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Diffamazione online: la competenza del tribunale

Un noto personaggio pubblico è stato condannato per diffamazione online ai danni di un sindaco. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, chiarendo i criteri per determinare la competenza territoriale. In caso di diffamazione online, se non è possibile individuare il luogo dove il contenuto è stato caricato (upload), la competenza spetta al giudice del luogo di residenza dell’imputato al momento del fatto.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diffamazione online: la Cassazione chiarisce la competenza del tribunale

Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha fornito un’importante chiave di lettura per risolvere una delle questioni più complesse legate alla diffamazione online: la determinazione del giudice competente a decidere il caso. La pronuncia stabilisce un percorso logico preciso, che parte dall’individuazione del luogo di caricamento del contenuto e, in subordine, arriva alla residenza dell’imputato, offrendo così certezza giuridica in un ambito, quello del web, per sua natura privo di confini fisici.

I fatti del caso

Un noto personaggio pubblico veniva condannato in primo grado e in appello per il reato di diffamazione aggravata, per aver offeso la reputazione di un sindaco attraverso dichiarazioni diffuse su diverse piattaforme telematiche, tra cui un quotidiano online e noti social media. L’imputato, tramite il suo difensore, proponeva ricorso per cassazione, sollevando principalmente due questioni: l’incompetenza territoriale del tribunale che lo aveva giudicato e l’errata valutazione della recidiva.

La questione della competenza territoriale nella diffamazione online

Il punto centrale del ricorso riguardava l’individuazione del locus commissi delicti, ovvero il luogo dove il reato si è consumato. Secondo la difesa, il processo si sarebbe dovuto tenere presso il tribunale della città dove aveva sede la testata giornalistica online o, in subordine, dove si presumeva fosse avvenuto il caricamento del file. Si sosteneva che il tribunale che aveva emesso la sentenza fosse territorialmente incompetente.

La Corte d’Appello, invece, aveva confermato la competenza basandosi su un criterio diverso, data l’impossibilità di accertare con certezza il luogo fisico da cui era partito l’upload del contenuto diffamatorio.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione dei giudici di merito e consolidando un orientamento giurisprudenziale cruciale per i reati commessi su Internet.

La regola generale: il luogo dell’upload

I giudici hanno ribadito che, nella tematica dei reati di diffamazione commessi tramite rete telematica, il criterio principale per radicare la competenza territoriale è il luogo in cui è avvenuto il caricamento (upload) del dato informatico. Questo perché l’upload rappresenta l’ultimo segmento dell’azione noto e rintracciabile, che precede la diffusione potenzialmente planetaria del contenuto.

Il criterio suppletivo della residenza dell’imputato

Il vero nodo della questione, e la parte più rilevante della sentenza, emerge quando l’accertamento del luogo di upload è impossibile o estremamente complicato, come nel caso di specie. La Corte ha chiarito che, in tale ipotesi, non si può lasciare il processo in un limbo di incertezza. Si deve quindi ricorrere ai criteri suppletivi previsti dal codice di procedura penale.

Nello specifico, trova applicazione l’articolo 9, comma 2, del codice, che individua la competenza nel luogo di residenza, domicilio o dimora dell’imputato al momento della commissione del reato. Nel caso esaminato, poiché il sito di upload del file era rimasto ignoto e il contenuto era stato veicolato simultaneamente su più piattaforme, era corretto applicare questo criterio sussidiario. Essendo l’imputato residente, all’epoca dei fatti, in un comune rientrante nel circondario del tribunale che lo ha giudicato, la competenza di quest’ultimo è stata ritenuta correttamente stabilita.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sulla necessità di bilanciare la natura immateriale del web con l’esigenza di avere regole processuali certe. Il reato di diffamazione si consuma quando la comunicazione lesiva viene percepita da almeno due persone. Tuttavia, nel mondo virtuale, tracciare il luogo esatto di questa percezione è quasi sempre impossibile. Per questo, la giurisprudenza ha individuato nell’atto del caricamento (upload) il momento più significativo dell’azione del reo. Quando anche questo dato è incerto, l’unico ancoraggio oggettivo e affidabile per la legge diventa il collegamento personale dell’imputato con il territorio, ovvero la sua residenza. Questa soluzione, secondo la Corte, evita indagini complesse e spesso infruttuose, garantendo al contempo che il processo si svolga davanti a un giudice predeterminato per legge. Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, la Corte ha ritenuto che la valutazione sulla recidiva fosse stata corretta, data la pluralità di precedenti specifici e la loro contiguità temporale con il reato in giudizio.

Le conclusioni

La sentenza consolida un principio di fondamentale importanza pratica: per la diffamazione online, la competenza territoriale si determina in primo luogo cercando il luogo di caricamento del contenuto. Se questo non è individuabile, il processo si terrà davanti al giudice del luogo in cui l’imputato aveva la residenza al momento del fatto. Questa regola gerarchica fornisce uno strumento chiaro per gli operatori del diritto, garantendo certezza e prevenendo dispute processuali che potrebbero ritardare la giustizia.

Come si determina il tribunale competente per un reato di diffamazione online?
La competenza si determina, in via principale, in base al luogo in cui è avvenuto il caricamento (upload) del contenuto diffamatorio sulla rete Internet. Questo perché l’upload è considerato l’ultimo atto dell’azione riconducibile all’autore del reato.

Cosa succede se non è possibile identificare il luogo da cui il contenuto è stato caricato?
Se l’accertamento del luogo di upload è impraticabile o impossibile, si applicano i criteri suppletivi previsti dalla legge. La competenza spetta quindi al giudice del luogo in cui l’imputato aveva la residenza, il domicilio o la dimora al momento della commissione del reato.

La recidiva viene sempre applicata se un imputato ha precedenti penali?
Non automaticamente. Il giudice deve valutare il rapporto tra i fatti per cui si procede e le condanne precedenti, verificando se queste indichino una perdurante inclinazione a delinquere. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la pluralità dei precedenti specifici e la loro vicinanza temporale giustificassero il mantenimento dell’aggravante della recidiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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