LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Diffamazione online: chi scrive dietro un nickname?

Un utente è stato condannato per diffamazione online per un articolo pubblicato con uno pseudonimo. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna, respingendo il ricorso dell’imputato. La sentenza stabilisce che per provare la paternità di uno scritto diffamatorio non è indispensabile l’accertamento tecnico dell’indirizzo IP. L’identificazione dell’autore può basarsi su una serie di elementi logici e convergenti, come l’uso abituale dello stesso nickname da parte dell’imputato e la sua mancata denuncia per furto d’identità digitale.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diffamazione Online: L’Uso del Nickname non Salva dalla Condanna

Nell’era digitale, la diffamazione online rappresenta una delle insidie più comuni e complesse da affrontare. La facilità con cui è possibile pubblicare contenuti sotto pseudonimo o “nickname” crea spesso l’illusione dell’impunità. Tuttavia, una recente sentenza della Corte di Cassazione chiarisce che nascondersi dietro un alias non è sufficiente a eludere le proprie responsabilità. Il caso in esame dimostra come la giustizia possa identificare l’autore di un reato anche senza ricorrere a complesse indagini tecniche come la tracciatura dell’indirizzo IP.

I Fatti del Caso: un Articolo e un Nickname Sospetto

La vicenda giudiziaria ha origine dalla pubblicazione di un articolo su un sito di notizie online, ritenuto lesivo della reputazione di un cittadino. L’autore dell’articolo non aveva usato il proprio nome, ma uno specifico nickname. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano riconosciuto un blogger come colpevole del reato di diffamazione aggravata, basandosi su una serie di indizi. In particolare, era emerso che lo stesso nickname, in altri articoli pubblicati sul medesimo blog, era stato associato al nome e cognome dell’imputato.

I Motivi del Ricorso e la questione della Prova nella Diffamazione Online

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando principalmente tre vizi di motivazione:

1. Mancanza di prove certe sull’identificazione: La difesa sosteneva che l’associazione tra il nickname e il nome dell’imputato non fosse una prova inequivocabile, poiché su un blog chiunque può teoricamente postare articoli.
2. Assenza di accertamenti tecnici: Veniva criticata la mancata verifica dell’indirizzo IP di provenienza del post e l’analisi dei file di log, unici strumenti, a dire della difesa, in grado di provare con certezza la paternità dello scritto.
3. Insussistenza del fatto: Si contestava persino che l’articolo fosse mai stato pubblicato, dato che agli atti era presente solo una copia e non uno screenshot con codice sorgente o altra prova tecnica della sua effettiva messa online.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo e confermando la condanna. La decisione si fonda su un principio consolidato: la prova della responsabilità penale non deriva necessariamente da un singolo elemento tecnico, ma può essere raggiunta attraverso un’analisi logica di una pluralità di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti.

Le Motivazioni: Come si Prova la Diffamazione Online senza l’IP?

La Corte ha spiegato che la riferibilità del fatto diffamatorio all’imputato non richiede obbligatoriamente accertamenti tecnici come la verifica dell’indirizzo IP, i quali non costituiscono una “prova legale” il cui valore è assoluto. La prova può, infatti, essere desunta da altri dati, quali:

* L’uso ricorrente del nickname: Nel caso specifico, lo pseudonimo era stato utilizzato in altri articoli del blog in cui compariva anche il nome per esteso dell’imputato, che non ne aveva mai contestato la paternità.
* Il contesto e il rapporto tra le parti: Anche se non esplicitato nel dettaglio, il movente e le relazioni tra l’autore e la vittima possono costituire un indizio.
* La mancata denuncia di “furto d’identità”: L’elemento forse più decisivo. La Corte ha sottolineato che l’imputato non aveva mai sporto denuncia contro ignoti per l’utilizzo abusivo del suo nickname. Questo silenzio è stato interpretato come un’implicita ammissione che fosse proprio lui a gestire e utilizzare quello pseudonimo. Se un terzo avesse illecitamente usato il suo alias, sarebbe stato logico e necessario per lui denunciarlo per tutelarsi.

Infine, per quanto riguarda la prova dell’esistenza dell’articolo, i giudici hanno ritenuto sufficiente la deposizione di un testimone della polizia giudiziaria che aveva affermato di aver personalmente visto l’articolo pubblicato sul blog. Questa testimonianza è stata considerata attendibile e idonea a dimostrare il fatto, superando la necessità di prove documentali tecniche.

Conclusioni: Le Implicazioni per chi Scrive Online

Questa sentenza invia un messaggio chiaro: l’anonimato garantito da un nickname su internet è tutt’altro che assoluto. Le corti possono ricostruire la responsabilità individuale attraverso un ragionamento logico-deduttivo basato su indizi concreti. Chi utilizza uno pseudonimo in modo continuativo e riconoscibile ne diventa, di fatto, il “proprietario” agli occhi della legge. La mancata dissociazione da contenuti pubblicati con quel nickname, soprattutto attraverso una formale denuncia in caso di abuso da parte di terzi, può essere interpretata come una tacita assunzione di paternità. Pertanto, la responsabilità per ciò che si scrive online rimane un principio cardine, e l’illusione di poter diffamare impunemente dietro uno schermo si rivela, ancora una volta, infondata.

È sempre necessario l’accertamento tecnico dell’indirizzo IP per provare la diffamazione online?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che la riferibilità del fatto diffamatorio all’imputato può essere desunta anche da una pluralità di dati convergenti e precisi, senza che sia indispensabile la verifica tecnica dell’indirizzo IP, che non costituisce una prova legale necessaria.

Quali elementi possono essere usati per identificare l’autore di un post diffamatorio pubblicato con un nickname?
L’identificazione può basarsi su elementi come l’uso abituale di quel nickname da parte dell’imputato, l’associazione dello stesso nickname al suo nome completo in altri contesti, e, in modo significativo, la mancata denuncia di un “furto di identità” o di un uso abusivo del proprio profilo o pseudonimo.

La semplice copia di un articolo online, senza uno screenshot certificato, è sufficiente a provarne l’esistenza?
Sì, secondo la Corte, l’esistenza dell’articolo può essere provata anche attraverso la testimonianza di chi lo ha personalmente visionato online, come un agente di polizia giudiziaria. La deposizione testimoniale è stata ritenuta sufficiente a dimostrare l’effettiva pubblicazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati