Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 30525 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 30525 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a MANFREDONIA il 27/07/1976
avverso la sentenza del 02/12/2024 della CORTE APPELLO di SALERNO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, dr. NOME COGNOME che si è riportato alle conclusioni scritte, con cui ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, essenzialmente in accoglimento del motivo relativo all’operatività della scriminante del diritto di critica e/o della causa di non punibilità di cui all’art. 598 cod. pen.;
uditi i difensori,
l’avvocato NOMECOGNOME nella qualità di sostituto processuale dell’avvocato COGNOME COGNOME si riporta alle memorie a firma dell’avvocato COGNOME depositate e mezzo PEC in data 21 maggio e 29 maggio 2025 e alle conclusioni che deposita unitamente alla nota delle spese.
L’avvocato COGNOME si riporta alla memoria depositata a mezzo PEC e ai motivi di ricorso insistendo per l’accoglimento dello stesso.
Ritenuto in fatto
E’ stata impugnata la sentenza della Corte d’appello di Salerno del 2 dicembre 2024, che ha confermato quella del Tribunale di Salerno, a sua volta dichiarativa della penale responsabilità di COGNOME NOME per il delitto di cui agli artt. 595 cod. pen., 61 n. 9 e 61 n. 10 cod. pen., esclusa l’aggravante dell’attribuzione di un fatto determinato, commesso in pregiudizio di NOME Giuseppe, parte civile costituita, beneficiata del risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede . L’imputato è stato ritenuto responsabile del reato di diffamazione in quanto, nel corpo della motivazione di un decreto di non convalida di sequestro preventivo disposto in via di urgenza dal pubblico ministero (eseguito dalla polizia giudiziaria) e di contestuale sequestro preventivo, nella qualità di giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Crotone, avrebbe offeso la reputazione dell’ispettore della Polizia di Stato Marino, definendolo tra le righe ‘iperattivista’ in grado di confondere la Procura della Repubblica, ‘immarcescibile’, dotato di ‘vista bionica’ e di ‘strabilianti capacità visive’.
2.Il ricorso per cassazione, sottoscritto da difensori abilitati, si è affidato a quattro motivi, tutti fondati sui vizi di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., di seguito enunciati nei limiti di stretta necessità di cui all’art. 173 comma 1 disp. att. cod. proc. pen..
2.1.Il primo motivo ha denunciato inosservanza di legge penale e carenza di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di diffamazione ed alla mancata applicazione della scriminante dell’art. 51 cod. pen. . Le parole utilizzate dal magistrato, oggetto dell’imputazione, sarebbero prive di carica offensiva e sarebbero in parte veritiere, poiché la persona offesa sarebbe frequentatore di un partito politico che aveva sostenuto una campagna ambientalista contro i proprietari di un villaggio turistico della zona, destinatario del sequestro. Il provvedimento giurisdizionale non conterrebbe, tuttavia, alcuna accusa di un interessamento ‘privato’ del Marino nella vicenda investigativa e la portata diffamatoria delle parole deve risultare oggettiva, non può essere desunta dalle soggettive percezioni personali dell’offeso. L’imputato, inoltre, è stato prosciolto nell’ambito del procedimento disciplinare per la scarsa rilevanza del fatto. La Corte di merito, infine, non avrebbe valutato la corretta applicazione della scriminante dell’adempimento del dovere o, in alternativa, dell’esercizio del diritto di critica, connaturata ai contenuti di un provvedimento del giudice che non può non prendere posizione anche sulle qualità personali e la condotta dei protagonisti del procedimento penale, da cui discendono gli aspetti valutativi e decisori di sua competenza.
2.2. Il secondo motivo si è appuntato sugli elementi essenziali del dolo, che bensì generico deve comunque comportare la consapevolezza del carattere offensivo delle espressioni usate per la reputazione altrui.
2.3. Il terzo motivo ha lamentato la mancata applicazione della condizione di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., di cui l’imputato sarebbe stato meritevole, in quanto il comportamento tenuto deve ritenersi isolato e, per di più, obbiettivamente di scarsi riflessi
lesivi per la reputazione dell’offeso ; la stessa sentenza ha valutato la condotta del magistrato come ispirata da un etico sentimento di giustizia.
2.4. Il quarto motivo si è doluto della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche , negate a causa della gravità del fatto e dell’incapacità di dominare l’incontinenza lessicale , senza però considerare l’occasionalità del comportamento e che lo strepitus fori sarebbe conseguenza della querela e dell’inizio del procedimento penale.
Il difensore della parte civile ha depositato memoria difensiva, successiva ad altra depositata personalmente dalla parte civile, con cui ha chiesto respingersi il ricorso dell’imputato.
4.I difensori del ricorrente hanno depositato memoria di replica alle deduzioni della parte civile.
5.La difesa di parte civile ha infine trasmesso memoria di replica alle conclusioni scritte anticipate dal Procuratore Generale.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato, ma la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio agli effetti penali perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione.
1.Opina il collegio che al tema oggetto del processo non attenga tanto la questione dell’operatività o meno delle cause di giustificazione, di cui all’art. 51 cod. pen., dell’esercizio del diritto di critica pacificamente spettante anche al magistrato (sent. Corte Cost. n. 100 del 1981), che viene in gioco in ambito extraprocessuale, o dell’adempimento di un dovere, quanto piuttosto afferisca l’interrogativo se un provvedimento giurisdizionale, emesso da un giudice nell’esercizio delle funzioni, possa integrare attraverso le sue argomentazioni il reato di diffamazione. La risposta -ma nei termini che si indicheranno -non può che essere negativa, perché le espressioni astrattamente lesive della reputazione altrui sono di regola ontologicamente immanenti alla maggior parte degli atti dell’autorità giudiziaria , in particolar modo (ma non solo) quelli che segnano le sequenze del processo penale, elencati dall’art. 125 del codice di rito, di contenuto valutativo, che pertengono alle responsabilità delle persone e al comportamento delle parti a vario titolo coinvolte nel procedimento.
1.1. Né inerisce alla questione posta l’art. 598 del Codice penale, norma di presidio del diritto di difesa e della sua più ampia ed aspra articolazione nell’ambito del contraddittorio processuale, come più volte affermato dalla Corte costituzionale e dalla giurisprudenza, anche recente, di questa Corte (cfr. da ultimo, in motivazione, anche per i precedenti richiamati,
sez.5 n. 20520 del 05/04/2024, B., Rv. 286462). La condizione di non punibilità de quo potrebbe eventualmente interessare l’attività svolta dal pubblico ministero in quanto parte della contesa del processo (Corte Cost. n. 380 del 1999), ma il caso in scrutinio riguarda un decreto motivato emesso da un giudice per le indagini preliminari. Potrebbe anzi sostenersi che proprio l’esigenza, avvertita dal legislatore, di confezionare una causa di non punibilità in senso stretto del reato di diffamazione per i protagonisti di ‘parte’ del c onflitto processuale e non per il giudice, rappresenti un argomento significativo della volontà di differenziarne il ruolo e di affrancarne le decisioni dalla configurabilità di un’offesa di rilievo penale all’altrui reputazione.
1.2.Ciò che davvero rileva -e costituisce lo snodo cruciale del problema con cui confrontarsi -è se l’incompatibilità tra il reato di diffamazione e la natura del provvedimento dell’autorità giudiziaria valga tout court o debba imbattersi in limiti invalicabili, che non rendano l’atto giudiziario legibus solutus e che non possono che riguardare l’interpretazione e l’estensione del concetto di ius dicere , perché i provvedimenti del giudice sono esclusivamente finalizzati a produrre diritto. Non è tanto e solo il thema decidendum -o petitum nel processo civile -ovvero ancora l”oggetto della causa’ a rappresentare il discrimen tra ‘immunità’ ontologica dell’atto giudiziario e reato, quanto piuttosto l a linea di demarcazione tra l’essenza e il perimetro del giudizio, al quale l’elevata funzione magistraturale deve obbligatoriamente attenersi, e ciò che ne costituisce esorbitanza. Il giudice, in linea di principio, non ‘lede la reputazione’ altrui, ma esplica la funzione di giudizio che la disciplina istituzionale gli assegna; non è necessario affermare l’operatività delle cause di giustificazione l’adempimento del dovere o l’esercizio del diritto di critica -per escluderne l’antigiuridicità, perché il provvedimento giurisdizionale è iure per definizione.
Deve anche farsi attenzione ai confini tra la ratio che si situa alla base della responsabilità prevista per la commissione di un reato e quella relativa agli illeciti disciplinari, perché nel primo caso sono in gioco gli interessi ritenuti meritevoli di tutela penale dall’ordinamento giuridico, nel secondo caso si discetta essenzialmente di prestigio e decoro del potere giudiziario come disciplinato dalla Costituzione, i cui valori non devono essere travalicati dal magistrato nello svolgimento delle funzioni. Il processo penale è autonomo rispetto al procedimento disciplinare in virtù delle regole poste per i rispettivi ambiti, i principi fondanti e le fonti della responsabilità. La responsabilità disciplinare attiene precipuamente alla tutela dei valori della considerazione di cui il singolo magistrato deve godere e del prestigio dell’ordine giudiziario (sez. U civ. n. 20819 del 02/08/2019, Rv.655034), la responsabilità penale alla salvaguardia dei beni giuridici, come insieme di valori o beni della vita umana in generale, meritevole al punto da giustificare, in caso di lesione, l’applicazione di una sanzione criminale. La legge prevede che la sentenza penale produce efficacia di giudicato nel procedimento disciplinare (art. 653 cod. proc. pen. e, quanto agli illeciti disciplinari dei magistrati, art. 20 del D. Lgs. n. 109 del 2006), non viceversa. Il proscioglimento nel giudizio disciplinare può costituire dunque un indicatore di vaglio, ma non vincola il giudice penale a recepirne pedissequamente gli effetti.
1.3. Occorre poi ricordare che, secondo incontrastato orientamento di legittimità in materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare le locuzioni che si sostengono lesive della altrui reputazione, perché è compito del giudice di legittimità procedere a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell’imputato ( ex plurimis , sez. 5, n. 832 del 21/06/2005, Rv. 233749; sez. 5, n. 41869 del 14/02/2013, Rv. 256706; sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014 Rv. 261284; sez. 5 n. 2473 del 10/10/2019, Rv. 278145).
2.Posta tale premessa, anche metodologica, deve ritenersi infondato il primo motivo di ricorso, con il quale si invoca l’inoffensività del fatto per l’insussistenza della lesione del bene giuridico. Il carattere denigratorio delle affermazioni incriminate emerge, invece, ictu oculi dall’imputazione, confermata nella sua palmare logicità dal compendio probatorio di cui hanno dato conto le decisioni di merito in doppia conforme: laddove si apostrofa la persona offesa, additata per ruolo, nome e cognome, come un ‘iperattivista in grado di confondere la Procura con dichiarazioni maliziose ‘ , espressione da interpretarsi nel suo insieme ed insuscettibile di frammentazione nei singoli lemmi; l’attributo di ‘iperattivista’ che in sé potrebbe evocare riferimento, di valenza neutra per la reputazione, ad un irrefrenabile afflato investigativo -è direttamente collegato ai riflessi di potenzialità inquinante per la trasparenza e la correttezza delle indagini svolte per conto dell’ufficio del pubblico ministero ; in altre parole, per il lettore di media avvedutezza, capace e volto a trarre in inganno od indurre in errore, con ‘malizia’, un magistrato nell’esercizio delle funzioni. A tale contesto pertengono anche le digressioni sulla ‘vista bionica’ e sulle ‘strabilianti capacità visive’, parimenti agganciate, con sarcasmo ed insidia , alla ‘sublimazione’ – id est, trasformazione dei ‘dubbi’ in ‘certezze’ per il magistrato inquirente, il cui decisum può essere da un normale lettore nuovamente accostato ad un’iniziativa non cristallina dell’ufficiale di polizia giudiziaria, che avrebbe nella sostanza ‘ enfatizza to’ i contenuti della segnalazione di reato ed abusato dell’affidamento del pubblico ministero (come ancora si desume, coerentemente, dalla citazione della ‘frode delle etichette’, nel complesso realizzata attraverso un’annotazione di contenuto ‘ingannevole’ , redatta dall’ufficiale di polizia giudiziaria e mediata dalle assunte indicazioni di ‘una oscura fonte confidenziale’).
L’aggettivo ‘immarcescibile’ richiama infine, con tono dispregiativo (che non ‘marcisce’) ed ironico, il profilo dell”immancabilità’ dell’intervento operativo dell’ispettore di polizia e rinvia, quindi, ad un’incombente ed ingombrante presenza di quest’ultimo nell’ambito delle attività d’indagine.
Ecco allora che il contenuto dialettico del decreto del giudice, inteso nella sua globalità enunciativa, piuttosto che affrontare e confutare gli argomenti addotti dal pubblico ministero nella richiesta di convalida ex art. 321 comma 3 bis cod. proc. pen., ha rivolto l’attenzione alla
persona che ha illustrato i fatti ed espresso la tesi, trasfusa nel provvedimento dell’organo d’accusa, che non ha condiviso.
E’ chiaro che il giudizio di attendibilità o di inattendibilità – nella specie evidentemente sotteso al ragionamento espositivo dell’imputato nell’articolazione del decreto, proteso, nella critica, all’agire della persona offesa nel ruolo di investigatore sarebbe in linea di principio c onnaturato al compiuto assolvimento dell’onere della motivazione, ma il provvedimento non dirige la censura tanto sul lavoro svolto dall’ufficiale di polizia giudiziaria, in sé come detto non vietata, quanto piuttosto concentra le proprie divagazioni sugli apprezzamenti alla persona, che risultano divaricanti rispetto alle conclusioni a cui il giudice ha inteso pervenire con l’atto decisorio. Non è l’attività del poliziotto, ma la persona del poliziotto l’obbiettivo dell’attenzione del giudice e la portata comunicativa del ‘messaggio’ è incrementata dal livello della platea dei destinatari, per lo più ‘addetti ai lavori’ in condizioni di percepirla agevolmente. Insomma, l ‘argumentum ad hominem esula dalla motivazione del provvedimento giurisdizionale quando la squalificazione della persona attaccata è irrilevante rispetto alla conclusione che viene sostenuta attraverso il suo dispositivo.
Cioè a dire, non è necessario interrogarsi se quelle parole e frasi -iper-attivista, immarcescibile, dotato di capziose doti ingannevoli e tali da sospingere il pubblico ministero a commettere un errore etc. -possano, o meno, trovare giustificazione in una causa scriminante, perché esse, geneticamente, ‘non fanno parte’ del la specificità del provvedimento giurisdizionale, il cui contenuto motivazionale, imprescindibile in uno Stato di diritto (art.111, sesto comma, Cost.), non può non essere interpretato come esclusivamente funzionale al l’ esercizio della giurisdizione come supremo valore di rango costituzionale (art.101 e segg. Cost.) e, dunque, alla manifestazione del pensiero del giudice in un tutto osmotico con le conclusioni a cui esso intenda pervenire, che sono baluardi rigorosamente interdipendenti e non tollerano ‘intrusioni’ e superfetazioni che possano incorporare un aliud e, dunque, assumere finanche i lineamenti della commissione di un reato. In definitiva, se l’eloquio dell’atto giudiziario trascenda in un’aggressione verbale individuale, avulsa dalle inferenze strettamente attinenti all’adozione dell’atto medesimo , non coniugabile con la natura e le finalità proprie dell’esercizio della giurisdizione, che integri gli elementi costitutivi del reato di diffamazione, l’antigiuridicità della condotta non può essere esclusa invocando le scri minanti dell’ esercizio del diritto di critica o del l’adempimento del dovere, neppure se non sia estranea al thema decidendum (cfr. sul punto sez. 6, ord. n. 2242 del 27/06/1978, La Valle, Rv. 140539, citata anche nel ricorso) perché comunque ultronea rispetto alla trattazione del thema decidendum, che deve essere scevra dalle aggressioni personali.
2.1. D ‘altro canto, nel caso di specie, non potrebbe in ogni caso farsi ricorso all’esimente del diritto di critica perché -come noto -quest’ultima può essere richiesta, ai sensi dell’art. 51 cod. pen., in tema di reato di diffamazione, purché la critica sia esercitata nel rispetto dei limiti della veridicità dei fatti, della pertinenza degli argomenti e della continenza espressiva (tra le tante, sez.5, n. 8898 del 18/01/2021, COGNOME, Rv. 280571). E al riguardo, la giurisprudenza di
legittimità ha da tempo chiarito che, in tema di diritto di critica, ciò che determina in primo luogo l’abuso del diritto è la tracimazione dal rispetto della continenza formale, che esige una forma espositiva corretta della critica rivolta e, cioè, strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione, che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione. E’ possibile fare eccezione al necessario elemento ‘negativo’ di fattispecie quando l’utilizzo dei termini oggettivamente offensivi sia insostituibile nella manifestazione del pensiero critico. E’ solo fatto carico al giudice di verificare se la valenza negativa del giudizio espresso possa trovare conforto in elementi positivamente apprezzabili che lo giustifichino e valgano ad escludere che si tratti di invettiva volta soltanto ad aggredire la personalità del destinatario, e in ultima analisi ad umiliarlo, al di fuori di un contesto critico e di una funzionalità argomentativa (sez.5, n. 37397 del 24/06/2016, C., Rv. 267866; sez. 5, n. 31669 del 14/04/2015, COGNOME, Rv. 264442; sez. 5, n. 15060 del 23/02/2011, COGNOME, Rv. 250174). Pertanto, il contesto nel quale la condotta si colloca può essere valutato ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilità delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto di critica, ma non può in alcun modo scriminare l’uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona di quest’ultimo in quanto tale.
Le sentenze di merito hanno ritenuto superato, nella vicenda in scrutinio, il limite della continenza espressiva, con valutazione che il collegio, come anticipato, stima persuasiva e immune da censure di competenza del giudice di legittimità.
2.2. N é potrebbe validamente parlarsi di scriminante dell’adempimento del dovere, che, a mente dell’art. 51 cod. pen. e per quanto di rilievo per il procedimento , postula che l’azione rispondente al tipo sia imposta o comunque autorizzata direttamente da una norma di legge, evenienza incompatibile, come detto, con la struttura e la funzione del provvedimento giurisdizionale. Ed anche ad ammettere l’astratta pertinenza della causa discriminante, la tracimazione della licenza espressiva in insinuazioni ed apprezzamenti denigratori per la persona sottrae l’eccesso a qualsiasi collegamento con l’espletamento dell’attività del giudice.
Il verdetto liberatorio di scarsa rilevanza del fatto in esito al giudizio disciplinare (art. 3 bis D. Lgs. n. 109 del 2006), anche per gli snodi della motivazione, deve essere proiettato e dimensionato sui principi a cui attende la disciplina degli illeciti disciplinari, ovvero quelli della salvaguardia della reputazione e della dignità dell’ordine giudiziario, che sono ‘altro’ rispetto ai valori morali e sociali del singolo individuo, protetti dalle figure dei reati contro l’onore.
3.Il secondo motivo è infondato, poiché è ius receptum che ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo del reato, come puntualmente ricordato dalle sentenze in rassegna, non è indispensabile la prova dell’ animus diffamandi , inteso come specifica finalità di ledere la reputazione altrui, ma è sufficiente il dolo generico anche nella forma indiretta, la consapevolezza della portata di discredito del destinatario che le parole usate, nella loro oggettività, potrebbero assumere con la divulgazione a più persone ( ex multis , sez. 5, n. 4364 del 12/12/2012, COGNOME, Rv. 254390; sez. 5, n. 7597 del 11/05/1999, COGNOME, Rv. 213631).
Al lume del tenore del decreto, scritto da un giudice di provata esperienza, si sottrae ad ogni censura di legittimità il ragionamento seguito e convergente, sul punto, dalle decisioni di merito a riguardo della piena padronanza dell’ obbiettiva efficacia lesiva dello stile dell’atto.
3.1.Per completezza, devesi osservare che l’ipotizzabilità di una componente putativa della causa di giustificazione è stata introdotta per la prima volta con il ricorso per cassazione e si palesa inammissibile, a norma dell’art. 606 comma 3 cod. proc. pen.. Può solo aggiungersi che, ad ogni buon conto, la configurabilità della scriminante putativa deve poggiare sulla verificabile commissione di un ‘errore sul fatto’ annoverabile tra i presupposti della sua operatività e la ragione d’impugnazione appare in proposito a -specifica ed assertiva, perché non affronta il dettaglio delle emergenze processuali idonee ad evidenziarne i contorni.
4.La proposizione di un ricorso complessivamente non inammissibile, come quello in esame, consente la costituzione di valido avvio della corrispondente fase processuale sicchè, non formandosi «giudicato sostanziale», il giudice dell’impugnazion e, in quanto investito del potere di cognizione e decisione sul merito del processo, può rilevare eventuali cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Sez. U, 12602 del 17/12/2015, COGNOME; Sez. U, Sentenza n. 23428 del 22/03/2005, COGNOME; Sez. U n. 32 del 22/11/2000, COGNOME; Sez. U, n. 15 del 30/06/1999, COGNOME; Sez. U, n. 21 del 11/11/1994, COGNOME) . E’ possibile dunque rilevare l’avvenuto decorso della prescrizione, maturata tra la sentenza d’appello e la presentazione del ricorso per cassazione. Più precisamente, la data del commesso reato è il 25 febbraio 2017 e debbono essere conteggiati gg. 144 di sospensione della prescrizione tra il 11 luglio 2024 ed il 2 dicembre 2024 a causa dell’astensione dei difensori dalle udienze per effetto dell’agitazione di categoria. Il termine massimo della prescrizione è dunque spirato il 10 gennaio 2025.
4.1.La declaratoria di estinzione del reato per prescrizione prevale sulla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen., in quanto essa, estinguendo il reato, rappresenta un esito più favorevole per l’imputato, mentre la seconda lascia inalterato l’illecito penale nella sua materialità storica e giuridica (sez.1, n. 43700 del 28/09/2021, Glorioso, Rv.282214); tanto che, mentre i provvedimenti che abbiano dichiarato la non punibilità per la particolare tenuità del fatto debbono essere annotati nel casellario giudiziario (cfr. sez. U n. 38954 del 30/05/2019, COGNOME, Rv. 276463), analogo adempimento non è previsto per le sentenze di proscioglimento per intervenuta prescrizione. Ne consegue, pertanto, una sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente all’esame del terzo motivo d’impugnazione, inteso a lamentare vizi di violazione di legge e della motivazione a cagione del mancato riconoscimento della non punibilità per particolare tenuità del fatto. Basti qui soltanto sottolineare, per completezza, che non si colgono profili di manifesta illogicità nell’opzione della Corte territoriale -concorde con la decisione del primo giudice -che si è soffermata sulle modalità della condotta alla luce, in particolare, dello strumento utilizzato -un provvedimento giurisdizionale -e sulla veste istituzionale del suo redattore, tenuto a sensibilità e a distacco nell’adempimento della funzione giudiziaria .
La sentenza impugnata deve essere allora annullata agli effetti penali senza rinvio per intervenuta prescrizione, mentre il ricorso deve essere respinto agli effetti della responsabilità civile.
L ‘imputato deve essere infine condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, il cui difensore ha partecipato alla discussione e ha depositato conclusioni e nota spese, attraverso le quali ha contrastato la pretesa dell’imputato per la tutela dei propri interessi (cfr. Sez. U, n. 5466 del 28/01/2004, Gallo, Rv. 226716 e Sez. U n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME); spese che, tenuto conto della natura del processo e dell’opera prestata (studio e fattiva partecipazione al contraddittorio), si liquidano in euro 3600, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perché il reato è estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 3600, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, 06/06/2025
Il consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME