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Diffamazione militare: quando la critica è reato

Due militari, dopo essere stati sanzionati a seguito di una segnalazione del loro superiore, scrivevano relazioni di servizio contenenti accuse false contro di lui. La Corte di Cassazione ha confermato la loro condanna per diffamazione militare, stabilendo che le loro azioni non rientravano nel diritto di critica, ma costituivano un attacco deliberato alla reputazione dell’ufficiale, aggravato dalla diffusione delle accuse a personale non autorizzato.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diffamazione Militare: La Sottile Linea tra Critica e Reato

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 13982/2024 offre un’analisi cruciale sulla diffamazione militare, delineando i confini tra l’esercizio legittimo del diritto di critica e la condotta penalmente rilevante. Il caso riguarda due militari condannati per aver offeso la reputazione di un loro superiore attraverso relazioni di servizio contenenti accuse false, in un atto che la Corte ha interpretato come una ritorsione piuttosto che una legittima doglianza.

I Fatti: Una Ritorsione Travestita da Relazione di Servizio

La vicenda ha origine quando un ufficiale superiore segnala una condotta illecita di due suoi sottoposti, i quali vengono successivamente condannati in via definitiva per abbandono di posto e violata consegna. Pochi giorni dopo essere venuti a conoscenza della segnalazione a loro carico, i due militari redigono e trasmettono due relazioni di servizio identiche, contenenti espressioni gravemente lesive della professionalità e della dignità del loro superiore.

Queste relazioni non si limitano a raggiungere il destinatario gerarchico, ma vengono portate a conoscenza anche di altri due militari dell’unità, che non avrebbero avuto titolo per riceverle. Secondo l’accusa, questo dimostra l’intenzione non di difendersi o di sollevare un problema di servizio, ma di diffondere il più ampiamente possibile le accuse per screditare l’ufficiale.

Il Percorso Giudiziario: Dall’Assoluzione alla Condanna

In primo grado, il Tribunale militare aveva assolto i due imputati. Tuttavia, la Corte militare di appello, accogliendo l’impugnazione del pubblico ministero, ha completamente ribaltato la decisione. Ha ritenuto i due militari colpevoli del reato di diffamazione pluriaggravata in concorso, condannandoli a pene detentive militari e al risarcimento del danno in favore della parte civile, ovvero l’ufficiale diffamato.

La difesa dei militari ha quindi proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che le loro relazioni rientrassero nell’esercizio del diritto di critica e fossero finalizzate unicamente a perorare una richiesta di trasferimento, lamentando una violazione di legge da parte della Corte di appello.

Il Diritto di Critica e la Diffamazione Militare secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili, confermando in toto la sentenza di condanna. Il punto centrale della decisione riguarda la distinzione tra diritto di critica e diffamazione. La Corte ha chiarito che il diritto di critica non può mai basarsi su fatti falsi attribuiti alla persona criticata. Nel caso di specie, le accuse mosse all’ufficiale si sono rivelate infondate, trasformando la presunta critica in un’aggressione gratuita alla sua reputazione.

Le Motivazioni della Decisione

La Cassazione ha fondato la sua decisione su diversi pilastri argomentativi:

1. Motivazione ‘Rafforzata’: La Corte di appello ha fornito una motivazione definita ‘rafforzata’, ovvero non si è limitata a presentare una lettura alternativa dei fatti, ma ha sottoposto a una profonda e articolata revisione critica la sentenza di primo grado, spiegando perché le prove acquisite avessero una valenza dimostrativa diversa e più persuasiva.

2. Intento Diffamatorio: L’intento di ledere la reputazione è stato desunto non solo dal contenuto delle relazioni, ma anche dalle modalità di trasmissione. L’invio a personale non competente a riceverle è stato considerato una prova inequivocabile della volontà di diffondere le accuse nell’ambiente militare, al di là di ogni legittima procedura gerarchica.

3. Insussistenza del Diritto di Critica: La Corte ha ribadito che la scriminante del diritto di critica è inapplicabile quando le accuse sono false. La condotta degli imputati non era finalizzata a una corretta dialettica funzionale, ma a un’aggressione immotivata basata su fatti non veritieri.

4. Genericità del Ricorso: I motivi presentati dai ricorrenti sono stati giudicati generici e manifestamente infondati. Essi non si sono confrontati con le argomentazioni della Corte di appello, ma si sono limitati a riproporre la propria versione dei fatti. Inoltre, hanno violato il principio di autosufficienza del ricorso, omettendo di allegare o trascrivere integralmente gli atti su cui basavano le loro censure, rendendo impossibile per la Corte valutarne la fondatezza.

Le Conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un importante monito sui limiti del dissenso e della critica all’interno di contesti gerarchicamente strutturati come quello militare. La Corte di Cassazione afferma con chiarezza che la libertà di espressione non può essere uno scudo per condotte che mirano deliberatamente a distruggere la reputazione altrui attraverso la diffusione di notizie false. La decisione conferma che la valutazione dell’intento e la veridicità dei fatti sono elementi discriminanti per distinguere una critica legittima da una diffamazione militare penalmente perseguibile. Infine, sottolinea il rigore formale richiesto nei ricorsi per Cassazione, che non possono trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti.

Quando la critica a un superiore in ambito militare diventa reato di diffamazione?
Secondo la sentenza, la critica diventa reato quando si basa sull’attribuzione di fatti falsi e ha lo scopo di aggredire la reputazione di una persona, piuttosto che esprimere una legittima disapprovazione. La diffusione di tali accuse a personale non autorizzato è una prova dell’intento diffamatorio.

È possibile presentare un ricorso in Cassazione limitandosi a contestare la valutazione dei fatti fatta dal giudice di appello?
No. La sentenza ribadisce che un ricorso per cassazione è inammissibile se è generico, non si confronta in modo specifico con le motivazioni della sentenza impugnata e si limita a sollecitare una nuova valutazione dei fatti, cosa che non rientra nei poteri della Corte di Cassazione.

Perché la Corte di appello ha potuto ribaltare l’assoluzione di primo grado?
La Corte di appello ha potuto riformare la sentenza di primo grado perché ha fornito una ‘motivazione rafforzata’, riesaminando in modo approfondito e critico le prove e giungendo a conclusioni diverse e più persuasive riguardo alla colpevolezza degli imputati, in particolare sull’intento diffamatorio e sulla falsità delle accuse.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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