Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 7358 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 7358 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a TERAMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/05/2023 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto l’annullamento della sentenza con riferimento al secondo motivo e l’inammissibilità nel resto.
“
Ritenuto in fatto
È oggetto di ricorso la sentenza della Corte d’appello de L’Aquila, che, riformando in parte il provvedimento di condanna, reso in primo grado, nei confronti di NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 595, primo e terzo comma, cod. pen., ha rideterminato la pena detentiva originariamente applicata in quella di euro 1.500 di multa. Secondo la rubrica, l’imputato, mediante pubblicazione sulla piattaforma Facebook di espressioni quali, tra le altre, “veniteci voi a mangiare in questo porcile”, offendeva la reputazione della parte civile, NOME COGNOME, gestore della struttura alberghiera di Teramo ove il COGNOME era ospite in forza di convenzione con la protezione civile a seguito di evento sismico.
Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, AVV_NOTAIO, affidando le proprie censure altre motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. pro pen.
2.1. Con il primo motivo, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione agli artt. 192 del codice di rito e 240 cod. pen., per inidoneità del compendio probatorio acquisito nel corso dell’istruttoria dibattirnentale a fondare l’ascritta responsabilità per il reato di diffamazione. L’unico elemento a tal scopo utilizzato dai Giudici del merito è stato – si osserva – un insieme di frammenti di messaggi fotografati (cd. screen-shots), assenta mente estratti dalla pagina Facebook dell’imputato. Tuttavia, tale elemento non può ritenersi sufficiente ad attribuire al ricorrente la paternità dei post, in assenza di più specifici accertamenti tesi a individuare l’indirizzo IP del mittente. In assenza di prova certa circa la loro provenienza (di cui la difesa indica le singole, mancate scansioni in cui detta prova avrebbe dovuto articolarsi), i messaggi dovevano ritenersi anonimi, ragion per cui i Giudici del merito avrebbero dovuto tener presente il divieto di acquisizione e utilizzazione di cui all’art. 240 cod. pen.
2.2 Col secondo motivo, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata applicazione dell’esimente di cui all’art. 599, secondo comma, cod. pen., per non avere la Corte territoriale contestualizzato la condotta dell’imputato con riguardo al grave disagio psicologico di quest’ultimo, sconvolto dall’evento sismico e dal conseguente abbandono della propria dimora, e per non avere considerato che, ai fini dell’applicazione dell’esimente in parola, non è necessario che la reazione sia posta in essere nel medesimo momento in cui si riceve l’offesa.
dq,
2.3 Col terzo motivo, si lamenta violazione di legge, in relazione all’art. 131 bis cod. pen., per non avere la Corte d’appello considerato la particolare tenuità del fatto e la non abitualità della condotta.
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto l’annullamento dell’impugnata sentenza con riferimento al secondo motivo e l’inammissibilità nel resto.
Considerato in diritto
Il primo motivo è manifestamente infondato, perché reiterativo di censure attinenti, tutte, al merito – già disattese con argomenti logicamente coerenti, oltre che fondati, dal punto di vista più strettamente giuridico, su orientamenti giurisprudenziali correttamente indicati dalla Corte d’appello.
Quest’ultima ha esaurientemente illustrato, infatti, il percorso logico che ha portato ad attribuire all’imputato la paternii:à dei post diffamatori, viste le pregresse discussioni tra persona offesa e imputato circa le condizioni della struttura alberghiera e la qualità del menu. Centrato è altresì il rilievo della Corte territoriale concernente la mancata prospettazione, da parte della difesa, di una credibile alternativa ricostruzione fondata sull’accesso abusivo da parte di terzi nel profilo della pagina Facebook dell’imputato, recante nome ed effige dello stesso.
A tal riguardo, va rimarcato come l’eccezione difensiva si ponga in palese contrasto con quanto già chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte a proposito del carattere non necessario dell’accertamento tecnico relativo alla titolarità dell’indirizzo IP, da cui risultano spediti i messaggi offensivi. Infatti, «ai fini dell’affermazione della responsabilità per il delitto di diffamazione, l’accertamento tecnico in ordine alla titolarità dell’indirizzo IP da cui risultano spediti i messaggi offensivi non è necessario, a condizione che il profilo “facebook” sia attribuibile all’imputato sulla base di elementi logici, desumibili dalla convergenza di plurimi e precisi dati indiziari quali il movente, l’argomento del “forum” sul quale i messaggi sono pubblicati, il rapporto tra le parti, la provenienza del “posi:” dalla bacheca virtuale dell’imputato con utilizzo del suo “nickname”» (Sez. 5, n. 38755 del 14/07/2023, L., Rv. 285077 – 01).
Nel lamentare l’inidoneità del compendio probatorio a fondare l’ascritta responsabilità per il reato in parola, il motivo di ricorso elude del tutto il confronto con la motivazione dell’ impugnata sentenza, che è conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «in tema di diffamazione a mezzo
“internet”, anche in mancanza di accertamenti informatici sulla provenienza dei “post”, è possibile riferire il fatto diffamatorio al suo autore su base indiziaria, a fronte della convergenza, pluralità e precisione di dati quali: il movente; l’argomento trattato nelle frasi pubblicate o il tenore offensivo dei contenuti; il rapporto tra le parti; la provenienza dei messaggi dalla bacheca virtuale dell’imputato, con utilizzo del “nickname” dello stesso; l’assenza di denuncia di “furto di identità” da parte dell’intestatario del “profilo” sul quale vi è stata la pubblicazione dei “post” incriminati» (Sez. 5, n. 25037 del 17/03/2023, Melis, Rv. 284879 – 01, ex multis).
Il secondo motivo è inammissibile, per difetto di specificità, non avendo il ricorrente indicato in nessun modo né la condotta in cui si sarebbe concretizzato “il fatto ingiusto” altrui né il modo in cui tale iniqua attitudine della condotta altrui possa porsi a base dell’invocata esimente. L’intero motivo è dedicato a una breve dissertazione sul concetto di immediatezza rilevante ai fini dell’applicazione dell’esimente in parola e allo stato di prostrazione psicologica dell’imputato al momento del fatto; tuttavia, in nessun punto del motivo è stata indicata una più concreta e decisiva correlazione -apprezzabile alla stregua di un giudizio oggettivotra lo stato d’animo del COGNOME e un qualche specifico comportamento ostile, precipuamente rivolto all’indirizzo dell’imputato, posto in essere dalla persona offesa.
A tal proposito, va ricordato che la causa di non punibilità della provocazione di cui all’art. 599, comma 2, cod. pen. non può trovare applicazione laddove essa venga invocata sulla base di una percezione negativa, meramente soggettiva, che dell’altrui fatto ingiusto abbia avuto l’agente (cfr., ad es., Sez. 5, n. 21133 del 09/03/2018, Iachetta, Rv. 273131 – 01, dove si è chiarito che, in tema di diffamazione, la causa di non punibilità della provocazione di cui all’art. 599, comma 2, cod. pen. sussiste, non solo quando il fatto ingiusto altrui integra gli estremi di un illecito codificato, ma anche quando consiste nella lesione di regole di civile.convivenza, purché apprezzabile alla stregua di un giudizio oggettivo, con conseguente esclusione della rilevanza della mera percezione negativa che di detta violazione abbia avuto l’agente).
Il terzo motivo è, del pari, inammissibile, in quanto generico e aspecifico, oltre che totalmente disancorato dagli argomenti indicati dalla Corte territoriale nel provvedimento impugnato, con i quali il ricorrente evita di confrontarsi, in maniera critica ed effettiva (così, tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 26060801; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838- 01). Nell’escludere la
riconducibilità della concreta fattispecie nell’alveo dell’inoffensività delineato dall’art. 131 bis cod. pen., la Corte territoriale ha valorizzato, con rilievo assorbente e non contrastante con i canoni delineati dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590), la gravità del fatto, correlata all’evidenza dei danni patiti dalla persona offesa (in termini di danneggiamenti delle camere occupate dall’imputato e di disdette di prenotazioni di potenziali clienti) in seguito alla condotta dell’imputato, sicché la censura risulta completamente disallineata rispetto al fondamento giustificativo del diniego della causa di non punibilità.
Il Collegio dichiara, pertanto, dichiara inammissibile il ricorso. Alla pronuncia di inammissibilità consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. (come modificato ex I. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. 13/6/2000 n.186).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 24/10/2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente