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Diffamazione avvocato: quando la critica è reato

Un avvocato è stato condannato per diffamazione per aver definito ‘fraudolento e doloso’ il comportamento di un collega in un atto giudiziario. La Cassazione ha confermato la condanna, stabilendo che il reato di diffamazione avvocato si configura anche se l’atto è destinato solo al giudice, poiché il deposito in cancelleria lo rende accessibile a terzi. La Corte ha ritenuto irrilevante la modalità di deposito (cartacea o telematica) e ha escluso l’applicazione delle esimenti, data la natura calunniosa delle accuse.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diffamazione Avvocato: Quando la Critica in un Atto Giudiziario Diventa Reato

Nel dibattito forense, il confine tra una legittima critica e un’offesa personale può essere molto sottile. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sul tema della diffamazione avvocato, analizzando il caso di un legale condannato per aver usato espressioni offensive nei confronti di un collega in un atto giudiziario. La decisione sottolinea come il dovere di difesa non possa mai trasformarsi in un’autorizzazione a ledere l’onore e la reputazione altrui.

I Fatti: la Critica Diventa Accusa

Il caso ha origine da un’istanza che un avvocato aveva depositato presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione. In tale scritto, il legale descriveva il comportamento processuale della controparte, un altro avvocato, definendolo ‘fraudolento e doloso’. Queste parole, ritenute lesive della reputazione professionale del collega, hanno dato il via a un procedimento penale per diffamazione.

La Condanna nei Primi Due Gradi di Giudizio

Sia il Giudice di Pace che il Tribunale, in sede di appello, hanno ritenuto l’avvocato colpevole del reato contestato. Secondo i giudici di merito, le espressioni utilizzate non erano pertinenti alla strategia difensiva, ma costituivano un attacco personale e gratuito, idoneo a ledere l’onore della parte offesa.

I Motivi del Ricorso in Cassazione per diffamazione avvocato

L’avvocato condannato ha presentato ricorso in Cassazione, basando la sua difesa su tre argomenti principali:
1. Errata valutazione della prova: Sosteneva che l’atto incriminato, depositato in formato cartaceo, era destinato esclusivamente al giudice e non doveva essere inserito nel fascicolo telematico accessibile a tutti. L’inserimento sarebbe stato anomalo e non voluto.
2. Assenza di dolo: Affermava di aver agito con il solo scopo di informare il giudice delle presunte irregolarità della controparte, confidando che lo scritto non sarebbe stato reso pubblico.
3. Sussistenza di un ‘ragionevole dubbio’: Riteneva che gli errori procedurali della controparte fossero talmente evidenti da giustificare la sua reazione, creando almeno un dubbio sulla sua colpevolezza.

L’Analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto integralmente il ricorso, fornendo un’analisi dettagliata dei principi che regolano la diffamazione avvocato in ambito giudiziario.

La Natura del Reato di Diffamazione

I giudici hanno ribadito che la diffamazione è un reato formale e istantaneo, che si consuma nel momento in cui un’affermazione lesiva della reputazione altrui viene resa accessibile a più persone. Definire ‘fraudolento e doloso’ il comportamento di un collega costituisce un’offesa all’onore e alla valutazione sociale della persona, integrando pienamente l’elemento oggettivo del reato.

Il Deposito in Cancelleria come Comunicazione a Terzi

Il punto cruciale della decisione riguarda la comunicazione. La Corte ha chiarito che il semplice deposito di un atto in cancelleria, nelle mani del personale amministrativo, realizza la condizione della comunicazione a terzi. Il cancelliere e gli altri addetti all’ufficio hanno accesso al documento, rendendo l’offesa conoscibile. L’imputato, per garantire la riservatezza, avrebbe dovuto adottare cautele specifiche, come l’uso di una busta chiusa ‘riservata’ al giudice, cosa che non ha fatto.

L’Insussistenza delle Esimenti

La Cassazione ha escluso l’applicazione di due importanti esimenti:
* Art. 598 c.p. (Offese in scritti giudiziari): Questa norma non si applica quando le espressioni assumono un carattere calunnioso, come nel caso di specie, dove si attribuivano alla controparte condotte illecite senza alcuna prova e al di fuori della necessità difensiva.
Art. 51 c.p. (Esercizio di un diritto): La critica mossa non riguardava le capacità professionali del collega, ma era un attacco personale al suo modus operandi*, non giustificato dal diritto di difesa.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano sulla netta distinzione tra critica funzionale alla difesa e attacco personale. Il deposito di uno scritto offensivo in un luogo accessibile a terzi, come la cancelleria di un tribunale, è di per sé sufficiente a configurare il reato, poiché l’agente è pienamente consapevole che tale modalità di consegna rende il contenuto conoscibile ad altri oltre al destinatario finale. La Corte ha sottolineato che la condotta dell’imputato non era diretta a tutelare un diritto, ma aveva il solo obiettivo di criticare in modo inappropriato la parte avversa, rappresentando una versione dei fatti finalizzata unicamente a lederne la reputazione.

Le Conclusioni

Con questa sentenza, la Corte di Cassazione rafforza un principio fondamentale: la libertà di espressione e il diritto di difesa dell’avvocato non sono illimitati. Essi trovano un confine invalicabile nel rispetto della dignità e della reputazione professionale dei colleghi e delle altre parti processuali. L’uso di un linguaggio offensivo e non pertinente alla materia del contendere non solo è deontologicamente riprovevole, ma può integrare una precisa fattispecie di reato, con tutte le conseguenze legali che ne derivano. La decisione serve da monito sulla necessità di mantenere sempre un registro comunicativo corretto e rispettoso, anche nelle controversie più accese.

Quando la critica a un collega avvocato in un atto giudiziario diventa diffamazione?
Diventa diffamazione quando travalica i limiti della critica professionale e si trasforma in un attacco personale all’onore e alla reputazione, utilizzando espressioni offensive come ‘fraudolento e doloso’ che non sono strettamente pertinenti e necessarie alla linea difensiva.

Depositare un atto offensivo in cancelleria, destinato solo al giudice, costituisce reato di diffamazione?
Sì. Secondo la Corte, il deposito di un documento presso la cancelleria lo rende accessibile a terzi (il cancelliere e altro personale dell’ufficio), realizzando così il requisito della comunicazione a più persone necessario per il reato. Per evitarlo, si dovrebbero adottare specifiche cautele, come una busta chiusa e riservata.

L’esimente per le offese contenute negli scritti difensivi (art. 598 c.p.) si applica sempre?
No, non si applica automaticamente. La Corte ha specificato che tale esimente non opera quando le espressioni offensive assumono un carattere calunnioso, ovvero quando si attribuisce a qualcuno un fatto determinato e illecito, andando oltre le necessità della difesa e mirando a screditare la persona.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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