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Diffamazione non aggravata: il caso del volantino

La Corte di Cassazione conferma la condanna per diffamazione non aggravata di due individui che avevano affisso un volantino offensivo in un bar. La Corte ha stabilito che la visione da parte di sole tre persone e la rapida rimozione del volantino escludono l’aggravante del “mezzo di pubblicità”, non essendo stato raggiunto un numero indeterminato di persone.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diffamazione non aggravata: quando un volantino non è un “mezzo di pubblicità”?

La recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un caso di diffamazione non aggravata, fornendo chiarimenti cruciali sulla distinzione tra la fattispecie base del reato e quella aggravata dall’uso di un mezzo di pubblicità. La vicenda, che riguarda un volantino offensivo affisso in un bar, permette di analizzare i confini applicativi dell’articolo 595 del Codice Penale e l’interesse ad agire dell’imputato.

I Fatti del Caso

Due individui venivano condannati in primo e secondo grado per il reato di diffamazione. Secondo l’accusa, i due avevano concorso a predisporre e affiggere in un bar uno striscione (risultato poi essere un foglio A4) contenente una frase altamente offensiva nei confronti di un’altra persona, accusandola di essere un ladro e rivolgendo espressioni denigratorie anche ai suoi sostenitori. La prova della loro responsabilità si basava principalmente sulle riprese delle videocamere di sorveglianza del locale, le quali mostravano uno degli imputati consegnare il foglio al coimputato, che poi lo affiggeva. Il volantino veniva notato da almeno tre persone presenti nel bar prima di essere prontamente rimosso.

La questione della diffamazione non aggravata e la competenza

I difensori degli imputati proponevano ricorso per cassazione lamentando diversi vizi. In particolare, uno dei ricorrenti sosteneva l’incompetenza per materia del Giudice di Pace, il quale aveva emesso la prima condanna. Secondo la difesa, l’uso di un volantino per diffondere il messaggio offensivo avrebbe dovuto integrare l’ipotesi di diffamazione aggravata dall’uso di un “qualsiasi altro mezzo di pubblicità” (art. 595, comma 3, c.p.), reato di competenza del Tribunale. Si lamentava inoltre una discordanza tra il fatto descritto nel capo d’imputazione e quello effettivamente ritenuto in sentenza, con conseguente lesione del diritto di difesa.

L’altro imputato contestava invece il suo concorso nel reato, sostenendo di essersi limitato a consegnare un foglio piegato al coimputato senza conoscerne il contenuto, e che la motivazione della sentenza d’appello sul punto fosse meramente apparente.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i ricorsi, ritenendoli infondati.

In primo luogo, la Corte ha dichiarato inammissibile il motivo relativo all’incompetenza del giudice. Ha ribadito un principio consolidato: l’imputato non ha interesse a impugnare una condanna per un reato meno grave (di competenza del Giudice di Pace) sostenendo che avrebbe dovuto essere processato per un reato più grave (di competenza del Tribunale). Un simile accoglimento, infatti, non porterebbe a una situazione più vantaggiosa per il ricorrente.

Nel merito, i giudici hanno chiarito che, per configurare l’aggravante del mezzo di pubblicità, è necessario che lo strumento utilizzato abbia la capacità diffusiva di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone. Nel caso di specie, il volantino era stato affisso in un bar, visto da sole tre persone e rimosso dopo pochi minuti. Questa limitata percezione, secondo la Corte, esclude la natura di “mezzo di pubblicità”, rendendo corretta la qualificazione del fatto come diffamazione non aggravata (o semplice), prevista dal primo comma dell’art. 595 c.p. Di conseguenza, non vi era alcuna discrasia tra l’accusa formulata e la condanna emessa, poiché sia la rubrica che le sentenze di merito avevano sempre fatto riferimento alla diffamazione semplice, escludendo l’aggravante. La difesa ha avuto piena possibilità di comprendere l’accusa e di controbattere punto per punto.

Infine, la Corte ha ritenuto correttamente motivata la responsabilità di entrambi gli imputati, la cui cooperazione era stata provata dalle videoregistrazioni e dalle testimonianze.

Conclusioni

La sentenza in esame offre un’importante lezione sulla distinzione tra diffamazione semplice e aggravata. Non è la natura dello strumento (un volantino, un post, uno striscione) a determinare automaticamente l’aggravante, ma la sua concreta potenzialità diffusiva nel caso specifico. Un messaggio offensivo, anche se scritto, che raggiunge un numero esiguo e determinato di persone a causa della sua rapida rimozione, configura il reato di diffamazione semplice. Questa pronuncia conferma che la valutazione deve essere condotta caso per caso, analizzando l’effettiva portata offensiva e la capacità del mezzo di ledere la reputazione della vittima su vasta scala.

Quando un’offesa scritta su un volantino integra la diffamazione aggravata dal mezzo di pubblicità?
Secondo la Corte, l’aggravante del mezzo di pubblicità si configura non per il solo utilizzo di uno strumento come un volantino, ma solo quando questo ha la capacità concreta di raggiungere un numero indeterminato o quantitativamente apprezzabile di persone. Se il volantino viene visto solo da un numero limitato di persone (tre in questo caso) e prontamente rimosso, il reato rimane una diffamazione non aggravata.

L’imputato può contestare la competenza del giudice sostenendo che il reato commesso è più grave di quello per cui è stato condannato?
No, la Corte ha stabilito che l’imputato non ha interesse a sollevare una tale eccezione. L’eventuale accoglimento del ricorso, che porterebbe alla riqualificazione del fatto in un reato più grave, non determinerebbe una situazione pratica più vantaggiosa per l’imputato stesso, rendendo il motivo di ricorso inammissibile.

Perché la Corte ha ritenuto che non ci fosse discordanza tra l’accusa e la sentenza?
La Corte ha ritenuto che non vi fosse alcuna discordanza perché il capo d’imputazione contestava chiaramente la violazione dell’art. 595, primo comma (diffamazione semplice), e descriveva i fatti in modo preciso. Le sentenze di merito hanno condannato gli imputati per esattamente quel reato, escludendo l’aggravante del mezzo di pubblicità. Pertanto, l’imputato ha sempre avuto piena conoscenza dei fatti e delle norme contestate, potendo esercitare appieno il proprio diritto di difesa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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