penali con la sentenza n. 42124 del 2024: il nuovo termine a comparire di quaranta giorni si applica solo agli atti di impugnazione proposti a partire dal 1° luglio 2024. Poiché l’appello in questione era stato presentato prima di tale data, la notifica era da considerarsi pienamente valida.

La Responsabilità del Presidente e la Prova Logica

Sul secondo motivo, relativo alla responsabilità per diffamazione online, la Corte lo ha ritenuto infondato e manifestamente illogico. I giudici hanno sottolineato che il loro ruolo non è quello di riesaminare i fatti, ma di controllare la logicità della motivazione della sentenza impugnata. In questo caso, la Corte d’Appello aveva correttamente dedotto la responsabilità dell’imputato da un dato di fatto inequivocabile: egli presiedeva l’ufficio di presidenza che aveva rivendicato la paternità degli scritti. La presenza di altri membri non escludeva la sua responsabilità, ma poneva semmai il tema del loro concorso nel reato, come dimostrato dal fatto che anche nei loro confronti era stata esercitata l’azione penale.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su due pilastri. Il primo è il rispetto del principio di diritto stabilito dalle Sezioni Unite per le questioni procedurali, garantendo certezza e uniformità nell’applicazione delle nuove norme. Il secondo, più sostanziale, è basato sulla logica e sul principio di responsabilità legato al ruolo ricoperto. La Corte ha ritenuto che la dicitura “scritto da ufficio di presidenza”, lungi dal creare incertezza, costituisse un chiaro riferimento all’organo presieduto dall’imputato, rendendo logicamente deducibile la sua riconducibilità ai contenuti diffamatori. La Corte ha precisato che la valutazione del giudice di merito, se dotata di intrinseca coerenza logica, non può essere messa in discussione in sede di legittimità attraverso una diversa lettura degli elementi di fatto.

Le Conclusioni

Con questa sentenza, la Corte di Cassazione ribadisce che chi ricopre ruoli apicali all’interno di organi editoriali non può nascondersi dietro una firma collettiva per sfuggire alla responsabilità per diffamazione online. La presidenza di un organo che rivendica la paternità di uno scritto costituisce un elemento di prova logica sufficiente per attribuire la responsabilità del contenuto, salvo prova contraria. La decisione conferma la condanna e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al risarcimento in favore della parte civile, fissato in 3.600 euro oltre accessori.

A partire da quando si applica il nuovo termine di 40 giorni per la notifica della citazione in appello introdotto dalla Riforma Cartabia?
Secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 42124/2024), il nuovo termine si applica esclusivamente agli atti di impugnazione proposti a far data dal 1° luglio 2024.

In caso di diffamazione online, il presidente di un ‘ufficio di presidenza’ è responsabile per un articolo firmato collettivamente dall’ufficio stesso?
Sì. Secondo la Corte, il fatto che l’imputato presiedesse l’organo che rivendicava la paternità degli scritti diffamatori è un elemento sufficiente a desumere con certezza la sua responsabilità. La partecipazione di altri membri non esclude la sua colpa, ma può configurare un concorso di persone nel reato.

La Corte di Cassazione può riesaminare i fatti di un processo?
No. La sentenza ribadisce che al giudice di legittimità è preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata. Il suo compito è verificare la correttezza giuridica e la coerenza logica della motivazione della sentenza, non proporre una nuova valutazione dei fatti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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