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Diffamazione chat: quando è reato e non ingiuria

La Corte di Cassazione ha confermato che scrivere offese in una chat di gruppo costituisce diffamazione e non ingiuria se la persona offesa non è presente al momento della pubblicazione del messaggio. Nel caso specifico di una diffamazione chat, il fatto che la vittima abbia letto e risposto ai commenti solo dopo più di venti minuti è stato decisivo per qualificare il reato come diffamazione, data l’assenza della contestualità tra l’offesa e la sua percezione. Di conseguenza, il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 17 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diffamazione chat: la Cassazione chiarisce la differenza con l’ingiuria

Nell’era della comunicazione digitale, distinguere i confini tra un’offesa lecita e un reato può essere complesso. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 409/2024) offre un chiarimento fondamentale sulla differenza tra ingiuria e diffamazione chat, sottolineando come l’assenza della persona offesa al momento della pubblicazione del commento sia l’elemento decisivo. Questo articolo analizza la decisione e le sue implicazioni pratiche.

Il caso: offese in una chat di un movimento politico

La vicenda giudiziaria ha origine da alcune espressioni offensive pubblicate da un soggetto all’interno di una chat di gruppo su un noto social network, appartenente a un movimento politico locale. Le offese erano rivolte a un esponente dello stesso movimento.

Il procedimento ha attraversato vari gradi di giudizio. La Corte d’Appello, giudicando in sede di rinvio, aveva dichiarato il reato di diffamazione estinto per prescrizione, mantenendo però ferme le statuizioni civili relative al risarcimento del danno. L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che il fatto dovesse essere qualificato come ingiuria (illecito oggi depenalizzato) e non diffamazione. La sua tesi si basava sulla presunta partecipazione ‘in diretta’ della persona offesa alla conversazione, il che avrebbe reso l’offesa contestuale e quindi riconducibile all’ingiuria.

La questione giuridica: quando si configura la diffamazione chat?

Il nodo centrale della questione era stabilire se la comunicazione offensiva in una chat di gruppo, dove i partecipanti possono intervenire anche in momenti diversi, integri il reato di diffamazione o quello (ormai depenalizzato) di ingiuria. La distinzione non è di poco conto: la qualificazione del fatto come diffamazione, infatti, permette la sopravvivenza della condanna al risarcimento dei danni, anche in caso di prescrizione del reato. Al contrario, una riqualificazione in ingiuria avrebbe potuto annullare tali effetti civili. L’elemento discriminante, secondo la giurisprudenza costante, è la presenza o l’assenza della vittima al momento dell’offesa.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la correttezza della decisione della Corte d’Appello e la qualificazione del fatto come diffamazione chat.

I giudici hanno evidenziato due punti cruciali emersi dalle prove processuali:

1. Natura della comunicazione: La chat utilizzata consentiva una comunicazione asincrona, ovvero non in tempo reale. I messaggi potevano essere letti e commentati anche a distanza di tempo dalla loro pubblicazione.
2. Assenza della persona offesa: Dalle stampe delle conversazioni è emerso chiaramente che la persona offesa non era presente al momento della pubblicazione delle frasi incriminate. La sua replica, infatti, è intervenuta a distanza di oltre venti minuti.

Questo ritardo, secondo la Corte, dimostra in modo inequivocabile che la vittima non ha percepito l’offesa nell’immediatezza, ma solo in un secondo momento. Di conseguenza, al momento del fatto, la persona offesa era ‘assente’. Poiché l’offesa alla sua reputazione è stata comunicata ad altri membri della chat (almeno due persone), si sono integrati tutti gli elementi costitutivi del delitto di diffamazione.

La Corte ha richiamato un suo precedente (Cass. n. 28675/2022), secondo cui ‘integra il delitto di diffamazione, e non la fattispecie depenalizzata di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, l’invio di messaggi contenenti espressioni offensive nei confronti della persona offesa su una ‘chat’ condivisa anche da altri soggetti, nel caso in cui la prima non li abbia percepiti nell’immediatezza, in quanto non collegata al momento del loro recapito’.

Conclusioni: le implicazioni della sentenza

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale per la gestione delle controversie nate sui social network e nelle piattaforme di messaggistica. La distinzione tra ingiuria e diffamazione chat non dipende dalla piattaforma usata, ma dalla contestualità della percezione dell’offesa. Se la vittima non è online e non legge il messaggio offensivo in tempo reale, ma lo scopre solo in seguito, l’autore del commento risponderà del reato di diffamazione. Questa decisione serve da monito sulla responsabilità delle proprie parole online: l’apparente istantaneità della comunicazione digitale non esclude che si possano commettere reati con conseguenze sia penali che civili, anche quando il reato si estingue per prescrizione.

Quando un’offesa in una chat di gruppo è considerata diffamazione?
Un’offesa in una chat di gruppo è considerata diffamazione quando la persona offesa non è ‘presente’, ovvero non percepisce il messaggio offensivo nell’immediatezza della sua pubblicazione ma solo in un momento successivo, e quando tale messaggio è letto da almeno altre due persone.

Qual è la differenza cruciale tra ingiuria e diffamazione in una chat?
La differenza risiede nella presenza o assenza contestuale della persona offesa. Se la vittima percepisce l’offesa in tempo reale, si potrebbe configurare l’illecito di ingiuria (oggi depenalizzato). Se invece la vittima è assente e l’offesa viene comunicata ad altri, si configura il reato di diffamazione.

Perché il ricorrente ha impugnato la sentenza nonostante la prescrizione del reato?
L’imputato ha impugnato la sentenza per cercare di ottenere una riqualificazione del reato da diffamazione a ingiuria. Questo perché, nonostante l’estinzione del reato per prescrizione, la condanna al risarcimento dei danni a favore della parte civile rimane valida. Annullare la qualificazione giuridica del fatto come diffamazione avrebbe potuto far cadere anche la condanna civile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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