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Diffamazione in CDA: chi può sporgere querela?

Un consigliere di amministrazione viene condannato per diffamazione in CDA dopo aver accusato due soci di un’altra azienda di riciclaggio. La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il suo ricorso, stabilendo che la legittimità a sporgere querela non dipende dalla menzione esplicita nel verbale, ma dall’effettiva intenzione diffamatoria provata tramite testimoni. La sentenza ribadisce che la Cassazione non può riesaminare i fatti, ma solo la corretta applicazione della legge.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diffamazione in CDA: La Cassazione sulla validità della querela

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Penale, affronta un caso emblematico di diffamazione in CDA, fornendo chiarimenti cruciali sulla legittimazione a sporgere querela e sui limiti del giudizio di legittimità. La vicenda riguarda un consigliere di amministrazione condannato per aver offeso la reputazione di due fratelli imprenditori durante una riunione societaria, accusandoli di riciclaggio ed evasione fiscale. La Corte ha confermato la condanna, dichiarando inammissibile il ricorso e ribadendo principi fondamentali in materia di prova e procedura penale.

I Fatti: Accuse di Riciclaggio Durante una Riunione Societaria

Durante una riunione del consiglio di amministrazione di una società immobiliare, un consigliere ha rilasciato dichiarazioni pesanti nei confronti di due fratelli, soci di un’altra impresa. Le sue parole, fatte mettere a verbale, erano: “non accetto i soldi provenienti dal sig. [Nome] e dal sig. [Nome], in quanto trattasi di soldi riciclati e frutto di evasione fiscale”. Queste affermazioni, pronunciate alla presenza di più persone, hanno dato origine a una querela per diffamazione aggravata (art. 595 c.p.) da parte di entrambi i fratelli.

Sia il Tribunale che la Corte di Appello hanno ritenuto l’imputato colpevole, confermando la sua responsabilità penale per aver leso la reputazione delle persone offese.

Il Ricorso dell’Imputato per Diffamazione in CDA

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali. In primo luogo, ha contestato la legittimazione a sporgere querela da parte di uno dei due fratelli, sostenendo che le sue parole fossero dirette solo all’altro e che il verbale fosse stato manipolato. In secondo luogo, ha lamentato un’errata qualificazione giuridica del fatto, sempre a causa della presunta alterazione della frase riportata in querela. Infine, ha criticato la motivazione dei giudici di merito per non aver considerato la presunta falsità inserita nell’atto di querela.

In sostanza, la difesa mirava a dimostrare che, essendo stata offesa una sola persona, la querela presentata anche dall’altra era invalida, rendendo l’azione penale improcedibile.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile in quanto manifestamente infondato. I giudici hanno sottolineato che i motivi proposti non erano altro che una ripetizione di argomentazioni già esaminate e respinte con motivazione logica e coerente dalla Corte di Appello. Il ricorrente, secondo la Corte, tentava di ottenere una nuova valutazione dei fatti, operazione non consentita nel giudizio di legittimità, il cui scopo è verificare la corretta applicazione della legge e non ricostruire la vicenda.

Le Motivazioni: Oltre il Verbale, Contano le Testimonianze

Il cuore della decisione risiede nella valorizzazione del compendio probatorio nella sua interezza. La Cassazione ha evidenziato come la Corte di Appello avesse correttamente accertato che l’intenzione diffamatoria era rivolta a entrambi i fratelli. Anche se il verbale d’assemblea menzionava erroneamente due volte lo stesso nome, le prove raccolte, in particolare le dichiarazioni testimoniali e le ammissioni dello stesso imputato, avevano inequivocabilmente dimostrato che le accuse erano state indirizzate a entrambi.

La Corte ha ribadito un principio fondamentale: il giudice di merito ha il potere di valutare tutte le prove disponibili, e le sue conclusioni, se logicamente motivate e prive di vizi, non possono essere messe in discussione in sede di legittimità. L’accertamento che la frase offensiva fosse diretta a entrambi i fratelli ha reso pienamente legittima la querela presentata da entrambi, garantendo la piena procedibilità dell’azione penale.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza offre importanti spunti pratici. In primo luogo, conferma che per determinare il destinatario di un’offesa diffamatoria non ci si deve fermare alla mera lettera di un documento (come un verbale), ma bisogna considerare il contesto e tutte le altre prove, come le testimonianze. Se è dimostrato che l’intenzione era quella di offendere più persone, tutte sono legittimate a sporgere querela. In secondo luogo, la pronuncia delinea ancora una volta i confini del giudizio di Cassazione: non è una terza istanza di merito, ma un controllo sulla legalità della decisione impugnata. Proporre ricorso limitandosi a contestare la valutazione delle prove operata dai giudici di primo e secondo grado è una strategia destinata all’inammissibilità.

Chi può sporgere querela per diffamazione se il proprio nome non è menzionato correttamente in un verbale?
Anche una persona il cui nome non è riportato correttamente o è omesso in un verbale può sporgere querela, a condizione che si possa dimostrare, attraverso altre prove come testimonianze o ammissioni, che le frasi offensive erano inequivocabilmente dirette anche a lei.

La Corte di Cassazione può riesaminare le prove, come le testimonianze, in un processo per diffamazione?
No, la Corte di Cassazione svolge un giudizio di legittimità, non di merito. Non può rivalutare le prove come le testimonianze, ma solo verificare che la sentenza impugnata abbia applicato correttamente la legge e abbia una motivazione logica e non contraddittoria basata sulle prove raccolte nei gradi precedenti.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione si limita a ripetere le argomentazioni già respinte in appello?
Un ricorso che si limita a riproporre le stesse doglianze già esaminate e respinte dalla Corte di Appello, senza sollevare reali vizi di legittimità (violazione di legge o vizio di motivazione), viene dichiarato inammissibile perché manifestamente infondato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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